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Diritti / Reportage

Casa inagibile ma contratti regolari a Torino: il caso di corso Vigevano 41

Lo striscione appeso fuori dalla casa di Corso Vigevano 41 a Torino

Nell’immobile riconducibile alla sfera delle proprietà di Giorgio Maria Molino vivono tra le trenta e le cinquanta persone. Fino a qualche mese fa alcuni di loro erano regolarmente contrattualizzati nonostante le pessime condizioni delle abitazioni: controsoffitti pericolanti, cavi elettrici in vista, infissi divelti. Giovedì 30 maggio dovevano essere eseguiti tre sfratti. Il nostro racconto

“Che cosa devo fare? Non ho alternative”. Di fronte al civico 41 di corso Vigevano, a Torino Nord, Noah scuote la testa. Lavora come operaio con un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio mensile di oltre 1.500 euro ma da quattro anni vive in uno stabile che cade a pezzi riconducibile alla sfera delle proprietà di Giorgio Maria Molino, il “ras delle soffitte” proprietario di almeno 700 immobili in città.

“In cattivo stato manutentivo e ammalorato, con parti a tratti instabili e pericolanti”, così descrive il palazzo l’ordinanza a firma del sindaco di Torino Stefano Lo Russo con cui a inizio maggio di quest’anno ha dichiarato l’inagibilità di parte dell’immobile in cui vive Noah. Di fronte a questo, la mattina presto di giovedì 30 maggio gli inquilini aspettano l’ufficiale giudiziario chiamato a eseguire tre sfratti per “finita locazione”. Mentre muratori in sneakers, ingaggiati dalla proprietà, scaricano mattoni dal camion pronti a sfruttare l’occasione per murare gli accessi degli appartamenti.

“Qua dentro è un inferno”, racconta Junior, trentenne di origine nigeriana mentre fa strada all’interno del palazzo. Il vano di ingresso è pieno di rifiuti e i soffitti fatiscenti. Al primo piano, dopo un disimpegno con un materasso buttato a terra, si apre un lungo corridoio con alcune porte da cui si entra negli “alloggi”. La maggior parte dei quali si trovano però al piano superiore.

I controsoffitti sono pericolanti, i cavi elettrici corrono lungo il corridoio e gli infissi sono divelti e rotti. “Svolgiamo costante manutenzione -spiega il titolare del Consorzio Ricca, pronto con i suoi operai a ostruire l’accesso agli alloggi- gli inquilini poi distruggono tutto”. Ma le testimonianze degli abitanti di corso Vigevano 41 raccontano un’altra storia. Così come l’ordinanza comunale che riscontra al primo piano “controsoffitti modulari in cartongesso con pendinatura in cattivo stato di conservazione e in molti casi in fase di distacco”, oltre che impianti elettrici che risultano “in pessimo stato di conservazione e privi dei corpi illuminanti”.

Ed è in questo palazzo, al terzo piano, che Noah vive, come detto, da quattro anni. Un contratto, consultato da Altreconomia, da 432 euro mensili e cinque euro (sic) di acconto per le spese accessorie per le attività di pulizia, sanificazione e disinfestazione delle aree comuni. A questo si aggiunge l’obbligo per il conduttore di sottoscrivere una propria assicurazione “a tutela dei propri beni e della propria attività anche per i danni causati dalla proprietà (ad esempio incendi, rotture tubi, intasamento scarichi o perdite dei tetti)”. E non solo.

“Il conduttore abiterà nei locali visti, piaciuti e accettati nello stato di fatto e di diritto in cui attualmente si trovano dichiarati dal conduttore idonei ai propri scopi, esenti da difetti e in buono stato di manutenzione”. Così scrive l’Acaja Srl, società al momento della firma del contratto riconducibile a Giorgio Maria Molino, di cui abbiamo già scritto in questa inchiesta. “Viviamo in sei in una camera, cucina e bagno -sottolinea Noah-. Io pago regolarmente l’affitto ma è certo che se avessi un’altra opportunità me ne andrei. Nessuno sceglierebbe di stare qui”.

