Cultura e scienza / Intervista
Jacopo Storni. Le radici di Tiziano Terzani
Nel libro “Tiziano Terzani mi disse” il giornalista nato a Firenze ripercorre, a vent’anni dalla scomparsa, la vita del grande reporter. Le sue umili origini l’hanno portato a identificarsi con gli oppressi, a cui ha dedicato tutta la sua carriera
Nato a Firenze nel 1938, Tiziano Terzani frequenta l’università a Pisa, dopo aver vinto una borsa di studio. Di famiglia povera, va alla prestigiosa Scuola normale superiore. È uno degli episodi che segnerà per sempre la sua vita, improntando il suo lavoro di giornalista, corrispondente dall’Asia per il quotidiano tedesco Der Spiegel: “Terzani sentiva di dover restituire quello che aveva avuto, una responsabilità morale che lo porterà a cercare di contribuire al cambiamento del mondo attraverso i suoi scritti”, racconta Jacopo Storni. Il giornalista fiorentino è l’autore del libro “Tiziano Terzani mi disse” (Ediciclo), che accompagna il lettore nei luoghi delle radici di un esploratore irrequieto a vent’anni dalla morte, avvenuta il 28 luglio 2004 all’Orsigna, sull’Appennino pistoiese.
Storni, perché un libro sulla Toscana delle radici di Tiziano Terzani?
JS Per me Terzani è un maestro, un punto di riferimento, non solo professionale ma anche di vita. Se faccio il giornalista buona parte del merito è suo, se seguo un percorso di analisi lo devo ai suoi insegnamenti sulla spiritualità, se oggi sono sposato è grazie alle sue riflessioni sull’importanza dei riti, tra cui il matrimonio, nel libro “Un altro giro di giostra” (2004). Questo lavoro è un atto di gratitudine e la cosa più naturale possibile era andare a cercare Tiziano, a partire dai luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, che sono anche i miei, perché lui è nato nel quartiere fiorentino di Monticelli e io a Soffiano, quello accanto. Cercare la persona per capire soprattutto come Tiziano è diventato Terzani. In questo viaggio si parla molto di identità e radici, le sue raccontano molto del giornalista, del reporter e del saggio che è stato.
In che modo l’infanzia in una famiglia povera ha rappresentato una leva per lui?
JS Da ragazzino ha subito umiliazioni e mortificazioni. Viveva in una casa di due stanze, cucina e camera da letto, dove dormiva con il padre, la madre e la nonna. Con la mamma andava fino a via Palazzuolo, dove c’era il monte dei pegni: lei impegnava le lenzuola, quando in famiglia non c’erano soldi. Poi si infatuò di una ragazzina, figlia di un noto imprenditore locale, che le disse di non frequentarlo perché era povero. Episodi come questi lo hanno portato a sentire una grande fame di emergere, nello studio e nel lavoro, dal punto di vista economico, sociale e professionale. È stata una grande molla per quel riscatto sociale a cui ha sempre ambito. Tiziano voleva fuggire da questo mondo limitato. Se poi ha scelto di raccontare i senza volto, gli oppressi è perché si è sempre identificato come uno di loro. Non ha mai rinnegato le sue umili origini, ha appoggiato gli ideali socialisti, il comunismo, Karl Marx, Mahatma Gandhi, Ernesto “Che” Guevara o Mao. Il suo riscatto è quello degli ultimi che nei suoi libri ha raccontato benissimo.
Terzani ha frequentato la Scuola normale superiore: sei andato a cercarlo nella biblioteca in piazza dei Cavalieri, parlando con i suoi compagni di corso. Quant’è stato importante quel momento per lui?
JS Il suo sguardo s’è allargato la prima volta quando ha conosciuto Angela, figlia di un pittore tedesco, che viveva in una splendida casa a Bellosguardo, piena di quadri, di tappeti, di mobili, di libri, dove c’era una grande stanza della musica, con un bellissimo pianoforte donato dalla sorella di Albert Einstein, Maja, affacciandosi su un’altra realtà che non era povera culturalmente ma piena di stimoli. Inizia un grande innamoramento, che prosegue negli anni della Normale, che sono decisivi. Il capitolo del libro si intitola non a caso “Pisa, l’urgenza di vivere”, perché è in quegli anni che travolto dall’ardore dello studio approfondisce le opere di Mao, Marx, di Gandhi, Che Guevara e poi di Frantz Fanon, come il suo “I dannati della terra”, una pietra miliare del decolonialismo (uscì nel 1961, un anno prima della laurea di Terzani, ndr), e si appassiona ai grandi ideali che si porterà dietro per tutta la vita.
Quarant’anni dopo, in “Lettere contro la guerra” (2002), scrive: “Con quel che sta succedendo nel Mondo la nostra vita non può, non deve essere normale. Di questa normalità dovremmo avere vergogna”. Lui era così: a casa, a tavola, non si poteva parlare di calcio o del meteo, ma solo del mondo, della vita, dell’esistenza, dei conflitti. Sentiva in ogni angolo della sua vita l’importanza di questa pienezza, per lasciare una traccia di cambiamento.
Che cosa ti ha “raccontato” la casa fiorentina che ha condiviso con la moglie Angela Terzani Staude?
JS È un angolo di paradiso, perché coniuga perfettamente la bellezza toscana al fascino dell’Oriente, con mobili dell’antiquariato fiorentino e statue di legno di Buddha che raccontano la sua anima doppia, di “viaggiatore stanziale”, con i suoi trent’anni vissuti in Asia. C’è uno stacco visivo nettissimo, ma con grande armonia. A parlare sono anche i suoi libri, quelli rimasti, perché la maggior parte sono stati donati alla Fondazione Giorgio Cini a Venezia: sono reportage, di personaggi vissuti un secolo addietro, che coniugavano il saggio al libro di viaggio e all’autobiografia. Ce ne sono tantissimi.
L’ultima tappa del tuo viaggio porta all’Orsigna, uno dei luoghi che lo ha accompagnato per tutta la vita. Quali sono le tracce che ha lasciato in paese?
JS Il famoso ritorno alla natura, che per Terzani era la grande maestra, è stato introiettato perfettamente all’Orsigna, un paese che negli anni si è ripopolato, passando da 40 abitanti a 70, con persone arrivate o tornate da Firenze, da Bologna ma anche da Pistoia o da Prato. Tra gli episodi che ho raccolto c’è la pulizia del torrente, con Tiziano che consegna un attestato a tutti gli abitanti che partecipano.
È un’azione che simboleggia la “cura”, certo, ma lassù c’è anche chi non lo sopportava, perché era un personaggio molto forte, ingombrante. Il libro vuole fare anche questo: umanizzare un uomo con le sue fragilità e vulnerabilità e un grande timore del fallimento, che non si è mai visto come un guru.
© riproduzione riservata