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Unicredit-Bpm: gli impatti su economia reale, credito cooperativo e finanza etica
Gran parte delle analisi sull’Ops lanciata da Andrea Orcel si soffermano sulle implicazioni di valore (o meno) per gli azionisti o sulla geopolitica dell’operazione. Ma quali saranno gli effetti generali? Dal credito a famiglie e imprese ai livelli occupazionali, passando per la concentrazione del mercato bancario. Fino ad arrivare, un po’ a sorpresa, al Gruppo Banca Etica. L’analisi di Alessandro Messina
Il prezzo delle azioni Unicredit è passato da 14 a 24 euro nel corso del 2023 (+71%) e, arrivato ai 36 euro attuali (+157%), ci si può permettere una proposta “carta contro carta” per prendersi Banco Bpm, quattro volte più piccola. Così si spiega l’offerta pubblica di scambio lanciata in questi giorni dall’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel.
Gran parte delle analisi oggi si soffermano sulle implicazioni di valore (o meno) per gli azionisti, mentre la geopolitica dell’operazione, in Italia ed Europa, è stata ben sintetizzata da Alessandro Volpi.
Ma quali potranno essere i suoi effetti di carattere generale? Per il momento, almeno tre distinte famiglie di impatti meritano di essere evidenziate: per l’economia italiana, per la finanza cooperativa e, un po’ a sorpresa, per la finanza etica.
Sull’economia reale, e le sue ricadute per il nostro Paese, si gioca la partita più grossa. E non promette bene, tanto sul versante del credito quanto su quello occupazionale.
Alcuni numeri: dell’attivo consolidato di Unicredit i prestiti verso famiglie e imprese rappresentano il 54,7%, quota che in Italia scende al 37%. Banco Bpm, di cui è amministratore delegato Giuseppe Castagna, è una banca con un modello più tradizionale, vicino ai territori, e il peso del credito sull’attivo è maggiore, pari al 64%. Insieme, guardando all’Italia, il colosso che nascesse dalla fusione tra i due avrebbe esposizioni creditizie complessive pari a circa 281 miliardi di euro, una quota dell’attivo attorno al 46%.
Ma ciò che nasce da una fusione non è mai la somma dei due addendi: il soggetto più grande trascina verso di sé il minore, rispetto a cultura aziendale, processi, logiche commerciali. Si può dunque ipotizzare (con ottimismo) che l’effetto netto sarà un posizionamento intermedio tra i due modelli, ossia una tendenza a un rapporto credito/attivo attorno al 41%, circa 30 miliardi di euro di impieghi in meno in Italia, a parità di altre condizioni, equivalente ad una riduzione del 10% delle consistenze in essere a fine 2023.
Proseguendo con il ragionamento, un impatto almeno simile si avrà sul versante occupazionale, forse superiore in termini percentuali se si considera anche la forte sovrapposizione nel Nord-Ovest tra la distribuzione geografica delle filiali Unicredit e quella della ex Banca Popolare di Milano. Sui 16mila dipendenti totali contati in Italia dalle due banche a fine 2023 (di cui 10.864 di Unicredit, sui suoi 23.842 in tutta Europa), si può pertanto stimare prudenzialmente un esubero, risultante dall’operazione, intorno alle 2mila persone.
Riduzione occupazionale e contrazione degli stock di credito rappresentano ormai una tendenza consolidata del mercato bancario italiano. Ma mentre la prima si può comprendere alla luce delle nuove tecnologie, dei mutati stili di relazione tra banche e risparmiatori e delle economie di scala derivanti dai processi aggregativi, la seconda non ha una giustificazione di questo tipo, e anzi appare controintuitiva in tempi di intelligenza artificiale.
Piuttosto, occorre riconoscere che alcuni modelli di banca, i più orientati verso i mercati finanziari globali, associati alle pressioni regolamentari e ad alcune loro schizofrenie, conducono gli intermediari a perdere l’interesse per l’attività creditizia, valutata come poco remunerativa, troppo impegnativa in termini di effort, rischi e compliance, dunque costosa e relativamente poco profittevole.
