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Cultura e scienza / Intervista

Sergio Astori. Resilienza, cadere per poi rialzarsi

Spesso il termine ‘resilienza’ è inteso in senso riduttivo, una sorta di ‘resistenza ad un evento negativo’. Ma così si fraintende. É ben più che ‘non cedere alle avversità’. Piuttosto un processo che prevede la capacità di piegarsi, di cadere,…

Tratto da Altreconomia 200 — Gennaio 2018

Spesso il termine ‘resilienza’ è inteso in senso riduttivo, una sorta di ‘resistenza ad un evento negativo’. Ma così si fraintende. É ben più che ‘non cedere alle avversità’. Piuttosto un processo che prevede la capacità di piegarsi, di cadere, e di rialzarsi”. Psichiatra, psicoterapeuta, un dottorato in Salute pubblica, docente alla facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, Sergio Astori è autore di “Resilienza. Andare oltre: trovare nuove rotte senza farsi spezzare dalle prove della vita”.

Un successo editoriale. Eravamo abituati a sentir parlare di resilienza quando si tratta di adattamento ai cambiamenti climatici…
SA La psicologia ha utilizzato il termine per riferirsi alla capacità di superare situazioni drammatiche, di risollevarsi dopo una crisi, di riprendere il cammino. Accade, ad esempio, a chi si si deve misurare con il cambiamento improvviso e si rialza dopo una disabilità, una malattia, la perdita di lavoro o del riferimento abitativo, una tragedia collettiva o un disastro ambientale.
Chi é resiliente esercita fortezza, promuove perseveranza, fedeltà e pazienza inserendole in atti concreti.  Si tratta di una virtù dell’uomo che sempre e comunque ha a che fare col senso della relazione. Tutti i percorsi di resilienza sono essenzialmente comunitari e hanno a che fare con chi è prossimo e con l’ambiente sociale e culturale nel quale ci troviamo, specie se la difficoltà è collettiva. I processi comunitari hanno poi il vantaggio di poter essere sostenuti da quelli che in letteratura vengono chiamati ‘tutori’ o ‘facilitatori’ di resilienza: laddove esistono, i germi di resilienza possono diventare germogli grazie al loro aiuto. Ad esempio Nelson Mandela, che ha seminato il bene nel male come soluzione alternativa all’opporsi frontalmente. O in Italia padre Pino Puglisi, che ha dato la sua stessa vita per mostrare che ci si può ribellare alle logiche di morte dei sistemi criminali.

Possiamo ampliare il ragionamento nel caso delle guerre, o del terrorismo
SA Le collettività possono essere dotate di capacità di resilienza e di interpretazione della dimensione traumatica che fa sì che sin da subito si possa iniziare a rispondere con competenza a situazioni di profondo turbamento. Ricordiamo, ad esempio, l’appello che Tony Blair fece appena dopo gli attentati di Londra, riferendosi alla capacità di resilienza che il popolo inglese aveva messo in atto sotto le bombe tedesche, ma gli esempi sono numerosi. Chi opera violenza lo fa per perseguire sistematicamente la strada del ‘colpire e scappare’, lasciando dietro di sé paura e terrore. L’operazione più resiliente che si possa fare è attivare solidarietà, sostegno, aiuto. La scommessa della resilienza è quella di cogliere segnali di fiducia, speranza realistica e capacità realizzativa. Una contronarrazione rispetto al terrorismo.

“Ci si piega a causa di un’avversità, ma questo flettersi permette anche di incamerare energie per ‘rimbalzare’. Non solo riconquistando la posizione precedente, ma ulteriori punti di approdo, magari non immaginati”

Una sorta di rinascita
SA La resilienza ha molto a che fare con la capacità di riorganizzazione, soprattutto in termini di priorità. Riorganizzazione che a livello individuale è sia sul piano pratico -la gestione diversa del proprio rapporto con l’abitare, il lavoro, il tempo libero, con le dimensioni creative- sia sul piano dei principi. La sfida maggiore che possiamo immaginare ha a che fare con la perdita della vita -la paura della propria morte, o di un familiare-, ma non va sottovalutata la sfida di chi affronta la perdita di senso della vita. La realizzazione autentica dell’essere umano passa attraverso la consapevolezza della vulnerabilità: lasciarsi istruire dalla frattura non negandola, ma facendola diventare chiave di lettura di una realizzazione più completa.

La crisi economica del mondo occidentale ha acuito problematiche psichiche nella popolazione? La risposta è stata resiliente?
SA Innanzitutto, va detto che la psichiatria italiana è stata storicamente un faro di innovazione quando ha accettato la sfida di riformarsi smettendo di essere un sistema custodialistico. Certamente, ciò che colpisce la comunità, dalla precarietà economica alla mancanza di fiducia verso il futuro, aggrava i quadri di sofferenza psichica, e operazioni resilienti sono sempre necessarie. Può essere utile paragonare il processo con il sistema immunitario, caratterizzato da una costante lettura e interpretazione di quel che accade al corpo umano. Siamo coperti da un’immunità generica, ma spesso sviluppiamo immunità specifiche. Questo determina apprendimento. Fuor di metafora, la capacità di superamento delle difficoltà -specie quando sono comuni- permette di scavare più a fondo, alla ricerca di un senso che finisce per essere il frutto più prezioso di questa ‘ripartenza’. Ci si piega a causa di un’avversità, ma questo flettersi permette anche di incamerare energie per ‘rimbalzare’. Non solo riconquistando la posizione precedente, ma ulteriori punti di approdo, magari non immaginati. Funziona quando non si oppongono le vele al vento contrario, con il risultato di rimanere fermi, se non di arretrare; funziona quando il vento contrario è intrappolato con l’astuzia di farsi portare verso nuove rotte”.

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