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L’attesa della nave “Ocean Viking” nel Mediterraneo, senza luogo sicuro per sbarcare
Il 13 agosto, dopo quattro giorni di soccorsi, MSF e SOS MEDITERRANEE hanno chiesto “formalmente” alle autorità maltesi e italiane di assumere il “coordinamento” delle operazioni nonché di aiutare “a individuare un luogo sicuro”. Al 19 agosto -mentre Open Arms è costretta appena fuori da Lampedusa e va prefigurandosi un inconcepibile trasferimento verso la Spagna- le due organizzazioni sono ancora in attesa di un riscontro positivo. Intervista ad Avra Fialas (SOS MED), a bordo della nave
Lo scorso 13 agosto, dopo quattro giorni consecutivi di soccorsi nel Mediterraneo centrale, con 356 uomini, donne e bambini vulnerabili a bordo della nave Ocean Viking, Medici Senza Frontiere (MSF) e SOS MEDITERRANEE hanno chiesto “formalmente” alle autorità maltesi e italiane di assumere il “coordinamento” delle operazioni nonché di aiutare “a individuare un porto sicuro dove sbarcare le persone soccorse”. Al 19 agosto, una settimana dopo -mentre la Open Arms è costretta appena fuori da Lampedusa e va prefigurandosi un inconcepibile trasferimento verso la Spagna- le due organizzazioni sono ancora in attesa di un riscontro positivo. “Le autorità maltesi hanno dato risposta negativa, dagli italiani nessun riscontro”. Avra Fialas, responsabile della comunicazione per SOS MEDITERRANEE, è a bordo della nave di ricerca e soccorso Ocean Viking, partita dal porto di Marsiglia lo scorso 4 agosto.
Fialas, quante persone avete tratto in salvo e in quali condizioni le avete trovate tramite lavoro di supporto di MSF?
AF In quattro operazioni di soccorso diverse, una ogni giorno dal 9 al 12 agosto, abbiamo soccorso 356 persone tra le quali cinque donne e quattro bambini e il 26% di minori non accompagnati. La maggior parte delle persone è del Sudan, e poi del Senegal, Sud Sudan, Mali, Costa d’Avorio, Ciad, Gambia e altri.
I nostri dottori di Medici Senza Frontiere hanno detto che non ci sono casi medici “critici”, a parte un paziente con malattia cronica. Hanno visto molti segni di torture dai centri di detenzione libici (“Le persone a bordo, inclusi i minori, hanno raccontato di essere state torturate con elettroshock, picchiate con bastoni e fucili o ustionate con plastica fusa. Mi dicono di sentire ancora il dolore delle ferite e delle cicatrici che hanno subito in Libia” ha spiegato nei giorni scorsi Luca Pigozzi, medico di MSF a bordo della Ocean Viking).
[Alessandro Porro, nell’attuale missione della Ocean Viking, è deck leader, colui che si occupa della “messa in mare delle barche, della ricezione dei naufraghi e del lancio delle attrezzature di emergenza”. Aggiunge dettagli importanti delle operazioni condotte in questi giorni.
AP I quattro gommoni in questione sono stati soccorsi a circa 60, 50, 40 e poi ancora 40 miglia dalle coste libiche, ben oltre il limite delle acque territoriali (12 miglia). In tutti i casi i gommoni sono stati avvistati al binocolo o al radar, in due casi seguendo le tracce radar di aerei militari europei che non hanno mai risposto alle nostre chiamate via radio. Tutti gli interventi sono stati fatti usando due delle nostre barche di salvataggio, tenendo Ocean Viking a distanza di sicurezza (oltre 300 metri). I primi tre gommoni erano in condizioni strutturali buone, senza cioè rotture evidenti, ma il quarto gommone si è sgonfiato al nostro arrivo, causando la caduta in acqua di molte persone. Il quarto gommone era particolarmente affollato, il che ha richiesto l’uso di zattere di emergenza per la sua evacuazione.]
Fialas, ci sono stati contatti o contrasti con la cosiddetta “guardia costiera libica”?
AF SOS MEDITERRANEE dopo ogni soccorso, secondo le leggi marittime internazionali, ha contattato le autorità competenti che sono il JRCC libico. Abbiamo provato varie volte a contattarli tramite VHF e telefono ma non è arrivata alcuna risposta. Quindi abbiamo scritto e-mail. Il giorno dopo il primo soccorso e il giorno dopo l’ultimo ci hanno risposto tramite email dicendo di sbarcare le persone a Tripoli. Abbiamo declinato e chiesto un’alternativa visto che secondo leggi internazionali al momento nessun posto in Libia può essere considerato un luogo sicuro.