Proprio da queste considerazioni nasce la riflessione sul modello più tradizionale di banca, quello di Banco Bpm, con una propensione doppia al credito, che verrebbe compromesso dall’operazione Unicredit. Il ruolo svolto da soggetti come Banco Bpm nel sistema economico, infatti, nonostante le trasformazioni societarie e le fusioni, rappresenta ancora l’espressione -per quanto in via di diluizione- di una cultura e un modus operandi frutto della tradizione delle banche cooperative e popolari, di cui l’Italia è stata apripista nel mondo.
Si pensi solo alla storia della Banca Popolare di Milano, nata nel 1865 per iniziativa di Luigi Luzzatti, studioso e politico liberale che fu anche ministro dell’Economia del governo Giolitti, instancabile promotore della formula cooperativa, maestro di Leone Wollenborg, a sua volta fondatore della prima cassa rurale italiana. Tasselli di un modello imprenditoriale e bancario che ha sostenuto lo sviluppo del Paese per oltre 160 anni, messo poi in difficoltà da alcuni sbagliati interventi legislativi e regolamentari che -unici nel mondo- hanno di fatto condotto ad una delegittimazione di diritto e di fatto delle banche cooperative, con spinta decisa all’omologazione verso la forma della società per azioni quotata. Un processo punitivo per l’economia reale che oggi, in qualche modo, l’offerta di Unicredit andrebbe a suggellare.
Infine, l’operazione Unicredit-Banco Bpm potrebbe avere un effetto anche sul “piccolo” mondo della finanza etica italiana, in particolare sul Gruppo Banca Etica, che oggi gestisce circa 10 miliardi di risparmi (una cifra che -per puro caso, si deve credere- riecheggia quella offerta da Orcel a Castagna). Infatti, Banco Bpm è il secondo socio di Etica Sgr, subito dopo Banca Etica, e ne è stato a lungo il principale azionista. Mentre Anima Sgr è il soggetto delegato da Etica Sgr per la gestione dei fondi sottoscritti da soci e clienti.
Come descritto da numerosi commentatori, Anima Sgr è una componente significativa dell’operazione Unicredit: ha recentemente rilevato una quota del 15% di Banca Monte dei Paschi di Siena, messa sul mercato dal ministero dell’Economia, ed è oggetto di un’Opa proprio da parte di Banco Bpm.
Nel nuovo gruppo che nascerebbe, da oltre 70 miliardi di euro di capitalizzazione di Borsa (il 12% più di Intesa Sanpaolo), Anima Sgr rappresenterebbe una piccola (due miliardi) ma strategica partita.
Consideriamo che il Gruppo Caltagirone è socio di Banco Bpm, di Mps e di Anima Sgr. Che BlackRock ha il 7,5% di Unicredit e il 4,7% di Banco Bpm, che nel nuovo gruppo avrebbe il 6,7%, e un interesse non trascurabile rispetto ad Anima Sgr, leader italiano del risparmio gestito.
Tutto questo avrà un impatto su Banca Etica? Probabilmente qualcuno si starà domandando se non sia stato un errore non attuare quanto previsto nel Piano strategico 2021-2024, ossia “una internalizzazione completa” della gestione dei fondi di Etica Sgr, che mirava proprio, tra l’altro, a liberarsi dalla dipendenza di Anima Sgr.
Si vedrà. Di certo, l’operazione Unicredit-Banco Bpm è uno di quegli scossoni di cui il mercato bancario italiano sentirà a lungo gli effetti. Comunque vada.
Alessandro Messina, di formazione economico-finanziaria, si occupa da 25 anni di banche, Terzo settore e politiche pubbliche per lo sviluppo. È stato direttore generale di Banca Etica. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, “Manager cooperativi” e “Money for nothing” dal quale è stato tratto anche il podcast
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