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Finanza / Opinioni

Banche, domina l’azzardo. Tre grandi crisi finanziarie in vent’anni hanno insegnato poco

© Amanda Jones - Unsplash

Il sistema della turbofinanza stava in piedi per l’enorme liquidità disponibile che ha generato però un’ondata di inflazione speculativa. Ora i tassi alti tolgono valore a tutti i portafogli bancari e vengono a galla i prezzi drogati. In queste condizioni -vedi Credit Suisse- il contagio può estendersi a macchia d’olio, osserva Alessandro Volpi

Il sistema bancario europeo è attraversato da serie minacce. La “fusione” di Ubs e Credit Suisse ha prodotto una realtà che ha in pancia strumenti derivati per diecimila miliardi, la cui regolazione è del tutto aleatoria visti i controlli della debole autorità di controllo elvetica. Sono una possibile miccia, che non sarà facile spegnere, a cui se ne aggiungono almeno altre due: i credit default swap “nudi”, cioè le assicurazioni contro i rischi di perdita di valore dei titoli, comprate e vendute da chi non possiede quei titoli, e le vendite allo scoperto, le scommesse al ribasso fatte da chi, ancora una volta, non ha i titoli. Alla luce di ciò la domanda retorica è semplice. Ma come è possibile che dopo tre grandi crisi finanziarie in vent’anni non si siano tolti di mezzo questi ordigni che, di fatto, separano la finanza dall’economia reale e trasformano strumenti di contenimento del rischio in elementi di continua moltiplicazione del rischio?

La risposta purtroppo è altrettanto semplice: perché ha comunque continuato a dominare l’idea che la finanza fosse il principale motore di produzione della ricchezza. L’attuale crisi bancaria ha persino un protagonista nuovo: si tratta delle obbligazioni AT1. Sono obbligazioni “subordinate” che in termini di rischio sono inferiori solo alle azioni. Sono nate, in sostanza, dopo la crisi del 2008 perché avrebbero dovuto servire a rendere meno pesanti le situazioni critiche soprattutto delle banche. In pratica, sono nate come strumento contro le crisi e, ancora una volta, contro il rischio; questa è infatti la definizione formale con cui sono state introdotte. In realtà, dopo che con la crisi di Credit Suisse è stato deciso di non rimborsale in toto, sono diventate carta straccia e, soprattutto, oggetto di sospetto per tutte le banche che le hanno emesse. È bene ricordare che di tali obbligazioni ne circolano per poco meno di 300 miliardi di dollari, emesse per l’80% da banche e istituzioni europee.

È evidente che in questo momento è partita la caccia degli speculatori per capire quali banche ne hanno di più e quali danno segnali di volerle “ritirare” anticipatamente. Quindi tutto ciò genera una grande tensione. Inoltre, si tratta di capire se queste obbligazioni sono state inserite in fondi o in altri prodotti finanziari, come avvenne nel caso dei mutui cartolarizzati, perché in questo caso il rischio non è neppure evidente, ma nascosto in altri titoli. Il paradosso è, così, evidente.

Per evitare che si ripeta la crisi del 2008 sono stati creati nuovi strumenti finanziari che, invece di scongiurare una simile eventualità, moltiplicano le possibilità che si ripeta; un rischio accresciuto, ora, dalla mancanza di liquidità determinata dagli alti tassi. In simili, insidiosissime, condizioni, Christine Lagarde ha sostenuto al recente Summit dell’eurozona che il sistema bancario è solido e che comunque la Banca centrale europea ha tutti gli strumenti per intervenire e immettere liquidità nel sistema “nel caso ce ne fosse bisogno”. Al tempo stesso ha tenuto a precisare che è però “determinata a riportare l’inflazione al 2%”. Tutto e il contrario di tutto. Il sistema della turbofinanza -non del mercato- stava in piedi per l’enorme liquidità disponibile che ha generato però un’ondata di inflazione speculativa. Ora i tassi alti tolgono valore a tutti i portafogli bancari e vengono a galla i prezzi drogati. In queste condizioni il contagio può estendersi a macchia d’olio perché la regolazione finanziaria non offre grandi garanzie e soprattutto non ha eliminato l’arma di distruzione di massa di queste crisi, a cominciare proprio dalle vendite allo scoperto. 

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento


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