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Diritti / Intervista

“Per le ragazze è più difficile vivere la propria vita in sicurezza e dignità”

Reem Alsalem, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze © UN Women/Ryan Brown

A lanciare l’allarme a ridosso della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze è la Relatrice speciale delle Nazioni Unite Reem Alsalem. Che guarda con particolare preoccupazione alla condizione delle giovani appartenenti alle comunità indigene, vittime “di una violenza che attraversa le generazioni”

La violenza di genere è un fenomeno pervasivo e al tempo stesso la meno visibile tra le violazioni dei diritti umani. E non risparmia nemmeno bambine e ragazze. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, infatti, il 31% delle donne e delle ragazze di età compresa tra i 15 e i 49 anni ha subito, almeno una volta nella vita, violenza fisica o sessuale. Se si concentra l’attenzione sulle più giovani (15-19 anni) che sono sposate o che vivono all’interno di una relazione di coppia stabile si scopre che almeno una su quattro è stata vittima, almeno una volta nella vita, di violenze e abusi da parte del partner.

Sono dati allarmanti quelli raccolti dall’Ong Terre des Hommes nella dodicesima edizione del dossierInDifesa” sulla condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo. Un documento articolato in cui vengono analizzate le diverse forme di violenza che riguardano questa fascia particolarmente fragile: dalla diffusione delle mutilazioni genitali femminili (si prevede che le minori coinvolte toccheranno i 4,6 milioni all’anno entro il 2030 a causa dei cambiamenti climatici e dell’aumento delle diseguaglianze globali) a quella dei matrimoni precoci e forzati, che nel solo 2022 hanno interessato 12 milioni di ragazze con meno di 18 anni.

A ridosso della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze (11 ottobre) abbiamo intervistato Reem Alsalem, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, le sue cause e conseguenze, che si è detta preoccupata per molti aspetti che riguardano le violazioni dei loro diritti “In generale, è più difficile per le ragazze vivere la propria vita in sicurezza e dignità. Sono particolarmente preoccupata per il modo in cui le tecnologie digitali hanno offerto maggiori opportunità di ricattare, denigrare, esercitare un controllo, rendere le ragazze e i loro corpi dei semplici oggetti -spiega-. Gli studi disponibili dimostrano che in molti Paesi le ragazze soffrono di una ipersessualizzazione e di pressioni per conformarsi a standard di bellezza ‘ideali’ che si ripercuotono sulla loro salute mentale e sulla loro autostima. Non dobbiamo poi dimenticare che le ragazze che non si conformano alle aspettative sociali delle comunità in cui vivono vengono punite. Infine, le sempre più frequenti crisi internazionali stanno aumentando l’incidenza di pratiche dannose, sfruttamento e abuso ai danni delle ragazze: ad esempio il rischio di essere trafficate o di essere costrette a sposarsi. Violando così anche il loro diritto all’istruzione.

Dottoressa Alsalem, secondo l’Unicef, circa 120 milioni di ragazze in tutto il mondo, poco più di una su dieci, hanno subito “rapporti sessuali forzati o altri atti sessuali forzati” in qualche momento della loro vita. Quali azioni dovrebbero intraprendere gli Stati per contrastare questo fenomeno?
RA
Non esiste un’unica soluzione e le azioni devono essere intraprese su più fronti. Uno è il quadro giuridico per prevenire gli atti di violenza contro le donne e le ragazze, che deve essere solido e affrontare la questione dell’impunità per molti di questi crimini. L’altro è il cambiamento di norme sociali, culturali e religiose dannose che possono giustificare e legittimare la sottomissione delle ragazze e la discriminazione ai loro danni. Inoltre, devono essere rafforzate tutte le norme che affrontano la discriminazione in qualsiasi ambito, a partire da quelle che riguardano le minoranze etniche, religiose e così via. Le bambine e le ragazze appartenenti alle minoranze, infatti, subiscono maggiori discriminazioni e incontrano maggiori ostacoli nell’accesso alla giustizia. Infine, occorre contrastare i discorsi d’odio e gli incitamenti alla violenza che vengono diffusi online e nella vita reale.

