Interni / Reportage
A Bologna resta senza casa anche chi ha un reddito stabile
La pandemia ha accentuato lo squilibrio tra domanda e offerta di abitazioni e i prezzi sono impennati. Due nuove occupazioni mettono in luce il problema: a viverci sono persone con un contratto indeterminato e un buono stipendio
“Abito a Bologna da 15 anni e non ho mai avuto il problema della casa. Ho un contratto a tempo indeterminato, guadagno 1.800 euro al mese: non ho difficoltà a pagare un affitto. Ma adesso trovare un appartamento sembra impossibile: il nostro è stato pignorato, siamo stati sfrattati e non sappiamo dove andare”. Usman viene dal Pakistan: è arrivato in Italia per lavorare, e oggi fa il facchino per una grande azienda di trasporti alle porte di Bologna. Vive in affitto insieme a sua moglie e i suoi due figli di otto e quattro anni. Insieme a loro ci sono il padre e la madre di Usman, i suoi tre fratelli e le loro famiglie. In tutto sono in 14 in un appartamento di 120 metri quadrati. “L’agenzia immobiliare mi ha chiesto 150 euro solo per aiutarmi a cercare un’altra casa, ma non è servito a niente. I prezzi sono altissimi: non posso permettermi di pagare 600 euro per un appartamento con una sola stanza. Abbiamo parlato con gli assistenti sociali, ma non hanno trovato soluzioni: so che ho un reddito troppo alto per una casa popolare, voglio solo un posto dove stare”.
Secondo i dati del portale Idealista, alla fine del 2022 a Bologna il prezzo medio di affitto era di 15,8 euro al metro quadrato, con un aumento del 12,5% rispetto all’anno precedente: la città si conferma tra le più care d’Italia dopo Milano (21 euro al metro quadrato), Venezia (17,6) e Firenze (16,3). “Nel 2022 si è accentuato lo squilibrio tra domanda e offerta nel settore delle locazioni residenziali -ha spiegato Vincenzo De Tommaso, responsabile dell’ufficio studi di Idealista-. La mancanza di stock abitativo disponibile e l’inflazione hanno spinto i prezzi verso l’alto”.
A incidere è stato anche il settore delle locazioni turistiche: nel 2022 ci sono stati un milione e mezzo di arrivi in città, per un totale di tre milioni di pernottamenti, e l’aeroporto di Bologna ha registrato 8,5 milioni di passeggeri complessivi (il dato comprende sia i viaggiatori in entrata sia in uscita). Numeri che si avvicinano a quelli pre-pandemia, e che hanno avuto un impatto sul mercato privato dell’affitto. Secondo i dati di Inside Airbnb, a inizio maggio sono 4.065 gli annunci disponibili sulla piattaforma di locazioni brevi in città, 200 in più rispetto a sei mesi fa e più che raddoppiati negli ultimi cinque anni: si tratta quasi sempre di interi appartamenti, che si trovano soprattutto nel centro storico e nella prima periferia. Si stima che il 57% dei proprietari abbia più di un annuncio a suo nome, e che il 4% riscuota quasi un terzo delle entrate totali. Affittare ai turisti conviene: la ricerca HousingBo, un progetto universitario che si occupa di diritto alla casa, mostra che a Bologna il ricavo medio di una casa affittata sul mercato della locazione tradizionale è di circa 13mila euro l’anno, mentre per un affitto breve, a parità di metri quadri e di zona, la cifra sale a 16.650 euro (togliendo le commissioni di Airbnb, si arriva a 16.155 euro).
Tutto questo va a discapito delle famiglie che cercano una casa. “A Bologna il 62% dei cittadini è proprietario: il resto lotta faticosamente per ottenere un alloggio in affitto a prezzi accessibili”, spiega ad Altreconomia Emily Clancy, vicesindaca di Bologna e assessora alla casa, che ha da poco annunciato un piano da 200 milioni di euro, il più significativo che sia stato realizzato negli ultimi decenni. “Bologna è una città attrattiva, sia in termini di occupazione, sia di università e di turismo. C’è ancora un saldo positivo, in controtendenza rispetto a quello che avviene a livello nazionale. La sfida è: come continuare ad accogliere le nuove persone in arrivo, senza espellere chi è più fragile?”.
“A Bologna il 62% dei cittadini è proprietario: il resto lotta faticosamente per ottenere un alloggio in affitto a prezzi accessibili” – Emily Clancy
Nel frattempo sono ricominciate le occupazioni abitative, simbolo di un disagio che è sempre più diffuso: il 19 aprile il collettivo Plat ha occupato un condominio in via Raimondi 41, in zona Bolognina, dando vita al “Radical housing project”. L’immobile è di proprietà di Asp, l’azienda pubblica di servizi alla persona di Bologna: presto il Comune avvierà i lavori di ristrutturazione con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), per realizzare appartamenti per la transizione abitativa di coloro che hanno perso la casa. “A occupare questa volta non sono famiglie povere, ma nuclei con un buon reddito e un contratto a tempo indeterminato, che però per colpa del caro affitti non possono permettersi una casa, né riescono a trovarla -spiega Luca di Plat-. La nostra è una cooperativa di abitanti che porta avanti rivendicazioni comuni: siamo 18 nuclei familiari, 42 adulti e 33 bambini”.
