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Come Bergamo, in apnea. Gli effetti della pandemia sulla salute mentale
Depressione, gesti di autolesionismo e chiusura in sé stessi. La provincia lombarda è stata la più colpita dagli impatti psicologici del Covid-19 ma non è l’unica. La soluzione al trauma può venire dal recupero dei legami di comunità
“Non ci sono più energie, sono finite”. Stefano Morena non usa giri di parole per definire il momento che stiamo attraversando, la seconda ondata di Coronavirus. Da 15 anni opera a Nembro -uno dei Comuni simbolo del contagio bergamasco- come psicologo scolastico, specializzato in emergenza, oltre che nell’età evolutiva. “Credevo che avrei ricevuto un sacco di richieste d’aiuto attorno a giugno -dice- e invece sono arrivate soprattutto negli ultimi mesi, in particolare da dicembre. Se nella prima ondata c’è stata una capacità resiliente trasformativa, ora è venuta meno per lasciare spazio alla stanchezza”. Quella che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito la “pandemic fatigue” di cui soffrirebbe il 60% degli europei. Una sensazione di sfinimento derivata da uno stato di crisi prolungato, “una reazione, assolutamente naturale, di fronte a una situazione di cui non si intravede la fine”. Con reazioni che vanno dalla depressione e chiusura in sé stessi, fino al rifiuto delle misure in favore della disinformazione. Anche per questo l’Oms ha consigliato ai governi di sforzarsi di comprendere i propri cittadini per evitare di generare rabbia e frustrazione. Oltre che di essere chiari e di adottare misure semplici, ma incisive.
Il Coronavirus non ci ha privati solo di parenti e amici -milioni di persone in tutto il mondo- o creato conseguenze economiche devastanti, ma ha scavato dentro di noi, rendendoci più tristi, rabbiosi, fragili e autolesionisti. E così dopo l’allarme pandemia e infodemia (eccesso di informazione con conseguenze sulla salute delle persone), la prossima emergenza, dicono gli esperti, sarà la psicodemia, riguarderà cioè la nostra tenuta psicologica.
“Pensiamo che i bambini e gli adolescenti si possano congelare. Hanno perso riti di passaggio fondamentali, pagine che rimarranno bianche” – Stefano Morena
Molte previsioni parlano di un probabile aumento di atti di tipo autolesionistico e dei suicidi. In Giappone a ottobre sono morte più persone per suicidio che per Covid-19 in tutto il 2020. Il Paese ha una lunga storia purtroppo in questo frangente, ma nei dieci anni precedenti il 2019 erano diminuiti, raggiungendo proprio quell’anno il numero più basso da quando le autorità sanitarie hanno iniziato a tenere registri nel 1978. La pandemia sembra aver invertito questa tendenza. A essere a rischio sono soprattutto le donne e gli adolescenti.
Morena non ha notato un aumento dei tentativi di suicidio da parte di ragazzi e ragazze ma una fatica e una chiusura sempre maggiore, sì: “Non vogliono più tornare a scuola e parallelamente la loro dipendenza digitale è cresciuta. È stato un grande errore lasciare la scuola in fondo alla lista, dopo i cani. Pensiamo che i bambini e gli adolescenti si possano congelare, ma non è così. Hanno perso riti di passaggio fondamentali, pagine che rimarranno bianche”.
“Nei bambini -continua- ho constatato disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, ansia e regressioni a tutti i livelli: c’è chi è tornato a fare pipì, chi a dormire nel lettone. A fare la differenza sono stati lutti e traumi, ma soprattutto il filtro genitoriale: i bambini rielaborano emotivamente il mondo attraverso i genitori e se questi non fanno da traduttori, per i figli diventa un problema capire e reagire a quello che sta succedendo. I genitori dal canto loro si sono ritrovati tutto sulle spalle, dovendo fare anche da insegnanti, nonni e allenatori. E se non erano strutturati, è saltato tutto. La differenza l’ha fatta non solo avere delle famiglie solide, ma anche ricche: vivere in una casa grande o avere un computer, per esempio, ha agito sul modo di affrontare questi mesi”. Ma la differenza è stata ancora una volta anche una questione di genere. Da uno studio condotto su oltre diecimila persone in 40 Paesi dall’Ong Care, il 27% delle donne ha segnalato un aumento dei problemi di salute mentale, rispetto al 10% degli uomini.
