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Crisi climatica / Opinioni

Chi paga le misure per contrastare la crisi climatica?

Il G7 "Clima, Energia e Ambiente" si è svolto a Venaria Reale (TO) dal 28 al 30 aprile 2024 © Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica

Si rinnovano gli impegni ad azioni ambiziose ma non si spiega da dove arrivino le risorse necessarie. Non scegliere è già una scelta. La rubrica di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 271 — Giugno 2024

“Chi paga?”, si è chiesta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in una recente conferenza stampa, commentando le prospettive di spesa per le casse pubbliche dovute ai crediti del Superbonus (ex 110%). Una domanda importante, a cui non è stata data però una risposta adeguata. Si è quindi capito che la domanda era retorica, come molte delle argomentazioni di un’esponente politica in perenne campagna elettorale (e non solo quando le elezioni ci sono davvero) e ormai “sdraiata” sullo stile talk show: concetti semplici, ammiccanti, bandita l’analisi complessa e minimamente approfondita.

Slogan, battute, e ringraziamo che non c’è più Berlusconi con le barzellette sconce. Il problema del “chi paga” nelle politiche sul clima, invece, è cruciale. Da qualche parte i soldi vanno tirati fuori. Pur se contrastare la crisi climatica porta molti vantaggi (per esempio posti di lavori, minore inquinamento, maggiore efficienza e competitività), sono necessari investimenti seri. Servono soldi veri, perché c’è da fare una transizione di sistema, rottamare un sistema energetico potente e diffuso capillarmente. Fatti tutti i conti conviene, perché il sistema fossile è inefficiente.

E certo conviene ancora di più se si fanno i conti dei costi evitati, ossia i danni catastrofici che deriverebbero dall’inazione, da un mondo più caldo di uno, due o anche tre gradi in più rispetto al decennio in cui viviamo. Ma cambiare abitazioni, industrie, autovetture, navi, aerei, modo di produrre l’elettricità, non si improvvisa, non si fa con qualche tassa una tantum o un incentivo che dura un paio d’anni. Il Superbonus 110% aveva lo scopo di rilanciare l’economia tramortita dalla pandemia, sostenendo uno dei settori trainanti, l’edilizia, e di dare un impulso al rinnovo energetico degli edifici.

Sicuramente è stato male impostato e gestito, e gli errori hanno portato a esborsi eccessivi. Ma è indubbio che senza un sostegno finanziario pubblico, gli investimenti per decarbonizzare il consumo di energia delle abitazioni non ci saranno. E non ci sarà l’auspicata transizione. Le emissioni di gas climalteranti di questo settore rimarranno più alte di quanto sarebbe auspicabile per rispettare gli impegni che l’Italia ha già preso. Per cui, dopo aver abolito il “superbonus” e dichiarato l’intenzione di ridurre al minimo gli incentivi alla ristrutturazione degli edifici (nell’ultima proposta del governo si parla di scendere al 30% dal 2028 al 2031), la domanda che ci si dovrebbe porre è: ma come facciamo allora la transizione energetica nel settore degli edifici?

Dopo aver abolito il Superbonus (ex 110%) il Governo Meloni ha proposto di tagliare gli incentivi alla ristrutturazione degli edifici del 30% dal 2028 al 2031

È singolare che chi -più o meno giustamente- ha deciso di affossare il “superbonus”, poco dica sulle misure alternative, su che cosa intenda fare per rispettare gli impegni alla decarbonizzazione già sottoscritti, e rinnovati in ogni occasione internazionale, che sia una Cop o un G7 (per gli eventi nazionali il tema della transizione energetica si può più facilmente ignorare). Anche le 35 pagine delle conclusioni del G7 di Venaria su clima, energia e ambiente hanno ribadito gli ambiziosi impegni precedenti, nonostante la presidenza italiana non brilli per ambizione o visione su questi temi.

Alla fine il problema del chi paga rimane e rimarrà. Potrà essere tra un anno, due o cinque, prima o poi l’Italia si dovrà confrontare con la distanza tra le dichiarazioni di principio e la realtà dell’azione concreta. E anche nel settore dell’edilizia si dovranno trovare i soldi per gli investimenti e decidere chi dovrà mettere di più e chi di meno. È uno dei compiti della politica. Altrimenti, il conto ben più salato arriverà da cambiamenti climatici più devastanti. E chi più pagherà quel conto già lo sappiamo, saranno le persone più povere, dovunque vivranno. La crisi climatica potrà essere una causa di ancora maggiori disuguaglianze. Ma non è inevitabile, sarà il frutto di una scelta. Perché anche la reticenza e l’inazione sono una scelta.

Stefano Caserini è docente all’Università di Parma. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (People, 2022)

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