Diritti / Attualità
Cresce la rete dei centri Dama per le persone con disabilità
Sono una ventina in tutta Italia gli ospedali che hanno implementato un modello di assistenza e presa in carico rivolto alle persone con gravi disabilità e che non riescono a comunicare le proprie esigenze. Un’esperienza nata a Milano nel 2000 e che continua a estendersi: dalla Toscana al Lazio
“Il disabile grave soffre due volte: una perché sta male, una perché non lo può comunicare”. Filippo Ghelma, medico chirurgo presso l’ospedale santi Paolo e Carlo di Milano, ripete spesso questa frase per sintetizzare il proprio lavoro e l’attività che lo ha portato (insieme a Edoardo Cernuschi, fondatore della Ledha-Lega per i diritti delle persone con disabilità) a dare vita nel 2000 a un innovativo modello di presa in carico delle persone con grave disabilità ribattezzato Dama (Disabled advanced medical assistance).
A più di vent’anni di distanza da quell’intuizione, sono sempre più numerose le strutture ospedaliere che si sono dotate di percorsi ad hoc per l’accoglienza e la presa in carico delle persone con gravi disabilità. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato inaugurato presso l’ospedale di Vimercate (MB) lo scorso 13 novembre. “Nel primo mese di attività abbiamo preso in carico 56 persone: un numero importante e destinato a crescere rapidamente -spiega ad Altreconomia il responsabile medico Andrea Vertemati- partendo dalle indicazioni del medico di medicina generale, vengono programmate le prestazioni ambulatoriali necessarie, che coinvolgono gli specialisti di riferimento con l’obiettivo di identificare, adattare e costruire un percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale multidisciplinare che sia personalizzato, semplificato e condiviso tra tutti i professionisti”.
Il Dama punta a superare la frammentarietà dei percorsi ospedalieri tradizionali e facilitare l’accesso alle cure per le persone con gravi disabilità cognitive, comunicative e neuro-motorie. Uomini e donne che non riescono a sottoporsi agevolmente alle cure mediche, che spesso non sono nemmeno in grado di esprimere chiaramente la causa di un malessere e per le quali anche sottoporsi a un semplice esame come un prelievo del sangue o una radiografia può essere molto complesso.
“Noi non andiamo ad aggiungere nuove tecnologie ma andiamo a creare percorsi personalizzati che rispondano ai bisogni di questa tipologia specifica di pazienti”, spiega Vertemati. Un’attività che può passare anche da aspetti molto semplici: “L’accesso al Dama avviene attraverso un centralino telefonico -continua- in quella fase raccogliamo in una scheda dedicata tutte le informazioni relative a quella persona: tipologia di disabilità, bisogni speciali, dati anamnestici. Ma chiediamo anche se c’è una musica particolare che lo tranquillizza, se ha paura degli aghi o se non sopporta di stare nella macchina della Tac”.
L’esperienza del Dama è un unicum a livello mondiale. Che l’Italia ha presentato lo scorso giugno durante un side event della sedicesima conferenza annuale degli Stati parti della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. “Garantiamo il diritto alla salute in condizioni di parità con gli altri cittadini. E lo facciamo da prima che questo principio venisse stabilito dalla Convenzione Onu -sottolinea Filippo Ghelma-. I riscontri che abbiamo ricevuto dai delegati degli altri Paesi e dall’inviata del Segretario generale delle Nazioni Unite per la disabilità e l’accessibilità, Maria Soledad Cisternas Reyes, sono stati estremamente positivi”.
Il successo di questo modello di presa in carico emerge anche dai numeri. A fine 2022 lo “storico” Dama dell’ospedale santi Paolo e Carlo di Milano aveva in carico 173 pazienti, mentre gli accessi totali nel corso dell’anno sono stati circa quattromila. “Il nostro lavoro permette di limitare gli ingressi al pronto soccorso e i ricoveri ordinari -sottolinea Ghelma-. Forniamo una risposta più adeguata ai bisogni delle persone con disabilità e dei loro familiari anche attraverso il nostro call center che permette di risolvere i problemi più semplici già a domicilio”. Numeri elevati, che il centro fatica a gestire non solo perché è l’unica struttura di riferimento per tutta Milano ma perché deve farsi carico anche dei molti pazienti che arrivano anche da altre province e persino da fuori Regione.