Una conclusione tratta anche a livello italiano, da un’indagine dell’Istituto Mario Negri di Bergamo. È risultato che le aree più colpite dal contagio sono anche quelle di maggior sofferenza psicologica con sintomi come depressione, ansia, smarrimento e disturbi fisici, in particolare nelle donne. In Lombardia la provincia di Bergamo è stata la più colpita anche psicologicamente, con oltre il 52% degli intervistati che ha dichiarato di aver avuto un impatto più o meno forte durante i giorni della quarantena. I casi più gravi sono stati rilevati tra la Val Seriana e il capoluogo.
Ed è risultato che più ci si allontana da una “zona rossa” come Nembro e Alzano, con un modello di propagazione circolare, più i sintomi diminuiscono. Il dottor Morena da marzo a giugno è stato uno dei dieci professionisti che hanno partecipato al servizio di psicologia d’emergenza messo a disposizione dal Comune di Nembro e l’Agenzia di tutela della salute (Ats), in collaborazione con l’associazione EMDR. Un contatto telefonico gratuito per malati, familiari e sanitari.
“Abbiamo assistito una sessantina di persone -racconta-. Tutte ne avevano un bisogno immenso, con disturbi che andavano dall’ansia alla depressione, fino a disturbi post traumatici”. Il campione è troppo piccolo per trarre considerazioni epidemiologiche, ma c’è un dato che Morena sottolinea: l’importanza della risposta comunitaria anche per il singolo disturbo. “Nel post-trauma non funziona solo una risposta individuale o famigliare -spiega- ma quella dell’intera comunità d’appartenenza. E a Nembro, tra oratorio, parrocchia, associazioni di volontariato e Comune è stato fatto molto, rinsaldando un senso di comunità che ha aiutato anche i singoli”.
A dicembre 2020 il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi ha rinnovato l’appello al governo per la creazione di “voucher psicologici”. Il progetto è ancora fermo
Da marzo a settembre 2020 in Italia si sono registrati 71 suicidi e 46 tentativi che si ritengono connessi in maniera diretta o indiretta al Coronavirus. Il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi anche per questo a dicembre ha rinnovato il suo appello al governo per la creazione di “voucher psicologici”. Il progetto, già presentato ad aprile, ha raccolto l’adesione di molti parlamentari ma al momento sembra lontano dal diventare legge. I voucher consentirebbero soprattutto a quelle fasce della popolazione che non possono accedere al sostegno psicologico con mezzi economici propri di farlo mediante piattaforme pubbliche già utilizzate in questi mesi.
“Un’altra conseguenza che pagheremo a lungo termine -conclude Morena- è la situazione dei sanitari. Il trauma esce passata l’emergenza, quando scende l’adrenalina. Non so quanti tra medici, infermieri e Oss siano riusciti ad affrontare quello che gli è successo. Quando non rielabori emergono gli agiti, comportamenti non pensati, perché sotto la superficie ci sono forze che scavano come fiumi carsici”.
Anche Nicole Adami è psicoterapeuta e lavora con i sanitari. “Nei medici e negli infermieri noto una grande stanchezza fisica derivata dalla prima ondata -dice-. Non si sono mai fermati. Ma anche rabbia e frustrazione per la disorganizzazione, che si poteva evitare, nella seconda fase. E poi riscontro poca tolleranza, l’altra faccia del negazionismo: sono Covid-centrici, completamente focalizzati sul virus, essendo la loro unica realtà da mesi, e quindi faticano a comprendere l’aspetto psicologico della popolazione che, a sua volta stanca, ha un bisogno innato e sano di socialità. A differenza della prima ondata ora bisogna tenere insieme diritti diversi, non solo quello alla salute, ed è tutto più complicato”.
Una maratona che non ha mai fine. Ognuno con il suo grado di affanno e fatica pandemica. Adami a fine gennaio ha tenuto un webinar per infermieri, medici, psicologi e personale sanitario intitolato “Autolesionismo e suicidio durante il Covid-19: come gestirli e approcciarli nei contesti ospedalieri”.
“Sono in vertiginoso aumento gli accessi in pronto soccorso per tentativi di suicidio, autolesionismo e gesti anti-conservativi -spiega-. Non si tratta di agiti impulsivi ma di gesti di reale disperazione, spesso legati alla perdita del lavoro o del proprio standard di vita. Negli adolescenti, invece, c’è una grande difficoltà della regolazione emotiva: non hanno più vie di fuga e valvole di sfogo. Gli operatori vanno aiutati a gestire anche quest’emergenza nell’emergenza”.
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