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Economia / Approfondimento

Chi guadagna dalla nuova corsa europea (e italiana) agli armamenti

© ENAAT - Tni

Mentre i governi europei decidono di aumentare drasticamente le spese militari, un nuovo rapporto di ENAAT e Tni mostra come i primi programmi di difesa dell’Ue, del valore di quasi 600 milioni di euro, siano inficiati da conflitti d’interesse, accuse di corruzione e siano notevolmente al di sotto di standard etici e legali

Le risorse pubbliche europee hanno arricchito aziende accusate di corruzione e l’agenda dell’Unione europea è condizionata dai lobbisti del commercio di armi, coinvolti in maniera attiva nell’influenzarne le decisioni. È quanto emerge dal report “Accendere le fiamme. Come l’Unione europea sta alimentando una nuova corsa agli armamenti” pubblicato il 17 marzo dall’European network against the arms trade (ENAAT), rete europea contro il commercio di armi, e dal Transnational Institute (Tni), istituto internazionale di ricerca e advocacy, secondo cui la rotta presa dall’Europa in direzione del militarismo non sarebbe aliena dall’ombra di conflitti di interesse, scarsa trasparenza, corruzione, accordi con Paesi che violano diritti umani. 

Il rapporto esamina due programmi che hanno preceduto l’attuale Fondo europeo per la Difesa (Edf) con cui la Commissione intende sostenere sviluppo e ricerca del settore, riservando un budget di quasi 8 miliardi di euro per il periodo 2021-2027: si tratta dell’Azione preparatoria sulla ricerca della difesa (PADR, 2017-2019), con più di 90 milioni di euro destinati dall’Unione europea a 18 progetti di ricerca; e il Programma europeo di sviluppo industriale della difesa (EDIDP, 2019-2020), con 500 milioni di euro, il primo con cui l’Ue ha puntato a sviluppare prodotti e tecnologie di difesa, oltre che a rafforzare quelle già presenti. Un totale di quasi 600 milioni di euro complessivi per i due programmi precursori dell’attuale (ancora in fase di lancio), che sono andati a finanziare anche società private (oltre che centri di ricerca) impegnate nel commercio di armi e tecnologie militari: si parla di 62 progetti di ricerca e innovazione militare interessati dai finanziamenti concessi in ambito PADR ed EDIDP. 

Il 68,4% dei fondi a sostegno dell’industria militare è andato a Francia, Germania, Italia e Spagna. Tra i principali beneficiari, considerando società e controllate, spiccano Leonardo, Indra, Safran, Thales, Airbus, Saab, Hensoldt, Fraunhofer. Solo Leonardo, di cui lo Stato italiano è il principale azionista, ha ricevuto fino ad oggi come finanziamenti per la difesa una somma che ammonta a ben 28,7 milioni di euro. Ma proprio Leonardo, in vetta alla classifica, come emerge dal report, è stata raggiunta, insieme alle sue controllate, da accuse di corruzione; che del resto non hanno risparmiato neppure Thales (beneficiario fino ad ora di 18,6 milioni di euro); la francese Safran (22,3 milioni di euro); Airbus (10,2 milioni di euro ricevuti) e Saab (fino ad ora di 10,7 milioni).

Non solo. Ben sette dei principali destinatari dei finanziamenti sono risultati coinvolti in accordi molto discutibili, tra cui l’esportazione verso Paesi in cui si violano i diritti umani. Airbus, Leonardo, Safran e Thales vengono citati anche in quanto coinvolti nello sviluppo, produzione o manutenzione di armi nucleari.

