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“Meat sounding” e interessi dell’industria della carne. La Corte Ue segna una svolta

© Maryam Sicard - Unsplash

I gruppi della zootecnia sostengono che definire in etichetta “hamburger” o “bistecche” alimenti vegetali ingannerebbe i consumatori, spingendoli verso una dieta “poco sana”. Una narrazione che ha contagiato anche il legislatore italiano ma che non trova riscontro nei fatti. Il pronunciamento dei giudici europei a inizio ottobre apre nuove prospettive per le alternative vegetali

I produttori di carne e le loro associazioni di categoria sostengono che chiamare “hamburger” o “bistecche” alimenti vegetali (plant based) potrebbe trarre in inganno i consumatori e spingerli ad acquistare prodotti “lavorati” e “meno salutari”. E che pertanto questa pratica dovrebbe essere vietata.

A ottobre di quest’anno, però, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito il contrario, segnando una svolta in un dibattito, italiano ed europeo, profondamente inquinato.

La Corte ha accolto il ricorso presentato da aziende e associazioni vegetariane francesi contro una legge del 2021 che vietava queste denominazioni stabilendo che “qualora non abbia adottato delle denominazioni legali, uno Stato membro non può impedire, mediante un divieto generale e astratto, ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere, mediante l’utilizzo di denominazioni usuali o descrittive, l’obbligo di indicare la denominazione di tali alimenti”.

Questa decisione può avere effetti anche sull’Italia. Nel novembre 2023, infatti, è stato approvato un disegno di legge contenente restrizioni analoghe, oltre al più noto divieto alla produzione e vendita della cosiddetta “carne coltivata”.  

Per comprendere meglio il motivo di questa battaglia da parte del settore zootecnico è necessario approfondire il cosiddetto meat sounding. Si tratta dell’utilizzo di termini tradizionalmente legati al mondo della carne come appunto “hamburger”, “salsiccia”, “bistecca” sulle etichette di prodotti plant based, in modo indipendente dal fatto che l’origine vegetale del prodotto sia evidenziata in modo esplicito.  

A gennaio 2023 il Governo Meloni aveva presentato un disegno di legge che prevedeva il divieto alla produzione e all’importazione della “carne coltivata” e che conteneva un regolamento per vietare il meat suonding, poi approvato come detto a novembre dello stesso anno. Quel passaggio fu salutato con grande favore dai rappresentanti delle aziende zootecniche: “Accogliamo con favore questa importante decisione -aveva esultato all’epoca Serafino Cremonini, fresco presidente di Assocarni e membro del Cda del Gruppo Cremonini-. Si tratta di un passo decisivo per la tutela dell’intero comparto zootecnico in quanto la commercializzazione di prodotti a base vegetale, che utilizzano denominazioni usuali e descrittive riferite alla carne, può chiaramente indurre i consumatori italiani a pensare, erroneamente, che queste imitazioni siano sostituti uguali alla carne”. 

Una preoccupazione che non sembra trovare alcun riscontro nei fatti. “Il pubblico italiano in realtà sa benissimo che cosa sta acquistando -spiega ad Altreconomia Claudio Pomo, responsabile sviluppo di Essere animali, associazione che si batte per i diritti degli animali-. Già nel 2020 un report dell’Ufficio europeo dei consumatori (Beuc) aveva mostrato come solo il 20% dei consumatori europei e meno del 20% degli italiani fosse favorevole a questo tipo di divieti. Nonostante sia stata presentata come una legge a tutela dei cittadini il suo scopo reale, che emerge anche dalle parole degli stessi promotori, è quello di difendere la zootecnia italiana”. Non solo, nello stesso sondaggio più del 70% dei consumatori italiani (la quota più alta in Europa) aveva manifestato la propria intenzione di ridurre il consumo di carne a favore di alternative plant based. 

“La sentenza della Corte europea stabilisce due cose -spiega ad Altreconomia Francesca Gallelli, responsabile relazioni istituzionali del Good food institute Europe, associazione che promuove la sostenibilità nel settore agroalimentare-: la prima è che l’attuale legislazione europea è sufficiente per tutelare i consumatori da truffe ed etichette alimentari fuorvianti, la seconda è che gli Stati membri in assenza di denominazioni legali, non possono impedire, mediante divieti generali ed astratti, l’uso di termini usuali e descrittivi”. Divieti del genere sono stati infatti imposti a livello europeo sui prodotti lattiero-caseari quando nel 2017 il Parlamento europeo ha approvato una legge per vietare l’utilizzo di termini quali “latte”, “yogurt” o “formaggio” per i derivati vegetali.

La decisione della Corte europea non è l’unico ostacolo per la legge italiana. A metà novembre 2024, infatti, il ministero dell’Agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida non ha ancora stabilito una lista dei termini associati alla carne da vietare, nonostante avrebbe dovuto farlo entro sei mesi dall’approvazione della legge.

