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Diritti / Reportage

Appunti dal Kurdistan iracheno (ultima parte): l’uscita dal campo e la “differenza”

Il racconto di Cecco Bellosi dal campo profughi di Makhmour, nel nord dell’Iraq, al confine con la Turchia e con la Siria, dove 13mila persone hanno organizzato una forma di democrazia partecipata che vede protagoniste le donne. L’ultima parte

© mhrezaa / Unsplash

Dal 27 settembre al 7 ottobre 2019, Cecco Bellosi, scrittore e coordinatore dell’”Associazione Comunità Il Gabbiano”, ha raggiunto con l’”Associazione Verso il Kurdistan” il campo profughi di Makhmour. Con lui Giorgio Barbarini, medico del reparto malattie infettive di Pavia. Hanno portato medicinali, in particolare linguette per la misurazione della glicemia, antiinfiammatori, antibiotici, antiipertensivi. “Questi non sono appunti di viaggio -premette Bellosi- ma di un’esperienza in un campo profughi che in questi mesi è diventato un campo di prigionia”. Qui l’introduzione.


Domenica 6 ottobre. L’uscita dal campo

Oggi tocchiamo con mano che cosa vuol dire l’embargo per il campo di Makhmour imposto dal governo regionale del Kurdistan iracheno, in accordo con la Turchia. Il popolo del campo da tre mesi non può uscire, né per lavoro, né per altri motivi. Il rappresentante delle relazioni esterne ha chiesto il permesso per poterci accompagnare fino a Erbil, ma il permesso è stato negato. Potranno accompagnarci solo fino al primo check point, dove ci aspettano dei tassisti della città di Makhmour. Da lì in avanti è una sequenza di controlli: sbrigativi quelli ai due posti di controllo iracheni, sempre più lunghi e insistenti ai tre posti di controllo del governo regionale.
Tra il campo e l’esterno è stata posta una serie di barriere a ostacoli.
Ci vogliono oltre due ore per arrivare ad Erbil, dove arriviamo in un normale albergo dopo dieci notti sul pavimento della casa del popolo. Non mi piace per nulla questo passaggio: ho già nostalgia di quei giorni, con il poco cibo curato con grande attenzione, e di quelle notti in sette per stanza, su dei tappeti stesi a terra.
Lucia e altri compagni del gruppo vanno a chiudere la pratica di acquisto dell’autoambulanza. Finalmente, dopo giorni estenuanti per la difficoltà di comunicare con l’esterno dal campo. La pratica viene risolta subito e inaspettatamente, anche con l’aiuto di alcuni compagni dell’HDP, il partito di sinistra nel Kurdistan iracheno. L’ambulanza, nuovissima, viene portata dallo stesso concessionario, una persona sensibile alla questione curda, al campo (lui, essendo un cittadino di Erbil, può muoversi), dove un video registra l’ingresso al presidio ospedaliero.
Missione compiuta.
Con gli altri del gruppo andiamo a fare un giro in città, verso la cittadella. Ma Erbil mi ricorda troppo il nostro mondo, tra l’inquinamento dei pozzi petroliferi alla periferia, le centinaia di autocisterne in fila per il rifornimento, un traffico caotico. Unica differenza con le città occidentali, il suk mischiato alle firme della moda che hanno infettato le città di tutti i continenti. Torno in albergo e guardo lo scorrere delle code dalle vetrate: ho bisogno ancora di una barriera per affrontare questo mondo.
Se è ancora un mondo.


Lunedì 7 ottobre. La differenza

Saliamo in gruppo alla cittadella di Erbil, patrimonio mondiale dell’Unesco. La più antica cittadella fortificata del mondo, costruita su undici strati successivi. Incontriamo il direttore del sito, che ci accoglie come dei vecchi amici e ci porta a visitare i luoghi ancora chiusi al pubblico per i lavori di scavo. Parla fluentemente tedesco e inglese, ha abitato in Germania; poi, in piena guerra, nel 2002 è stato chiamato a ricoprire il ruolo di sindaco della città. Lo ha fatto fino al 2016. Erbil ha più di un milione di abitanti, il Kurdistan iracheno non supera i quattro milioni di abitanti. Eppure negli anni scorsi sono stati accolti oltre due milioni di profughi fuggiti di fronte all’avanzata dell’ISIS. E loro li hanno ospitati senza alcun problema. E chi ha voluto rimanere, è rimasto. Mi viene in mente che da noi, noi?, si parla indecentemente di invasione di fronte a poche migliaia di migranti che rischiano la vita attraversando il mare. C’è chi guarda avanti, e forse ha un futuro; e c’ è chi non sa guardare da nessuna parte, e non ha passato, presente e futuro.
Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre si parte.
Verso la notte dell’Occidente.

Mercoledì 2 ottobre. Giovedì 3 ottobre.
Il protagonismo delle donne e il confederalismo democratico

Venerdì 4 ottobre. Sabato 5 ottobre.
Incontro con M e con i giovani che difendono il campo

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