“Se ti prepari alla guerra avrai la guerra, se ti prepari alla pace avrai la pace”. Yurii Sheliazhenko, attivista pacifista ucraino

La pubblicazione del report, che sottolinea come l’approccio dell’Unione europea alla militarizzazione favorisca più di tutti l’industria delle armi, arriva nel momento in cui i leader europei, riuniti al vertice di Versailles il 10 e 11 marzo, hanno deciso una netta crescita delle spese militari, mentre in Italia è stato appena approvato alla Camera, con 391 voti favorevoli su 421 presenti, un Ordine del giorno proposto dalla Lega al “decreto Ucraina” che vede il governo impegnato sul fronte dell’aumento delle spese per la Difesa fino al 2% del Pil (entro il 2024): secondo i dati dell’Osservatorio Milex, in Italia, già ora tra i primi Paesi europei a spendere di più in proposito, vorrà dire passare da 68 milioni a 104 milioni di euro al giorno, e da 25 a 38 miliardi ogni anno. Sulla decisione della Camera ha pesato l’invasione russa dell’Ucraina, che è riuscita a compattare i partiti di maggioranza sul voto.

L’Unione europea punta da tempo a diventare “potenza militare globale”, spiegano gli autori del report: a oltre dieci anni dal Trattato di Lisbona del dicembre 2009, ad essere inseriti come sorvegliati speciali sono infatti le linee di bilancio create per finanziare ricerca e sviluppo su nuovi armamenti. Gli interessi industriali sono fortissimi. “Nove dei 16 rappresentanti nel Gruppo di personalità per la ricerca sulla difesa istituito dalla Commissione europea nel 2015 erano affiliati a società di armi, istituti di ricerca sulle armi e un’organizzazione di lobby dell’industria delle armi -si legge nel report-. In particolare le sei aziende militari erano Airbus, BAE Systems, Indra, Leonardo, MBDA e Saab, i due istituti di ricerca sulle armi Fraunhofer e TNO, e infine era parte del Gruppo anche l’organizzazione di lobby dell’industria delle armi, AeroSpace and Defence Industries Association of Europe”. Un gigantesco conflitto di interessi: coloro che hanno partecipato al “Gruppo” hanno ricevuto finora più di 86 milioni di euro, pari al 30,7% del bilancio assegnato. A tutto questo si aggiunge anche l’assenza di una regolamentazione europea su sistemi d’arma “innovativi” fondati su tecnologie “intelligenti”, che pure vengono finanziati: a destare preoccupazione è la mancanza di standard legali ed etici nell’autorizzare il finanziamento, in mancanza di controlli approfonditi rispetto al loro essere o meno in linea con il diritto internazionale. “Sebbene la ricerca e lo sviluppo di armi letali autonome senza un controllo umano significativo (come i ‘robot killer’) non sia (ancora) consentita dai criteri di finanziamento del Fondo europeo per la Difesa -ricorda Mark Akkerman, autore dello studio ENAAT e Tni- altre armi automatizzate, sistemi autonomi e tecnologie controverse lo sono”.

“Il Fondo europeo per la difesa e i suoi Programmi precursori mirano esplicitamente a rafforzare la ‘competitività globale’ della base industriale tecnologica della Difesa europea -concludono i ricercatori-. C’è una disconnessione assoluta tra le tecnologie create e l’impatto che avranno al di là dei profitti che genereranno. Inevitabilmente questi fondi contribuiranno ad aumentare le esportazioni di armi europee e alimenteranno la corsa globale agli armamenti, che a sua volta porterà a più guerre, maggiore distruzione, una significativa perdita di vite umane e un aumento delle migrazioni forzati. Mentre emergiamo da una pandemia globale non è mai stato così evidente che abbiamo bisogno di cambiare il paradigma di ciò che intendiamo per sicurezza, e chiederci cosa ci possa davvero far sentire sicuri. È l’investimento in armamenti, infrastrutture di difesa e militari? O è attraverso la garanzia di accesso a un sistema sanitario pubblico funzionante, l’istruzione e il miglioramento dell’accesso ai servizi sociali, la risposta al cambiamento climatico e le altre sfide che dobbiamo affrontare? Nel destinare miliardi di euro ai progetti di difesa, l’Unione europea ha fatto una scelta politica: ha scelto di dare la priorità ai profitti delle compagnie di armi altamente lucrative piuttosto che al benessere delle persone. Così facendo sta alimentando, piuttosto che arginare, l’instabilità e la probabilità di una guerra”.

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