Come si sono comportate le autorità italiane? E quelle maltesi?
AF A seguito del silenzio per una soluzione alternativa da parte dalle autorità libiche, abbiamo contattato i centri di coordinamento MRCC più vicini (sempre secondo le regole internazionali), quindi Malta e Italia. Le autorità maltesi hanno dato risposta negativa, dagli italiani nessuna risposta. Da premettere che durante i soccorsi, quando i libici non rispondevano, abbiamo contattato gli italiani che ci dicevano di contattare i libici anche se gli dicevamo che non rispondevano. Ad ogni modo, tramite la pagina onboard.sosmediterranee.org, si possono ricostruire tutti i nostri passi dalla partenza da Marsiglia lo scorso 4 agosto.
Avete avuto contatti con altre autorità europee, agenzie o missioni internazionali?
AF Dalla nave seguiamo i passaggi previsti dalla legge, quindi i contatti sono stati con i MRCC più vicini a noi e sempre con in copia il nostro Stato di bandiera, la Norvegia. Tutto il resto succede da terra.
Che cosa avete fatto dopo gli interventi di soccorso?
AF Come già detto abbiamo contattato tutte le autorità competenti. Poi come si può vedere anche nel logbook, abbiamo continuato a cercare un barcone per un giorno dopo l’ultimo soccorso il 12 agosto e poi pian piano, quando non lo abbiamo trovato perché probabilmente è stato intercettato dai libici, ci siamo diretti verso Nord fuori dalla SAR libica e nella posizione di ora di “standby” tra Malta e Linosa, in acque internazionali.
Dopo anni di bugie tocca ancora chiarire concetto e normative relative a quello che la politica riduce a “porto sicuro”. Hai voglia di farlo ancora una volta? Perché il nostro Paese e non altri?
AF “Perché l’Italia?” è semplice, è la geografia. Inoltre si chiama “luogo sicuro” e non “porto sicuro” secondo le leggi marittime internazionali. Non c’è da chiarire. La legge e le convenzioni internazionali son chiare e senza aree grigie. E i Paesi firmatari come tutti in Europa dovrebbero seguirle, finalmente. Non dovremmo essere noi a ripetere all’infinito che i Paesi si devono assumere le loro responsabilità in materia di ricerca e soccorso in mare.
Come il “decreto sicurezza bis” o altri strumenti normativi interni limitano o vanificano le vostre operazioni qualora entraste in porto? La “differenza” sta nell’entrare in porto o meno?
AF SOS MEDITERRANEE ha sempre detto che non forzerà l’entrata in acque territoriali di nessun Paese. Seguiamo la legge marittima internazionale e aspettiamo indicazioni dalle autorità competenti. E comunque non è un problema di un singolo Paese ma collettivo di tutta l’Europa. La nostra organizzazione, da più di un anno, chiede ai Paesi europei di stabilire un meccanismo di sbarco coordinato, condiviso efficace e prevedibile.
Che cosa prevede la normativa internazionale in materia di soccorso in mare e quale situazione “pratica” invece state vivendo in queste ore?
AF Come noto, prevede uno sbarco in un luogo sicuro il più presto possibile. Noi siamo al decimo giorno dal primo soccorso senza luogo sicuro per sbarcare.
Che tipo di iniziative legali avete in animo di compiere qualora le autorità italiane impediscano l’ingresso in porto?
AF Seguiamo la legge, aspettiamo indicazioni.
La Spagna ha proposto, in ritardo e non senza ipocrisia, porti di sbarco a Open Arms dicendosi pronta ad agire in casi straordinari. La vostra nave batte invece bandiera norvegese. Come si è comportato e come si comporta il governo norvegese verso di voi?
AF Il nostro Stato di bandiera, come detto, è in copia a tutte le nostre comunicazioni dalla nave ed è informato con i nostri report e tutto il resto.
A due anni dal “codice di condotta” Minniti e a quasi tre dai sospetti infondati dell’Agenzia Frontex verso le Ong, il Mediterraneo è sprovvisto di un sistema integrato di soccorso in mare. Che idea si è fatta e quali possono essere eventuali soluzioni?
AF Oltre a quanto già detto, penso che la criminalizzazione delle navi civili debba smettere. In più l’Ue dovrebbe ripristinare le operazioni di ricerca e soccorso in mare con assetti navali e non solo con assetti aerei, che comunque non hanno nessuna comunicazione con le navi civili come la nostra. In quattro soccorsi solo un aereo militare europeo ha risposto alle nostre comunicazioni. Negli altri tre, mai.
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