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Diritti / Intervista

Il divieto delle mutilazioni genitali femminili va difeso ogni giorno. Il caso del Gambia

Reem Alsalem, Relatrice speciale per le Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze

Quest’estate nel Paese africano si è corso il rischio che passasse un provvedimento che minacciava la salute riproduttiva delle donne, depenalizzando la pratica della circoncisione. Il legislatore ha respinto alla fine la proposta ma la questione rimane delicatissima, e non solo in Africa. Intervista a Reem Alsalem, Relatrice speciale per le Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze

“Il divieto delle mutilazioni genitali femminili è una conquista delicata che può essere persa in qualsiasi momento”. Quando lancia questo messaggio, Reem Alsalem, Relatrice speciale per le Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, pensa anche ai fatti accaduti di recente in Gambia, nell’estate 2024, lontano dall’attenzione di larga parte dei media occidentali. 

A luglio infatti l’Assemblea nazionale del Paese africano ha votato contro un provvedimento che minacciava la salute riproduttiva delle donne, finalizzato proprio a legalizzare di nuovo la pratica delle mutilazioni genitali femminili (Mgf). Il Women’s bill 2024, che puntava a depenalizzare la pratica della circoncisione femminile -resa invece illegale da una legge del 2015-, aveva superato la seconda lettura a marzo, con soli cinque voti contrari su 53. Questo passaggio aveva sollevato preoccupazioni da parte della comunità internazionale -nello specifico dei gruppi impegnati nella tutela dei diritti umani- preoccupati che il Gambia potesse diventare il primo Paese a revocare il divieto. 

In Gambia le mutilazioni genitali femminili sono pratiche rituali diffuse per simboleggiare l’ingresso della donna in società, come in molte altre zone del Medio Oriente e del Nord Africa. In Somalia, Guinea e Sierra Leone il tasso di incidenza supera il 90%. Anche in Iraq, Yemen ed Egitto c’è un ampio ricorso a questa pratica, diffusa anche in Asia meridionale e sudorientale e approdata anche in Europa, Stati Uniti e Australia attraverso alcune comunità migranti che la applicano in maniera illegale. 

“Si tratta di pratiche che vanno dall’incisione all’asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni. Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche”, denuncia l’Unicef.  

Tra le ripercussioni derivanti dalle mutilazioni genitali si osservano infezioni, complicazioni durante il parto e disturbo da stress post-traumatico. Inoltre, la pratica viene eseguita sempre più di frequente in età infantile, come fa notare Catherine Russell direttrice generale dell’Unicef. La Relatrice speciale Reem Alsalem, intervistata da Altreconomia, fa notare che con quella decisione del legislatore gambiano di mantenere il divieto si è evitato un precedente pericoloso. 

Relatrice Alsalem, quali sono le implicazioni immediate e a lungo termine di questa decisione per le donne e le ragazze in Gambia?
RA Le implicazioni sono storiche perché riaffermano l’impegno del Paese a porre fine alle mutilazioni genitali femminili. Non dobbiamo dimenticare che si tratta di una pratica di tortura, una forma grave di violenza contro le donne e le ragazze che comporta rischi per la salute per tutta la vita. Abrogare quella legge avrebbe creato un pericoloso precedente, mettendo a rischio i diritti delle donne alla vita, alla salute, alla sicurezza, all’integrità fisica, all’autonomia, alla dignità e alla privacy, oltre alla libertà dalla tortura e dalla violenza di genere. L’eliminazione del divieto avrebbe avuto ripercussioni non solo sul Gambia ma anche oltre, con il rischio di produrre un effetto domino che nessuno avrebbe voluto vedere. 

Tra le strategie di successo nella lotta alle Mgf l’educazione sembra essere al primo posto: per lei quanto è rilevante? 
RA L’educazione è sicuramente essenziale: è necessario introdurne una basata sui diritti umani che parli di uguaglianza, dignità, diritto alla sicurezza per tutti. Questa educazione deve essere parte integrante della società, non solo nelle scuole, ma deve essere veicolata anche dai media, affinché produca un vero cambiamento. Dobbiamo trasformare gli stereotipi di genere dannosi e iniziare ad affrontare le norme sociali e religiose che contribuiscono a questa violenza. 

Quali passi dovrebbero essere intrapresi dal legislatore gambiano e dalla comunità internazionale per affrontare efficacemente la questione?
RA Credo che ciò che è successo recentemente in Gambia ci ricordi che gli stakeholder e la società civile non possono rilassarsi una volta che è stata promulgata una legge che vieta le Mgf. Questo è solo l’inizio: è necessario lavorare per implementare e far rispettare le leggi, migliorare l’accesso alla protezione, all’assistenza e alla consulenza per le donne, oltre ad aumentare la consapevolezza delle persone sulle leggi del proprio Paese. In molti modi, si tratta di un reality check: questa decisione mostra che tutti gli stakeholder in Gambia -comprese le agenzie delle Nazioni Unite presenti sul campo- devono lavorare ancora più duramente e rendersi conto che il divieto delle Mgf è una conquista delicata che può essere persa in qualsiasi momento. Bisogna assicurarsi che sia un diritto protetto e rispettato, oltre che realmente implementato. 

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