All’interno del “Radical housing project” vive Andy, originario della Nigeria: “Sono arrivato in Italia con mia moglie il 28 maggio 2017: i nostri tre bambini sono nati qui -racconta-. Prima vivevamo in un centro di accoglienza, ma a maggio siamo dovuti uscire: mia moglie era incinta al nono mese e non sapevamo dove andare, per questo ci siamo trasferiti qui”. Nell’ultimo anno Andy ha cercato casa con grande intensità, ma senza risultati. “Guardavo gli annunci tutti i giorni. Ho anche pagato un’agenzia immobiliare per aiutarmi a trovare un appartamento, mi hanno chiesto 250 euro e non è servito a niente. Mi sono sentito dire: ‘Sei nigeriano? Allora ci risentiamo domani’. È così che funziona. E poi c’è chi chiede la fideiussione bancaria, o due contratti di lavoro, e noi ne abbiamo solo uno”. Andy lavora come magazziniere, è assunto a tempo indeterminato e guadagna circa 1.200 euro al mese. “I prezzi sono assurdi: per una casa con due camere da letto non si trova a meno di 800 euro, ma noi non ce lo possiamo permettere”.
Il 28 aprile è cominciata anche un’altra occupazione abitativa: H.o.me, “hub di organizzazione meticcia”, gestita dal collettivo Luna insieme ad Adl Cobas. Si tratta di uno spazio in via Borgolocchi, una porzione dell’ex caserma Masini, di proprietà di Cassa depositi e prestiti, dove nel 2012 nacque il percorso del centro sociale Làbas. “Sono sei anni che l’edificio è inutilizzato”, spiega Luca Tonini del collettivo Luna. “Con questa occupazione vogliamo affermare il diritto alla casa delle persone migranti, che lavorano duramente per percepire un reddito che però spesso non basta a sostenere il costo esagerato di un affitto”. Nel momento in cui va in stampa Altreconomia, entrambe le occupazioni sono ancora attive. Tra gli occupanti c’è Alex, 26 anni, nigeriano, che lavora come falegname in un piccolo paese della provincia di Bologna. “Ho un contratto e un regolare permesso di soggiorno -racconta-. Guadagno 1.300 euro al mese: non avrei problemi a permettermi una stanza, solo che nessuno me la affitta”. Prima anche Alex abitava in un centro di accoglienza, poi il suo percorso si è concluso. “Ho trovato una stanza, ma sono stato truffato: mi hanno chiesto mille euro di cauzione, poi ho scoperto che gli inquilini erano già sotto sfratto e ho perso tutti i soldi. Ho dormito per un po’ da un amico, poi sono finito in strada. Adesso vivo in questo spazio occupato, per dare un segnale e smettere di essere invisibile”.
Insieme a lui c’è anche Abubakar, 36 anni, dal Senegal. Viveva da dieci anni in Sicilia, faceva il bracciante nella raccolta del pomodoro: lo scorso febbraio è stato chiamato dall’aeroporto di Bologna per lavorare come facchino, e così si è trasferito. Solo che, una volta arrivato in città, non è riuscito a trovare casa: di notte dormiva in stazione, di giorno andava al lavoro. “Quando sono arrivato, non sapevo quanto fosse difficile trovare una stanza -dice Abubakar-. Ho chiamato diverse agenzie, che mi hanno mandato alcuni annunci: nessuno mi ha accettato, anche perché non sono italiano. Io non voglio andare via da Bologna, qui ci sono tante possibilità di lavoro. Ma senza avere una casa è molto dura”.
È quello che è capitato anche a Manon, 30 anni, dalla Francia: “Dopo la pandemia avevo voglia di cambiare aria -racconta-. Bologna mi sembrava una città accogliente e piena di opportunità, così ho trovato un lavoro da cameriera e mi sono trasferita”. Le cose però non sono state così semplici: Manon non trovava casa e ha passato un mese tra hotel e appartamenti in affitto su Airbnb, spendendo tutti i suoi risparmi. “Avrò risposto a più di trecento annunci. Alla fine tramite un amico ho trovato una stanza, ma sono tra le poche fortunate: nella trattoria dove lavoro ci sono tanti ragazzi stranieri che hanno il problema della casa. È un paradosso: loro preparano da mangiare ai turisti, stranieri come noi che vengono qui per provare la famosa cucina bolognese. E allo stesso tempo non hanno un alloggio per colpa dei turisti, che soggiornano in appartamenti che a persone come noi non sono più accessibili”.
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