Cultura e scienza / Attualità
Artisti in piazza, per la cultura e per il lavoro
I professionisti del mondo della cultura e dello spettacolo si danno appuntamento a Roma il 6 ottobre per manifestare in difesa dell’articolo 9 della Costituzione e per chiedere maggiore tutela dei propri diritti. Un’occasione per rilanciare (anche) l’economia del Paese
Sono ballerini, attori, musicisti, archivisti, archeologi, tecnici e operatori. Passano le giornate in sala prove, nelle biblioteche, sui palcoscenici di tutta Italia. Studiano spartiti e testi antichi che preservano dall’oblio. Sono i professionisti della cultura in Italia, lavoratori e lavoratrici che il prossimo 6 ottobre scenderanno in piazza a Roma per la “Manifestazione per la cultura e il lavoro”. L’appuntamento non è riservato solo agli addetti ai lavori, ma sarà aperto a tutti coloro che hanno a cuore la Costituzione e, nello specifico, l’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Un settore, quello culturale, che muove ogni anno circa 92 miliardi di euro. A tanto ammonta, secondo Fondazione Symbola, il valore del “sistema produttivo culturale e creativo” italiano nel 2017. Pari al 6% del Pil, in crescita del 2% rispetto all’anno precedente. E non finisce qui: “La cultura ha sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8 -si legge nel report “Io sono cultura 2018”-. In altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori”. Per un totale che supera i 255 miliardi di euro prodotti dall’intera filiera culturale italiana, il 16,6% del Pil. “Con il turismo come primo beneficiario di questo effetto volano”, puntualizza il dossier.
Eppure, a fronte di questi numeri, i professionisti della cultura sono costretti a operare in un sistema caratterizzato da precarietà, bassi stipendi, incertezza lavorativa. Denunciano poi “la mortificazione delle competenze”, l’uso indiscriminato dei volontari, il progressivo smantellamento di istituzioni storiche e l’utilizzo improprio di teatri, siti archeologici e sale museali. La manifestazione di sabato 6 ottobre è una prima risposta a questa situazione e vedrà la partecipazione di professionisti appartenenti a mondi molto diversi tra loro. “Negli ultimi anni sono nati diversi gruppi che fanno riferimento alle professioni legate, in vario modo, al mondo dell’arte e della cultura -spiega Debora del collettivo di attori “Facciamolaconta”-. Apparteniamo a sfere professionali diverse, ma abbiamo problemi simili, ad esempio il precariato. L’attore, ad esempio, è precario per definizione e per scelta. Ma questo non giustifica la mancanza di tutele che segna la nostra professione”. Oltre a “Facciamolaconta”, tra i promotori della manifestazione del 6 ottobre c’è il gruppo “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”, il “Comitato nazionale delle fondazioni lirico-sinfoniche”, “Associazione nazionale archivistica italiana”, l’associazione “Emergenza cultura”, la “Confederazione italiana archeologi” e diverse sigle sindacali. “Chiediamo leggi che garantiscano diritti, dignità e welfare a questi lavoratori -sintetizza Debora-. Uomini e donne che hanno speso anni di studio per formarsi, che però spesso non vengono adeguatamente considerati”.
Lavoratori costretti a muoversi in un sistema di ristrettezze economiche, “con investimenti e occupati nettamente al di sotto della media europea”, denunciano i promotori della manifestazione. Una situazione che determina carenze di personale, chiusure continue di musei, teatri e altri presidi culturali, cui si somma il calo costante del Fondo Unico per lo spettacolo (- 55% dal 1985).
“La nostra non vuole essere una manifestazione contro qualcuno -puntualizza Debora-. Vuole essere un primo tentativo di costruire una cordata molto più ampia, che coinvolga quanti più lavoratori possibili alla ricerca di una risposta alle medesime esigenze”. Si chiede, ad esempio, di portare l’investimento dell’Italia in cultura all’1,5% del Pil e di aumentare i finanziamenti pubblici al settore dello spettacolo (Fondo unico e finanziamenti locali) garantendo finanziamenti certi su base almeno triennale. Si chiede di far applicare i contratti nazionali esistenti e di creare un contratto nazionale per l’audiovisivo, di promuovere l’assunzione di almeno 3.500 lavoratori entro il 2020 nei ranghi ministeriali e di abrogare l’articolo 24 legge 160/2016 sul declassamento delle fondazioni lirico-sinfoniche ed estinguere il debito pregresso causato dalle inadeguate erogazioni. “Servono leggi, servono risorse. Ma non solo per i professionisti dei beni culturali e dello spettacolo, non per gli operatori museali, non per le Soprintendenze, né per i teatri: servono per il Paese”.
Quello del lavoro non esaurisce i temi della manifestazione. “Riteniamo più che mai necessario riportare la cultura a un ruolo centrale nel nostro Paese affinché essa possa essere un vero strumento di crescita individuale e collettiva, di emancipazione e libertà -si legge nel manifesto-. Il patrimonio culturale è il luogo dei diritti fondamentali della persona, uno spazio che non può piegarsi alla logica del profitto, perché deve servire i cittadini”. Un imperativo urgente in un Paese dove l’80% degli italiani non è mai andata a teatro nel corso dell’anno, il 68% non ha visitato un museo e il 56% non ha letto nemmeno un libro. “In Italia viviamo letteralmente circondati dalla bellezza e dalla cultura -conclude Debora-. Ma al tempo stesso il Paese ha fame di cultura del bello: nasciamo con questo grandissimo vantaggio, un patrimonio artistico-culturale immenso. Ma non dobbiamo accontentarci, dobbiamo lavorare per accrescere questo patrimonio”.
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