L’Agenda 2030 pone tra i suoi obiettivi l’uguaglianza di genere e l’eliminazione di tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze. Riusciremo a raggiungere questi obiettivi?
RA Come ha dimostrato la revisione intermedia degli Obiettivi di sviluppo sostenibile siamo molto lontani dal loro raggiungimento. Mancano ancora 140 anni per raggiungere la parità di genere sui luoghi di lavoro, quasi 300 anni per colmare le lacune nella protezione legale e rimuovere le discriminazioni ai danni della componente femminile. Per raggiungere la parità di rappresentanza all’interno dei parlamenti serviranno ancora 47 anni e negli ordinamenti di oltre la metà degli Stati (il 55%) non ci sono ancora leggi che vietano la discriminazione delle donne. Inoltre, il 60% dei Paesi non ha ancora leggi che definiscano lo stupro sulla base dell’assenza di consenso, pochissimi hanno criminalizzato il femminicidio e sono ancora meno quelli che hanno istituito osservatori su questo fenomeno.

Nel 2022 ha dedicato uno dei vostri rapporti alla situazione delle donne e delle ragazze indigene, sottolineando come siano particolarmente a rischio di violenze e abusi. Quali sono le cause principali di questa situazione?
RA Non c’è dubbio che le donne e le ragazze indigene siano soggette a una complessa rete di forme strutturali di violenza -di cui fanno esperienza a livello individuale e collettivo- che vengono perpetrate ai loro danni da attori statali e non. Di conseguenza, non sarebbe un eufemismo dire che le donne e le ragazze indigene sono spesso soggette a un continuum di violenza che attraversa le generazioni. Tale violenza permea tutti gli aspetti della loro vita e incide pesantemente sui loro diritti umani alla vita, alla dignità, all’integrità e alla sicurezza personale, alla salute, alla privacy, alla libertà personale, al diritto a un ambiente sano e alla libertà dalla tortura.

Nella sua dimensione collettiva, la discriminazione e la violenza di genere contro le donne e le ragazze indigene minaccia e sconvolge anche la loro vita spirituale e culturale, colpendo l’essenza stessa del tessuto sociale delle loro comunità e nazioni. Inoltre, il mancato riconoscimento dei diritti fondiari e dell’autodeterminazione degli indigeni può facilitare il perpetrarsi della violenza di genere contro le donne e le ragazze indigene. Purtroppo questo fenomeno è gravemente sottostimato e chi commette questi crimini gode regolarmente dell’impunità.

In una sua dichiarazione del 2022 lei ha scritto: “Sono preoccupata per la diminuzione dello spazio a disposizione delle donne e delle organizzazioni femminili per organizzarsi e/o esprimere pacificamente la propria opinione in diversi Paesi del Nord globale”. Posso chiederle di spiegare meglio in cosa consiste questa preoccupazione?
RA È una tendenza che osservo da quando ho ricevuto il mio incarico nel luglio 2021, anche se so che l’inizio di questo fenomeno è precedente. Non me lo aspettavo, ma le storie di donne, ragazze e di loro alleati sanzionati per aver espresso le proprie opinioni sul sesso, il genere e l’identità di genere continuavano a moltiplicarsi. Sono stata contattata sempre più spesso da organizzazioni o da singole donne che avevano subito direttamente intimidazioni, minacce, abusi, punizioni (compresa la perdita del lavoro) per avere opinioni su ciò che è una donna, sulla loro sensazione che ci siano determinati bisogni che derivano dall’essere maschio o femmina. E sul fatto che ci siano diritti specifici di cui le donne nate femmine dovrebbero poter continuare a godere e che possono essere specifici per loro. Cercavano di esprimersi su questi temi e di discuterne senza togliere umanità o uguaglianza a nessun altro, senza incitare alla violenza nei confronti di nessuno.

Ciò che ha richiamato la mia attenzione e che ha iniziato a preoccuparmi sempre di più è stata la reazione di alcuni governi, organizzazioni per i diritti umani o organi di controllo: nel migliore dei casi ignoravano il fenomeno, oppure lo normalizzavano, di fatto consentendolo.

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