Finanza / Opinioni
Fratelli d’Italia, vassalli di BlackRock
Il 30 settembre la presidente del Consiglio Meloni ha incontrato a Palazzo Chigi Larry Fink, amministratore delegato del super fondo americano, principale azionista privato delle società della Borsa di Milano e attore ingombrante nella gestione del risparmio. Si prepara a occuparsi di dati, energia e strumenti finanziari per il “Piano Mattei”. Con buona pace delle artificiali narrazioni sovraniste. L’analisi di Alessandro Volpi
Non è difficile capire chi sono i referenti del Governo Meloni. In primo luogo, i grandi fondi americani. A fine settembre la presidente del Consiglio è volata negli Stati Uniti per ricevere il premio dell’Atlantic Council, consegnatole da Elon Musk in una cerimonia decisamente hollywoodiana.
Qui ha fatto un discorso in cui ha citato, insieme, Michael Jackson, Ronald Reagan e Giuseppe Prezzolini, celebrando il patriottismo come valore cardine delle società. In pratica, Meloni si è recata nel tempio del capitalismo finanziario e del culto della Nato per mettere insieme uno sfrenato atlantismo che certo mal si concilia con i richiami patriottici della “tradizione italica”, a lei tanto cari.
Del resto, mentre varcava l’oceano, il suo governo autorizzava BlackRock a superare il 3% in Leonardo diventando così, anche in questo caso, il secondo azionista dopo lo Stato. Meloni nel suo intervento ha citato anche Enrico Mattei, forse non proprio adatto al contesto. Ma ormai la destra è narrazione artificiale e turbocapitalismo reale.
In pochi mesi, l’esecutivo di destra ha infatti ceduto quote rilevanti di Eni e di Mps che sono andate quasi interamente ai grandi fondi, ha dato il consenso all’operazione di cessione di Tim che è stata acquisita da Kkr, fondo partecipato da fondi, ha, come accennato, autorizzato che BlackRock superasse la soglia del 3% in Leonardo e sta trattando affinché Sace, società pubblica di sostegno alle imprese, affidi il proprio patrimonio alla stessa BlackRock.
A proposito di BlackRock, vale la pena ricordare che, guarda caso, in questi mesi è diventato il principale azionista privato delle società presenti alla Borsa di Milano e sta occupando spazi sempre maggiori nella raccolta del risparmio gestito. Il suo amministratore delegato, Larry Fink, è stato invitato in pompa magna dal governo italiano al recente G7 e, come resa finale, la presidente Meloni lo direttamente invitato e incontrato a Palazzo Chigi il 30 settembre.
L’incontro intendeva dare seguito proprio all’invito dello stesso Fink al G7 e ha avuto per oggetto la presenza determinante del colosso Usa nel campo dei data center e delle infrastrutture energetiche italiane; in pratica BlackRock sarà il player principale nell’archiviazione dei dati sensibili e nel trasporto dell’energia, dando vita a un ristrettissimo gruppo di lavoro. Ma i due elementi principali dell’incontro sono stati la creazione di strumenti finanziari specifici da parte di BlackRock nell’ambito del già ricordato Piano Mattei che sarà quindi oggetto del finanziamento del super fondo e la definizione di prestiti obbligazionari per la ricostruzione dell’Ucraina, concepiti da BlackRock e garantiti politicamente dall’Italia.
Il sovranismo della Meloni si è trasformato nel più completo vassallaggio nei confronti di BlackRock. L’Italia ha così un nuovo padrone. È molto probabile che questa “sudditanza” si leghi anche alla speranza che le Big Three comprino il debito italiano che non verrà più comprato dalla Banca centrale europea. In tal mondo i super fondi controlleranno il Paese anche attraverso la gestione del debito su cui, nel frattempo, costruiranno Etf tassati al 12,5%.
Ma la sudditanza del governo verso i fondi non si ferma qui. Circolano due proposte che sono manna per i grandi operatori finanziari rappresentate dell’obbligo di destinare almeno il 25% del Tfr ai fondi e dall’obbligatorietà di assicurazione per tutti gli immobili contro le calamità naturali, un altro grandissimo favore ai fondi. In sintesi, il Governo Meloni si potrebbe definire organico alla grande finanza Usa.
C’è poi l’altro referente sociale evidente del governo che è costituito dal mondo variegato della grande evasione. Le condizioni del concordato biennale preventivo e soprattutto l’annesso condono per cui chi non ha pagato si mette in regola pagando una percentuale minima del dovuto (900 euro su 20mila) sono una dichiarazione chiara per cui l’Italia è un paradiso fiscale per chi non paga.
Ora, è evidente che una norma del genere suggerisce almeno tre considerazioni. La prima. La concorrenza dell’evasore rispetto al soggetto autonomo che paga le imposte è insostenibile e determinerà il crollo della fedeltà fiscale. La seconda. Il regime fisale degli autonomi è troppo diverso da quello dei lavoratori dipendenti tanto da indurre uno spostamento dei contribuenti verso il regime più favorevole, con ancora maggiori difficoltà di gettito fiscale per lo Stato e, dunque, per la spesa sociale. La terza. La necessità di far cassa e di creare consenso tendono a legarsi intimamente in un modello dove l’individualismo regna sovrano in barba alla sovranità pubblica collettiva. Il resto è costituito da artificiale narrazione patriottica, da populismo mediatico e da una retorica della difesa dei confini: confini di che cosa? Del regno del capitalismo finanziario e dell’evasione.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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