Il vano scala all’ingresso della palazzina di corso Vigevano

Tutti conoscono le condizioni di quel palazzo diventato abitabile a inizio 2015. “Quando sono arrivati gli zingari”, riprende il capo cantiere. Si riferisce al progetto “La città possibile” con cui il Comune inserì nel palazzo diverse famiglie delle 200 persone sgomberate da Lungo Stura Lazio, il più grande insediamento rom di Torino. Un social housing con cui le società di Molino hanno ricevuto finanziamenti pubblici è diventato presto l’inferno che è oggi. La prima ordinanza di inagibilità risale al giugno 2019. Poi seguono le polemiche per la presenza di presunti spacciatori e soprattutto si susseguono piccoli incendi. L’ultimo, a fine febbraio, ha portato il Comune di Torino all’accesso dopo il quale si è arrivati all’inagibilità. “Fino a giugno ho pagato il canone poi la proprietà ha smesso di chiedermi i soldi”, racconta Junior. Noah, invece, ha pagato fino a settembre 2023. Racconta anche lui di aver smesso di farlo in accordo con la proprietà che però poche settimane dopo gli ha notificato uno sfratto per morosità.

Uno dei controsoffitti pericolanti
Il cortile interno alla palazzina

Nessuno sembra chiedersi come sia possibile siglare un contratto valido per una struttura simile. “Ci sono tante situazioni come questa”, spiega uno degli agenti della polizia municipale che ha raggiunto lo stabile. “Prendocasa”, collettivo da anni attivo in picchetti antisfratto, chiede una soluzione per gli inquilini. Un rappresentante della proprietà vuole procedere a murare i corridoi del secondo piano. “Le persone possono spostarsi in un altro punto dello stabile”, suggerisce uno che tutti chiamano Pino.

Arriva anche un dirigente dei servizi sociali del Comune di Torino, appunta i nominativi degli inquilini sul taccuino e chiede tempo dicendo che trovare posto per cinquanta persone dalla mattina alla sera è impossibile. Pretende che i muratori rendano agibile almeno parte degli appartamenti. “Impossibile”, replica ancora Pino. Da tre giorni luce, gas e acqua sono staccati. Alla fine l’accordo arriva: per un mese e mezzo lo sfratto non avverrà. Gli inquilini del primo piano, inagibile, verranno trasferiti in quelli superiori nell’attesa che il Comune trovi una soluzione alternativa. E i tre sfratti previsti vengono momentaneamente rinviati grazie all’intercessione di avvocati, Prendocasa e altri attivisti del quartiere Aurora. Ma il giorno successivo, venerdì 31 maggio, i proprietari dell’Acaja Srl fanno nuovamente marcia indietro. Le trattative a inizio giugno sono ancora in corso.

Il retro della palazzina di corso Vigevano 41

La vicenda di corso Vigevano fotografa così un sistema sempre più in sofferenza in cui pagano le conseguenze più gravi le persone ai margini. Secondo una ricerca in corso sul mercato immobiliare torinese promossa dal Future Urban Legacy Lab (Full) del Politecnico di Torino, tra aprile e dicembre 2023 l’offerta di appartamenti in affitto a meno di 400 euro al mese (superiori a 40 metri quadrati) è diminuita del 50%; quella relativa agli alloggi a meno di 600 euro del 31%, mentre è rimasta stabile l’offerta di appartamenti più grandi (superiori a 70 metri quadrati) e costosi (800 euro). “Un restringimento notevole -spiega Francesco Chiodelli, ricercatore all’Università di Torino e responsabile della ricerca-. Servono più dati per poter affermare se è un calo strutturale o congiunturale. Ma è certo che la riduzione netta c’è stata e ha colpito soprattutto quegli appartamenti più redditizi per gli affitti brevi ma anche più accessibili per gli abitanti”. Insomma, Torino, seppur ancora distante da altre città (a Milano il costo al metro quadrato degli affitti è doppio rispetto al capoluogo piemontese), non può dormire sonni tranquilli. E la campagna “Vuoti a rendere”, nata dal basso grazie alla collaborazione di decine di organizzazioni, prova a tracciare una possibile via d’uscita.

“Nella delibera di iniziativa popolare che proponiamo chiediamo che innanzitutto si mappino i vuoti: quanti sono e di chi sono -spiega Rocco Albanese, tra i coordinatori della campagna-. E poi, una volta individuati, saranno i proprietari pubblici e privati, su diffida del Comune, a dover spiegare all’amministrazione comunale perché quegli spazi sono in disuso. In caso di mancata risposta scatterà la sanzione”. Martedì 29 maggio sono state consegnate in Comune oltre tremila firme raccolte per la delibera. Ora la campagna passa alla fase due e presto alcuni dei firmatari saranno auditi nelle commissioni consiliari del Comune. Delle tremila firme raccolte, quasi 700 erano di persone non residenti. “Il fatto che qualcuno non voti è irrilevante -conclude Albanese- il diritto alla casa è di tutti”.

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