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Coi piedi per terra
L’aeroporto di Viterbo non si farà. Lo chiedevano i comitati, lo certifica il Cipe: non vale la spesa di 239 milioni di euro —
A gli antipodi di un viaggio aereo low cost c’è una camminata a piedi. Magari insieme ad alcuni dei principali animatori del “Comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e che s’impegna per la riduzione del trasporto aereo”.
Una passeggiata proprio sul luogo di un possibile delitto infrastrutturale. Il parco del Bullicame, alle porte di Viterbo. Un’area naturalistica, archeologica e termale a gratuito accesso celebrata da Dante Alighieri. A ridosso di questo bene comune, oltre un eliporto per l’aviazione leggera, c’è l’aeroporto militare: secondo i progetti che tutte le istituzioni sembravano approvare di cuore, lì doveva svilupparsi l’ennesima infrastruttura italiana per voli low cost.
Da tutto il mondo a Viterbo? No. A Roma.
Il cielo sopra le vasche di acqua calda sulfurea e il terreno bianco di calcare sarebbero (stati) assediati dai rumori, dalle polveri sottili, dalle strisce asfaltate, dai palazzi accessori. Ma la qualità dell’aria e della vita di tutta la cittadinanza viterbese sarebbe stata danneggiata. Insieme al clima. Più voli, più effetto serra.
Siamo alle porte di Viterbo e a metà di ottobre parecchie persone sono ancora a mollo nelle vasche piccole e grandi alimentate dalla sorgente (58 gradi di temperatura e 18 litri al secondo di portata), altre prendono il sole come lucertole sul chiarore della pietra. Osvaldo Ercoli, già insegnante di matematica e fra i fondatori del Comitato, spiega che da qui “si vede meglio il peccato mortale che volevano fare”. Volevano?
Nato cinque anni fa “perché questo ennesimo aeroporto italiano non si deve fare”, il Comitato dal lungo nome è cresciuto con il motto “comunque questo aeroporto non si farà”. In effetti in tutti questi anni nemmeno una pietra è stata posta. L’assessorato comunale all’aeroporto è una scatola vuota (non a costo zero). Settimane fa il Comitato dava alla mailing list “coipiediperterra” l’annuncio trionfale: Gerardo Mario Pelosi, direttore generale del trasporto aereo al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a un convegno pubblico ha confessato di aver sempre avuto perplessità sull’operazione viterbese, scandendo fra l’altro che “non è detto che delocalizzare possa aiutare ad attrarre le compagnie low cost nella Tuscia” sicché si corre il rischio di “realizzare una cattedrale nel deserto”.
Nelle future elezioni locali lo specchietto per allodole sbaluginerà di nuovo? “Il ministro Corrado Passera ha mantenuto l’opera nel suo piano aeroporti… però senza copertura finanziaria alcuna da parte del Cipe e il centrosinistra locale che lo voleva in tutti i modi adesso dice che magari se ne riparlerà fra una quindicina di anni” dice Alessandro Pizzi, insegnante, ambientalista, ex sindaco di Soriano nel Cimino e cofondatore del Comitato.
Vicino all’acqua azzurra terapeutica di un canaletto la portavoce del Comitato Antonella Litta, medico di base, pacifista, impegnata nell’appoggio a progetti in Africa e in diverse battaglie locali, spiega che “c’è una conversione a U di molte forze politiche”. Anche quelle forze che all’inizio avevano favorito una società composta da comune, provincia e privati, avevano promesso decine di migliaia di posti di lavoro, avevano sventolato l’aeroporto come condicio sine qua non per un migliorato collegamento ferroviario con Roma. E avevano provato a usare come testimonial perfino la tradizionalissima e intoccabile processione con la macchina di Santa Rosa patrona.
“No, non si farà”, declina la dottoressa Litta. Senza organizzazioni alle spalle, con un lavoro del tutto gratuito svolto da persone molto rispettate per competenza e onestà, il Comitato di Viterbo è riuscito a lavorare a 360 gradi, a livello locale, nazionale e internazionale, provocando una riflessione collettiva. Ha fatto convegni scientifici, happening. Ha ottenuto l’appoggio di personalità della scienza, della vita civile, della politica e della cultura. Ha fatto un lavoro sui media nazionali e internazionali (meno ricettivi quelli locali). Ha coinvolto un gruppi di agricoltori. I sindacati. Le scuole (il passaggio di aerei è fonte di disturbante inquinamento acustico). Ha spinto l’Associazione nazionale medici per l’ambiente a varare un gruppo di studio sull’inquinamento ambientale -atmosferico e acustico- e danni per la salute, i cui rapporti sono utilizzati anche da altri gruppi anti-aeroporto in Italia, con i suoi cento e passa aeroporti, molti dei quali opere inutili anche nel senso che non sono utilizzate.
Il Comitato dalla sua ha molte buone ragioni: insieme al bene comune paesaggio e alla salute, l’inutilità dell’opera per lo sviluppo dell’economia o del turismo locale (a parte la fase della costruzione). I turisti low cost sono mordi e fuggi, vogliono vedere Roma e il Vaticano, non i gioielli sconosciuti della Tuscia.
L’ottica distintiva dei no-fly viterbesi è di non essere mai stati Nimby. Fin dall’inizio hanno detto che il trasporto aereo in particolare low cost va ridotto ovunque. Si sono collegati quindi alle lotte del Comitato di Ciampino, di quello di Frosinone, dei gruppi che si oppongono all’ampliamento di Fiumicino. Hanno sostenuto con i loro studi sulla salute la battaglia contro l’ampliamento dell’aeroporto di Ampugnano a Siena, si stanno spingendo fino a Orio al Serio e fanno parte della campagna europea sull’aviazione civile.
Sul “collegamento fra i danni locali e i danni globali del trasporto aereo” Alessandro Pizzi ha insistito in scritti e conferenze. L’aviazione commerciale è un settore in incredibile aumento grazie ai bassissimi prezzi dei biglietti modello Ryan Air, nient’affatto corrispondenti al costo climatico e dunque ecosociale globale. Riassume Peppe Sini, del Centro ricerche per la pace di Viterbo: “Occorre una consistente riduzione del trasporto aereo, cominciando da quello militare ma comprendendo anche quello diportistico legato a un folle consumismo. Il trasporto aereo deve essere usato sobriamente e solo ove ve ne sia autentica necessità nell’interesse comune dell’umanità”. —