Cultura e scienza / Intervista
Andrea Ceccherelli. Lo stupore di Wislawa Szymborska
La poetessa polacca moriva dieci anni fa. I suoi versi hanno mostrato uno sguardo decentrato sul mondo, insegnando a osservare con occhi diversi quello che ci circonda
“Ancor di più oggi, al mondo, serve lo sguardo stupito di Szymborska”. Non ha dubbi il professor Andrea Ceccherelli del Dipartimento di lingue, letterature e culture moderne dell’Università di Bologna specializzato in letteratura polacca: a dieci anni di distanza da quel primo febbraio in cui Wislawa Szymborska moriva, a 89 anni, nella sua abitazione di Cracovia i suoi versi hanno ancora tanto da insegnare. Ripercorriamo con Ceccherelli -che fin da studente ha approfondito la figura di Szymborska arrivando a pubblicare diversi libri su di lei tra cui “Szymborska. Un alfabeto del mondo” (Donzelli, 2016), “Cianfrusaglie del passato” (Adelphi, 2015) e “Nulla di ordinario” (Adelphi, 2019)- la figura della poetessa polacca insignita, nel 1996, del premio Nobel per la letteratura.
Professor Ceccherelli, che poesia è quella di Szymborska?
AC È una poesia che affronta questioni importanti e complesse in modo accessibile e in questo si differenzia da molta poesia di oggi che parla invece di temi futili in modo complesso. Parla della vita, della morte, dell’amore ma tocca anche questioni di estrema attualità: il terrorismo, le migrazioni. È una poesia che riflette e fa riflettere: anche quando parla di temi più legati alla cronaca li porta su un altro piano. Nei versi de “Il cielo” scrive: “I miei segni particolari incanto e disperazione”. Questi due aspetti, in un equilibrio mirabile, fanno la grandezza della poesia della Szymborska: se fosse solo incanto sarebbe superficiale, se fosse solo disperazione sarebbe nichilismo. Invece avere sempre presente nell’incanto la disperazione e nella disperazione l’incanto rendono la sua poesia così particolare e grande. C’è un verso che è tratto da “La realtà esige” che spiega molto bene come la Szymborska arrivi all’elogio del mondo attraverso una via negativa. Dice: “Questo orribile mondo/ non è privo di grazie/ non è senza mattini per cui valga la pena svegliarsi”.
“Stupefacente” è un aggettivo molto utilizzato dalla poetessa. Cos’è per la Szymborska lo stupore?
AC Senza lo stupore non si può pensare perché non è possibile guardare le cose in maniera diversa: per cercare di capire il mondo bisogna imparare a stupirsi. La prima cosa che ho scritto su di lei, quando ero ancora studente, si intitolava “La lezione dello sguardo”: la Szymborska ci insegna a guardare il mondo con occhi diversi di fronte alle cose apparentemente insignificanti che abbiamo intorno. Uno sguardo decentrato che tira fuori sé stesso dal centro del mondo. Chi legge le sue poesie si accorge di quanto poco si dica “io”: nelle rare volte in cui lo si incontra non è un io della confessione ma del pensiero. Per dire la sua disperazione quando le muore il compagno, nel 1990, lei dà la sua voce a un gatto e scrive “Il gatto in un appartamento vuoto” che è forse la sua poesia più famosa. Non esprime il suo dolore in prima persona ma lo fa attraverso gli occhi del gatto del suo compagno che rimane da solo e che non capisce che cosa sia successo. Così come la morte dei nostri cari è incomprensibile anche per noi.
“Chi legge le poesie di Szymborska si accorge di quanto poco si dica ‘io’: nelle rare volte in cui lo si incontra, non è un io della confessione ma del pensiero”
Come influenza la poesia della Szymborska l’aver vissuto in un Paese, la Polonia, che all’epoca era ai margini della vita culturale europea?
AC Le prime raccolte della Szymborska, negli anni Cinquanta, sono legate alla realtà della Polonia dell’epoca: l’inizio del comunismo, lo stalinismo, il realismo socialista. Dopo il disgelo del 1957 nasce invece la sua poesia matura. Una svolta in cui i versi diventano apparentemente “slegati” dal contesto che la poetessa vive: una poesia senza luogo, senza tempo e universale che si legge senza ricorrere alle note a piè di pagina che ci spieghino quando è stata composta. Anche per questo è molto fruibile, che non vuol dire superficiale.
Però l’evoluzione del “credo” politico di Szymborska incide sulla sua poesia. Come?
