Diritti / Intervista
“Come lascio Gerusalemme e la Palestina dopo la punizione di Israele verso le Nazioni Unite”
Dopo cinque anni e mezzo Tel Aviv ha negato il rinnovo del visto ad Andrea De Domenico, capo dell’Ocha, l’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari dell’Onu per i Territori palestinesi occupati. Un messaggio esplicito contro pace e diritti umani, a monito di chi denuncia quanto è in corso a Gaza o in Cisgiordania. Deluso per la scarsa protezione, lancia un appello: “Non diventiamo immuni all’orrore”
Se ne va da Gerusalemme con l’amaro in bocca, Andrea De Domenico, capo dell’Ocha, l’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari dell’Onu per i Territori palestinesi occupati. Dopo cinque anni e mezzo il suo visto non è stato rinnovato. “È una punizione nei confronti delle Nazioni Unite -dice-. Sono preoccupato per la fragilità del sistema, poco determinato a difendere quello che rappresentiamo: la pace e i diritti umani”. E lancia un appello: “Non diventiamo immuni all’orrore”.
De Domenico, se l’aspettava?
ADD Sapevo che era uno dei rischi, lavorando qui.
Come se lo spiega?
ADD Credo sia un messaggio molto chiaro per le Nazioni Unite. Diciamo che la goccia che ha fatto traboccare il vaso credo sia stata la relazione annuale del Segretario generale sui bambini e i conflitti armati, una convenzione a cui Israele ha aderito e nella cui lista nera è finito un paio di mesi fa. Allora il governo israeliano disse pubblicamente che ci sarebbero state delle misure punitive contro le Nazioni Unite e proprio in quel momento il mio visto scadeva. Me lo rinnovarono solo per un mese: credevo fosse quella la mia punizione, tant’è che feci subito la domanda per l’estensione e invece.
Qual è la spiegazione ufficiale?
ADD Come è prassi non c’è niente di scritto. Una strategia e un modo abbastanza codardo di gestire la cosa, perché, insomma, si dovrebbe avere il coraggio delle proprie azioni. A luglio ho ricevuto una chiamata dal ministero degli Esteri, una chiamata amichevole e di cortesia, diciamo, di una persona con cui ho lavorato, che mi ha detto: “Stai facendo le valigie?”. Avevo chiesto una riunione, anche per parlare dell’estensione del mio visto, non mi ero posto tanti problemi, anche perché nell’ultimo periodo hanno cambiato spesso le durate dei visti. Pensavo fosse uno dei tanti momenti di controllo e limitazione delle nostre operazioni e del nostro stare qui e invece mi spiegò che era loro intenzione non rinnovarmi il visto. E che la pubblicazione del Segretario generale era stata il motivo scatenante. Certo, in generale, i nostri rapporti sulle violazioni -che comunque sono fatte da entrambe le parti, ma ovviamente c’è un gigante contro Davide- hanno sempre infastidito Israele. Ci accusano di essere poco obbiettivi, noi ci siamo sempre detti disponibili a metterci attorno a un tavolo, per discuterne, ma non l’hanno mai fatto. Certo è che, tra tutte le cose di cui potevano accusarci, hanno scelto quella dove abbiamo una rilevanza marginale. Quest’anno, onestamente, ci siamo concentrati su altro.
Tipo quello che succede nella Striscia di Gaza: non può essere quello il vero problema? Forse si è esposto troppo?
ADD Diciamo che è un po’ una scusa per colpire l’istituzione e anche il Segretario generale. Io credo di essere stato equilibrato. Poi sbattere fuori il capo dell’Ocha, rispetto a quello Unicef, che è un’agenzia più nota, è certamente più facile.
Ma occupandovi del coordinamento anche con i militari, non dovreste essere l’agenzia più “utile” anche agli israeliani?
ADD In realtà di tutto il lavoro che facciamo guardano praticamente il 10%, cioè i rapporti, che dobbiamo produrre per mandato, sulla protezione dei civili: fa parte delle nostre responsabilità verso gli Stati membri. Ma sono una piccola parte di tutto ciò che facciamo e nonostante questo rimane la più critica nelle relazioni con il governo israeliano. Chiaramente dà fastidio che ci sia qualcuno che riporta quello che viene fatto.
Il visto è stato negato anche ad altri membri dell’Ocha?
ADD Su sette richiesti ne sono stati concessi quattro. Il visto a una collega che lavora al coordinamento tra civili e militari è stato accettato. Quello che mi hanno detto, per ora, è che non ne daranno a chi si occupa di comunicazione, advocacy e protezione. Anche della protezione vedono solo l’aspetto dei rapporti ma il lavoro grosso è prendersi cura delle persone.
E ad altri capi di agenzie Onu?
ADD Per ora no ma è nell’aria.
Il problema dei visti in realtà sta interessando anche il personale straniero di molte Ong. C’è chi entra per lavorare con visti turistici. Le risulta?
ADD Sì e da questo punto di vista siamo arrivati al collasso: in questi giorni sono scaduti i visti della maggior parte dei capi missioni delle Ong, che se ne dovranno andare. Con i visti turistici ufficialmente non si può lavorare, quindi possono sempre mandarli fuori, anche se lo sanno. Ovviamente la cosa impatta su Gaza, ma il maggiore impatto è su Gerusalemme Est e la Cisgiordania e il problema è diventato serio. Tra l’altro -e l’ho detto anche al ministero degli Esteri- fanno questo mentre sono sotto la lente della Corte internazionale di giustizia, che ha chiesto di facilitare gli aiuti.
Che cosa succederà ora al suo posto?
