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Economia / Opinioni

C’era una volta un Paese per ricchi

In Italia la ricchezza, e in particolare quella garantita dalla rendita, è tutelata e protetta. A costo di far esplodere le disuguaglianze. La rubrica di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 261 — Luglio/Agosto 2023

Quella che segue è una favola ambientata in un Paese per ricchi. Un rampollo di una ricca famiglia riceve in eredità immobili per dieci milioni di euro su cui deve pagare una tassa di successione del 4%, una delle più basse in Europa. Si tratta di appartamenti che gli fruttano affitti per decine di migliaia di euro; i suoi rapporti con il fisco si risolvono pagando una cedolare secca del 21%, un’aliquota concepita per battere la concorrenza dell’evasione e per moltiplicare l’offerta degli immobili in locazione. Entrambi gli obiettivi sono falliti, come i dati hanno ampiamente dimostrato, ma certo il felice rampollo beneficia di una “pressione fiscale” decisamente limitata che prescinde in toto dal suo reddito.

Se tra gli immobili ereditati ci fossero anche degli esercizi commerciali, i tempi per lui sarebbero destinati a diventare ancora migliori perché nella delega fiscale preparata dal governo (articolo 5) è prevista l’introduzione della cedolare secca anche per i negozi. Magari si trovano in un centro storico e dunque gli affitti gli rendono 25-30mila euro al mese e con queste entrate lo stesso rampollo guadagna in un anno oltre 500mila euro. Su questa entrata, tra qualche mese, pagherà il solito 21%. Se poi i suoi appartamenti diventano bed and breakfast, senza alcun cambio di destinazione urbanistica, e guadagna altri 300mila euro l’anno, il fortunato pagherà sempre il 21%.

L’incantato Paese di cui stiamo narrando è il nostro, l’Italia, dove è evidente che la ricchezza, in particolare quella sotto forma di rendita, è assolutamente tutelata. Se quel rampollo, per disgrazia, si fratturasse una gamba giocando a tennis verrebbe portato al pronto soccorso e curato gratis. O meglio, con le imposte del lavoratore dipendente che se guadagna fino a 28mila euro paga il 23% di tasse, più del 21% del ricco infortunato. Si tratta di una favola che corrisponde a una brutta realtà, destinata a moltiplicare le disuguaglianze sociali e a perpetuare discriminazioni facilmente constatabili. La prima è costituita dal fatto che ormai da più di duecento anni in quasi tutte le medie e grandi città italiane i principali proprietari di patrimoni immobiliari sono gli stessi: poche migliaia di famiglie possiedono parti enormi degli immobili dei centri urbani italiani.

La seconda disuguaglianza consiste nella sostanziale assenza di differenze nel carico fiscale che grava su piccolissimi e grandissimi proprietari; le cedolari secche hanno tolto ogni progressività all’imposizione sugli immobili a cui ha contribuito anche la cancellazione -in toto e senza alcuna distinzione- dell’Imu sulla prima casa. La rapida trasformazione di gran parte del patrimonio abitativo dei centri storici in bed and breakfast ha ulteriormente accentuato queste due condizioni perché molti degli appartamenti locati al turismo “mordi e fuggi” appartengono a grandi proprietari, come indicano numerose ricerche.

La tassazione fissa su tutti i redditi generati dagli affitti, senza differenze tra grandi e piccoli proprietari è al 21%. L’aliquota di un dipendente con reddito fino a 28mila euro è del 23%.

Non è banale infine ricordare che una fetta larghissima dei bonus edilizi ha riguardato proprietari dai redditi più alti. Secondo i dati del ministero dell’Economia, il Superbonus 110% è costato 76,1 miliardi di euro (ben più dei 35 stimati) e il bonus facciate è costato 19 miliardi anziché i 5,9 preventivati. Per un totale di 95 miliardi di euro. In altre parole, un euro investito nei due bonus ha partorito meno di un euro di beneficio. Ma il dato più rilevante è che una simile spesa abbia riguardato solo poco più del 3% del patrimonio immobiliare italiano. Un Paese per ricchi.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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