Diritti / Opinioni
Sulle tracce di chi si occupa, e preoccupa, degli altri
Tra le vittime del volo ET302 del 10 marzo scorso c’erano anche otto italiani. Persone preparate che sapevano “pensare positivo”. La rubrica di Luigi Montagnini, medico senza frontiere
Si intitola “Il sacrificio dei buoni” l’articolo che Concita De Gregorio ha scritto per la Repubblica appena è stato pubblicato l’elenco delle vittime italiane del volo ET302 Addis Ababa-Nairobi del 10 marzo scorso. “Tutti lavoravano per migliorare le condizioni di vita di chi in questo mondo sta peggio di noi”, ha scritto in riferimento alle attività svolte dai nostri connazionali e alle ragioni che li volevano presenti su quell’aeroplano. Sette tra membri di Ong e agenzie umanitarie internazionali e un archeologo. Il mio pensiero è subito andato a tutte le persone che nel nostro Paese si occupano, e si preoccupano, degli altri. Sono tantissime, per la maggior parte sconosciute. Alcune diventano famose loro malgrado, come le vittime di questo incidente o come Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya nel novembre scorso. Tutte persone che sanno “pensare positivo”. In queste ultime settimane ho incontrato tante persone di questo tipo, cariche di energie buone, capaci di immaginare un mondo migliore. Le ho incontrate alla manifestazione “People – Prima le persone” del 2 marzo a Milano. Non ne parlo a sproposito, MSF rimane un’organizzazione medica umanitaria indipendente e senza alcuna simpatia politica. Abbiamo però deciso di aderire anche noi a “People” e non potevamo non esserci: “La politica della paura e la cultura della discriminazione viene sistematicamente perseguita per alimentare l’odio e creare cittadini e cittadine di serie A e di serie B. Per noi, invece, il nemico è la diseguaglianza, lo sfruttamento, la condizione di precarietà”. In questo appello, scritto nel manifesto della marcia milanese, c’è molto di quello per cui MSF lavora ogni giorno: ci sono le ragioni che hanno spinto e guidato la nostra presenza nel Mediterraneo dopo un’altra tragedia, quella del 3 ottobre 2013, quando annegarono 368 migranti davanti alle coste di Lampedusa.
139: gli operatori umanitari uccisi nel 2017 (fonte: aidworkersecurity.org). In passato la maggior parte delle morti degli operatori umanitari era dovuta a incidenti automobilistici. Dall’inizio del nuovo millennio sono aumentate quelle legate a episodi di violenza
Quella marcia non è stata solo una forma di lotta contro la paura, ma anche contro l’ignoranza, che della paura è la progenitrice. È proprio per combattere l’ignoranza che accetto sempre volentieri gli inviti a parlare agli studenti, come ho fatto poche settimane fa in un istituto tecnico di Savona. Anche lì ho incontrato persone belle. Docenti e ragazzi. Mi hanno aiutato a sfatare il luogo comune che ritiene che in un istituto tecnico ci sia poco spazio per trasmettere la cultura del rispetto e dell’uguaglianza. Ho raccontato i Paesi da cui fuggono gli uomini e le donne che ritroviamo sulle nostre coste. I ragazzi hanno mostrato di capire che esiste un modo diverso di leggere la cronaca martellante che trasmette ogni giorno allarmismo e diffidenza. Mi hanno posto molte domande, nessuna per giudicare, tutte per capire. Da lì a poco ho parlato al corso di Global Health dell’Università di Brescia, lo stesso che frequentai 15 anni fa per prepararmi alla mia collaborazione con MSF. È un corso rivolto a medici, infermieri e ostetriche che vogliono partire per il Sud del Mondo. Che sono pronti a seguire le tracce dei “buoni” del volo ET302 o quelle di Silvia Romano. Colleghi che non si sono accontentati del titolo di studio e delle posizioni raggiunte e che hanno capito che per “migliorare le condizioni di vita di chi in questo mondo sta peggio di noi” non bastano il buon cuore e del tempo libero. Servono competenza, professionalità, formazione. Bisogna studiare. Servono persone preparate, perché è un lavoro. Sette tra membri di ONG e agenzie internazionali e un archeologo.
Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese, Londra e Genova, oggi vive e lavora ad Alessandria, presso l’ospedale pediatrico “Cesare Arrigo”. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.
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