Diritti / Opinioni
Cina-Lombardia: alla ricerca delle origini del virus
Covid-19 ha dimostrato che l’ideologia del mercato non funziona nel campo della salute e dei diritti. Occorre farne memoria. La rubrica di Nicoletta Dentico
A un anno e mezzo dall’inizio della pandemia si riaccende la tensione tra Stati Uniti e Cina sulle origini del focolaio virale più globale della storia. Joe Biden lancia una commissione d’inchiesta sfidando Pechino, perché sia possibile farsi un’idea più attendibile sulle dinamiche che hanno scatenato SARS-CoV-2. Il tema ha infiammato qualche passaggio dell’Assemblea mondiale della sanità a maggio, e il G7 di giugno in Cornovaglia. Più che legittima la richiesta di fare chiarezza. La tardiva missione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) non ha dato risultati convincenti. Il panel indipendente sulla gestione del virus ha espresso poco coraggio, nel suo rapporto finale non menziona neppure l’oggettivo deficit di trasparenza da parte cinese. Riusciremo mai a venirne a capo, per sapere come tutto è cominciato?
A un anno e mezzo dalla pandemia che si è scagliata come uno tsunami contro l’Italia, epicentro della crisi sanitaria dopo la Cina, il nostro Paese non sembra granché interessato a indagare come sia arrivato Covid-19 dentro i nostri confini. A dicembre 2020 abbiamo appreso dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie che il virus SARS-CoV-2 era già presente in Italia, in un bambino di quattro anni a cui era stato tentativamente diagnosticato un morbillo, tre mesi prima della identificazione del “paziente uno” a Codogno.
La presenza del nuovo Coronavirus già alla fine del 2019 è stata retrospettivamente rintracciata in altri Paesi europei: si sono reperite tracce di SARS-CoV-2 nelle acque reflue di Barcellona sin da marzo 2019, e poi nelle acque reflue di Parigi. Lo studio sulle acque reflue a Milano e Roma risale solo al primo focolaio di Codogno. C’è qualcuno oggi che stia facendo indagini approfondite sulle acque in Italia, ai fini anche della attuale cinetica del virus?
Sul nostro Paese, sappiamo per certo che la Lombardia, dove tutto è cominciato, è diventata presto l’archetipo di un fallimento sanitario. Ma come è potuto accadere che una delle aree più ricche d’Europa si trasformasse nello scenario di un disastro di tali proporzioni? Il recente rapporto di “The Global initiative for economic social and cultural rights” ha il pregio di ricordare, a chi lo abbia dimenticato o lo voglia rimuovere, che il principale fallimento della Lombardia risiede nel livello di privatizzazione della sua sanità, uno dei più alti in Europa. E pensare che l’Oms citava la Regione come buona pratica per il coinvolgimento del settore privato in sanità. La deregolamentazione del sistema sanitario è iniziata nel 1997, da allora i privati hanno potuto liberamente decidere quali servizi erogare e come competere con il servizio pubblico per il finanziamento. Era costruita sugli incentivi di mercato, per cui i privati hanno scelto settori a massimo profitto e minimo rischio. Nel 2019 le prestazioni sanitarie private convenzionate (finanziate dal pubblico) avevano raggiunto il 41% in Lombardia, a fronte del 30% in Veneto (la Regione del parallelo focolaio di SARS-CoV-2).
1/3.000.000. Quando scoppia un ceppo infettivo, il controllo del contagio dipende moltissimo dalla capacità di detezione e analisi del virus. In Lombardia esiste un laboratorio pubblico ogni tre milioni di abitanti, uno ogni 500.000 abitanti in Veneto
L’emergenza ha fatto irruzione sull’impreparazione e sul disinteresse dei privati, mentre il pubblico era ridotto all’osso. All’arrivo di Covid-19, in Lombardia c’era un dipartimento di prevenzione ogni 1,2 milione di abitanti, più del doppio del Veneto (uno ogni 500mila abitanti) e un medico di famiglia ogni 1.413 abitanti, contro una media nazionale di un medico per 1.232 abitanti. Il nuovo Coronavirus ha dimostrato senza equivoci che l’ideologia del mercato non funziona nel campo della salute e dei suoi diritti. La Lombardia ne è un esempio mondiale. Non lo dimentichiamo.
Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici Senza Frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development.
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