AC A ventidue anni è priva di coscienza politica e si lega man a mano a un ambiente intellettuale di sinistra fino a sposare, nel 1948, il poeta Adam Wlodek molto attivo in politica. Sposa l’ideologia comunista. Lei stessa a distanza di anni dirà: “Ci ho creduto”. Crede che in quel momento si stia costruendo in Polonia, nel mondo, qualcosa di importante e migliore. Pubblica due raccolte che rispondono ai dettami del realismo socialista che era lo stile imposto dal regime in quel periodo. Con il disgelo nel 1957, Szymborska non diventa anticomunista ma anti-ideologica: contro ogni sentimento collettivo e ogni verità generale non verificata. L’esperienza dell’adesione all’ideologia le fornisce gli anticorpi e le fa capire quanto tutti siamo inclini al fascino e alla seduzione delle verità superiori. Possiamo dire che adotta un ironico scetticismo: non è uno scetticismo disfattista né nichilismo. Ma ironico, che mette in dubbio. Michel de Montaigne è uno degli autori che le sono più cari di cui citava spesso una frase: “Guarda quante estremità ha questo bastone”. Guardandolo, una persona ne individua due ma serve osservarlo in modo diverso: magari ha qualche asperità perché non è stato levigato del tutto, se lo guardi in orizzontale può avere un’estremità obliqua. “Le estremità del bastone” sono l’ironico scetticismo di Szymborska.
Ci sono temi attuali di cui la Szymborska ha parlato nelle sue poesie?
AC Sì. La poesia più interessante da questo punto di vista è quella sulla migrazione che si intitola “Gente”. I protagonisti sono profughi. La poetessa giocava spesso con la grammatica, de-automatizzava la lingua. Questa poesia è tutta giocata sui pronomi e gli aggettivi indefiniti: in italiano è stato possibile renderlo fino a un certo punto ma il finale funziona bene anche nella traduzione. Noi guardiamo così al fenomeno della migrazione: non sono individui, sono esseri indefiniti che si portano dietro storie indefinite. D’altro canto, però, ci commuove solo la singolarità, la singola foto o storia; è così che la nostra immaginazione diventa compassione, che è “l’immaginazione del cuore” per Szymborska. “Gente” si conclude così: “Qualcosa ancora -ma dove e cosa- accadrà./ Qualcuno gli andrà incontro, ma quando, chi sarà,/ in quante forme e con quali intenzioni./ Se potrà scegliere,/ forse non vorrà essere nemico/ e li lascerà in una qualche vita”. La forza della poesia della Szymborska è proprio nel non dare “risposte” ma “domande in risposta a domande”, dice lei. In una sua poesia scrive: “Come vivere? Mi ha chiesto qualcuno a cui volevo fare la stessa domanda”.
“La forza della poesia della Szymborska è proprio nel non dare ‘risposte’ ma ‘domande in risposta a domande’, dice lei”
Nel 1996 Szymborska viene insignita del premio Nobel per la letteratura. Cambia qualcosa, in lei, dopo questo riconoscimento?
AC Purtroppo per lei sì. I suoi amici la definiscono “tragedia di Stoccolma”. La Szymborska si ritrae sempre di più: non amava stare al centro dell’attenzione, le costava un’enorme fatica fare le serate d’autore. Cambia tutto perché lei capisce di essere un personaggio pubblico e di non potersi sottrarre a una serie di richieste. Sceglie di “darsi” mettendo in evidenza il suo lato più scherzoso. In privato la Szymborska coltivava la poesia umoristica e scherzosa e nelle prime uscite dopo il Nobel legge questi limerick (brevi componimenti in versi, ndr) per non parlare delle sue cose intime, più serie che erano già contenute nei suoi versi. È indicativo che diceva che fare interviste impoveriva l’anima. Quando i giornalisti, dopo il Nobel, le scrivevano in continuazione rispondeva: “Ho fatto un’intervista nel 1971, trovate già tutto lì”.
Per chi non conosce Szymborska, da quale poesia consiglierebbe di cominciare?
AC Oltre a quelle già citate, “Amore a prima vista” che ha una chiusa molto potente. Dopo aver parlato di quanti possibili incontri casuali ci possano essere stati fra due persone che alla fine si innamorano, scrive: “Ogni inizio infatti è solo un seguito/ e il libro degli eventi è sempre aperto a metà”. “Disattenzione” è un’altra delle mie preferite. Inizia così: “Oggi mi sono comportato male nel cosmo/ ho passato l’intera giornata senza fare domande/ senza stupirmi di nulla”. È una poesia che insegna l’essere attenti a ciò che ci accade intorno, alle persone e alle “cose del mondo”.
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