ADD Ci sarà un negoziato con le Nazioni Unite per designare i criteri di chi dovrebbe sostituirmi. Il mio lavoro non si può fare da remoto, è necessaria una presenza fisica. Cacciare il personale internazionale è qualcosa che non ha senso per un Paese che si dice democratico e che aderisce ai valori delle Nazioni Unite.
Hanno obblighi verso il personale delle Nazioni Unite?
ADD È nelle opzioni di uno Stato sovrano decidere chi opera nel proprio Paese, ovviamente. Hanno degli obblighi in termini di garanzie di una serie di privilegi e di immunità funzionali, però il visto è qualcosa che possono decidere se dare o meno. Certo è che, così facendo, si uniscono a una serie di Stati membri che non sono esattamente dei modelli di democrazia, come la Corea del Nord o l’Etiopia.
C’è stata una reazione ufficiale delle Nazioni Unite?
ADD C’è stata una dichiarazione del portavoce, che ha annunciato la non estensione del mio visto. Poi mi è stato chiesto di fare l’ultimo briefing ai giornalisti e di illustrare la mia situazione. L’ho trovato di un pusillanime assoluto: c’è poco coraggio e molta più preoccupazione delle conseguenze che una presa di posizione forte può avere per l’istituzione, più che la volontà di proteggere un funzionario. E di conseguenza i miei colleghi e i capi delle agenzie.
Ora che cosa farà?
ADD Adesso mi prenderò un periodo di pausa e poi ripartirò da qualche parte. Non so dove, ne discuterò con New York.
Però non abbandona il sistema delle Nazioni Unite?
ADD Diciamo non ancora, anche se devo dire che è stata un’esperienza un po’ deludente.
Da quanti anni lavora per le Nazioni Unite?
ADD Dal 2005, 19 anni.
Come si sente?
ADD Sono più preoccupato che deluso. Trovo questa fragilità del sistema estremamente problematica nel difendere ciò che dovremmo rappresentare per tutti. L’ordine internazionale, dopo la Seconda Guerra Mondiale -con tutti i limiti, per carità, e molti aspetti cambiati- portava con sé un messaggio di speranza e anche di sofferenza, di quello che la guerra aveva rappresentato per l’umanità intera. Messaggio che si è cercato di consolidare in una convergenza politica attorno al concetto dei diritti umani, per un mondo di pace, migliore, di opportunità: credo che sia questo che noi rappresentiamo. Poi certo, possiamo fare degli errori, ma questo atteggiamento, di non proteggere i propri funzionari, è abbastanza preoccupante e non per me, ma per i miei figli. Perché significa che stiamo andando verso una fase delle relazioni internazionali, dove la logica della violenza e della guerra prevale su una logica di costruzione di pace e di convivenza pacifica tra le persone. E questa non disponibilità del mondo politico è molto inquietante. Se mi guardo attorno vedo che ci sono due pesi e due misure e questo indebolisce ancora di più il lavoro che stiamo facendo.
Che cosa intende per mondo politico?
ADD Io dico sempre che le Nazioni Unite alla fin fine non esistono, cioè non sono un’istituzione che ha una forza indipendente dalla volontà altrui e la volontà altrui è quella degli Stati membri. Se non sono gli Stati membri a prendere posizione, in difesa dei principi e del mandato che mi hanno dato, la sconfitta non è delle Nazioni Unite ma degli Stati. E oggi come oggi chiaramente a livello internazionale c’è poca determinazione nel difendere il multilateralismo, il diritto internazionale, i diritti umanitari e umani. In particolare, il diritto umanitario internazionale è stato macellato, smembrato e umiliato, sicuramente qui, ma anche in tanti altri posti.
Negli anni in cui c’è stato, come è cambiata la situazione in Israele e nei territori palestinesi occupati?
ADD Sono stato a Gaza l’ultima volta a fine luglio di quest’anno. Da un punto di vista umanitario la situazione è precipitata in maniera violenta e veramente non vedo il fondo. In nome della sicurezza, si calpestano i diritti dei civili e non c’è limite. Vedo che la sofferenza della gente non scuote più e non muove la determinazione politica. Ho fatto un appello nel mio ultimo breefing: non diventiamo immuni all’orrore. In Cisgiordania la situazione è precipitata in una traiettoria molto preoccupante, sempre più violenta, che non ha nulla a che fare con il mantenimento dell’ordine pubblico. È diventata una forma di guerra combattuta a pezzettini: anche qui, per colpire la resistenza armata, si puniscono i civili, con la distruzione ormai quotidiana di strade, fognature, acquedotti e case. La cosa positiva, per assurdo, è che, in forma più limitata la cosa accadeva anche prima -noi l’abbiamo detto per anni- ma adesso c’è un po’ più di attenzione, se ne parla. Anche se non so se questo cambierà la traiettoria.
E Israele?
ADD È sempre più sfacciato nelle sue azioni, perché ha capito che la reazione del mondo occidentale, in particolare, non è così determinata. Sono sempre più violenti, determinati e convinti del loro progetto di occupazione totale e permanente.
Come se ne va?
ADD Con un po’ di amaro in bocca, ovviamente. Mi dispiace molto per i colleghi, gli amici e le persone che ho conosciuto in questi anni, che so che contavano anche su di me. Sono un po’ triste, ma a dire il vero anche un po’ sollevato, nel senso che sono stanco, non mi fermo da dieci mesi. Dedicherò un po’ di tempo a me e alla mia famiglia, anche se mi sento un po’ in colpa.
In colpa?
ADD Non si abbandona il campo, ma lo faccio mio malgrado.
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