Non solo, il Governo Meloni ha ignorato la procedura comunitaria Tris la quale prevede che tutte le normative nazionali che hanno effetti sul mercato unico europeo debbano essere sottoposte al vaglio di tutti i soggetti interessati. “Questo non riguarda solo gli Stati e le aziende ma anche le associazioni -osserva Pomo-, anche noi di Essere animali avevamo fornito un nostro contributo riguardo la proposta di legge”.

La scelta di ritirare la notifica Ue ha velocizzato l’approvazione della legge ma la espone oggi a una disapplicazione da parte dei giudici italiani. “Se nel corso del processo Tris emergono dei commenti o delle osservazioni di Stati membri e Commissione Europea, lo Stato che ha notificato il disegno di legge è tenuto a sospendere l’esame per rispondere a tali criticità. In altre parole si prolungano i tempi di approvazione parlamentare -denuncia Gallelli-. Il governo italiano, però, dopo un primo ritiro, ha notificato il testo il giorno della sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ovvero quando era legge. Di conseguenza, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte, i giudici nazionali possono disapplicare il testo di legge. Di fatto, quindi, si tratta di una norma non solo inattuata ma inapplicabile”.

Un’altra opposizione alla normativa italiana proveniva (e proviene) dalle aziende attive nel mercato dei prodotti plant based. “Alla luce della sua mancata attuazione e della sua inapplicapibiltà, questa legge sta avendo un effetto negativo sulle aziende che non possono sapere se i loro prodotti saranno conformi alla normativa”, prosegue Gallelli.

Non solo i rappresentanti del settore ritengono che il meat sounding non sia fuorviante per i consumatori ma anche che la legge li penalizzi ingiustamente. A gennaio 2024 il Good food institute Europe ha inoltrato un questionario per raccogliere le idee delle aziende di carne vegetale attive sul mercato italiano sul punto. Dai risultati emerge che le aziende hanno confermato l’assenza di confusione tra i consumatori derivante dalla disciplina attuale, rilevando piuttosto le penalizzazioni per imprese e consumatori che deriverebbero dall’attuazione del divieto di meat sounding per le carni vegetali. E che quest’ultimo sia invece di supporto per il consumatore nel comprendere la natura e l’uso del prodotto evidenziando la proteina vegetale di cui il prodotto vuole essere un’alternativa. Cambiare denominazione -come riporta il sondaggio- sarebbe stato particolarmente lungo e oneroso in quanto i produttori avrebbero dovuto cambiare drasticamente il packaging e la campagna pubblicitaria, per un danno stimato in diverse decine di migliaia di euro.  

Secondo gli ultimi dati della società di ricerche di mercato Circana risalenti a settembre 2024, questo settore in Italia vale oltre 640 milioni di euro ed è cresciuto del 16% tra il 2021 e il 2023 rendendo il nostro Paese il terzo mercato europeo per i prodotti vegetali.

Nel mentre si moltiplicano sul territorio le idee per ridurre il consumo di carne a partire dalle mense scolastiche ed aziendali. Il Comune di Bergamo ha implementato nel 2022 un menù vegetariano su base settimanale nelle scuole primarie e secondarie. “Bisogna considerare inoltre che la principale fonte di proteine vegetali dovrebbe essere soddisfatta da legumi mentre gli hamburger vegetali dovrebbero rappresentare più un’eccezione che la norma -precisa Pomo di Essere animali- ma in ogni caso l’accanimento contro questi prodotti da parte del Governo Meloni non è giustificabile. E non è accettabile che gruppi come Coldiretti se ne facciano portavoce difendendo solo il settore zootecnico e non anche gli altri affiliati, nei campi dei quali crescono gli ingredienti per questi burger vegetali”.  

Dietro questa battaglia si nasconderebbe quindi il tentativo delle aziende della zootecnia di screditare le alternative vegetali e di promuovere la carne e i derivati del latte come basi di una dieta sana. Secondo il report di luglio 2024 “I nuovi mercanti del dubbio” pubblicato da Changing market foundation, queste aziende e i loro gruppi di interesse starebbero adottando strategie comunicative volte a negare le evidenze scientifiche sulle necessità sia climatiche sia di salute di ridurre il consumo di carne, in modo simile a quanto fatto in passato dalle aziende fossili o del tabacco. I passaggi della legge italiana sono stati accompagnati da una forte campagna mediatica sui social, sia italiana ma soprattutto estera, da parte di influencer e partirti legati a narrative di destra che presentavano il divieto della cosiddetta “carne coltivata” come una lotta per i prodotti tradizionali e spesso unita a una narrativa populista e legata a teorie della cospirazione.

Una battaglia che però rischia di lasciare indietro l’Europa. “Se questo passaggio al populismo e a un’agenda post-verità persiste -avvertono da Changing market-, l’Ue rischia di perdere credibilità come attore ambientale sulla scena globale, oltre a rischiare la sua competitività, poiché altri Paesi vinceranno la corsa allo sviluppo di proteine alternative”.  

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