Da qui l’esigenza di esportare questo modello anche presso altre strutture sanitarie: quelle di Mantova e Varese lo avevano già fatto rispettivamente nel 2007 e nel 2012. Ma l’obiettivo è più ambizioso: “Nell’ambito del Piano autismo, Regione Lombardia punta a istituire un modello analogo a quello del Dama in tutte le Agenzie di tutela della salute (Ats)”, aggiunge Ghelma che ricopre anche il ruolo di coordinatore regionale e che nel corso degli ultimi quindici anni ha contribuito a esportare il Dama su tutto il territorio nazionale: a oggi sono una ventina gli ospedali che hanno attivato reparti dedicati alla presa in carico di persone con grave disabilità, riuniti all’interno della Rete Dama.
“Nel 2022 abbiamo avuto oltre 320 accessi ambulatoriali il cui numero è in aumento -spiega ad Altreconomia Carla Benassai, referente del Dama Empoli, inaugurato a luglio 2015 e aperto una mattina a settimana-. Le richieste sono tante, arrivano pazienti anche da Firenze. Per questo è importante che altri ospedali della Toscana attivino questo percorso: l’assistenza ospedaliera di base alle persone con disabilità non può essere erogata solo in pochi poli d’eccellenza. Ne servirebbe almeno uno per Usl”.
Per tanti familiari l’apertura di un centro Dama nella propria città o in un centro raggiungibile con un viaggio di pochi chilometri può significare una svolta fondamentale: “Talvolta non accedono al servizio sanitario nazionale perché è complicato, quando non impossibile, fare entrare in ospedale un ragazzo che urla per tutto il tempo e che non si lascia toccare da nessuno”, spiega Stefano Cappanera, infettivologo e referente del Dama di Terni: inaugurato nel 2018, nel 2022 ha accolto circa 400 pazienti.
Flessibilità e capacità di organizzazione sono due caratteristiche fondamentali di questo servizio per creare percorsi adatti e un’assistenza che normalmente non viene garantita: “Non si può chiamare il centralino dell’ospedale per prenotare una Tac in sedazione per un paziente autistico non collaborante -spiega Cappanera-. Per farlo bisogna prima acquisire tutte le informazioni necessarie, organizzare un’équipe composta da più medici, compreso l’anestesista: possono servire anche due ore per un esame che normalmente ne richiede una mezza. Nel 2022 ne abbiamo fatte 91”.
Un’altra grande criticità che devono affrontare medici e operatori sanitari è legata al fatto che spesso le persone con grave disabilità non sono in grado di esprimere chiaramente il proprio malessere: “La principale sfida a cui siamo chiamati a rispondere è trovare il modo di comunicare con chi non lo fa”, spiega Stefano Capparucci, coordinatore del Team operativo bisogni individuali assistenziali (Tobia) dell’ospedale San Camillo di Roma.
Nel 2019 all’interno della struttura è stato inaugurato un ambulatorio dedicato in cui vengono effettuate alcune semplici prestazioni ambulatoriali ed è stato creato un percorso ad hoc per gli interventi e gli esami in sedazione profonda o sotto anestesia che coinvolge una trentina di specialisti. Dalla sua nascita ha superato quota mille pazienti assistiti, di cui 650 provenienti dalla città di Roma e 350 dal resto del Lazio. Le prestazioni sanitarie facilitate sono state più di 3.400 (con una media di tre a persona) tra visite ambulatoriali e chirurgiche.
“I problemi odontoiatrici sono quelli più frequenti, anche quando non sono facilmente identificabili come tali -continua Capparucci-. Ad esempio è arrivato da noi un paziente con forti dolori addominali e che continuava a darsi schiaffi sul viso. Era già stato trattato in un’altra struttura dove lo avevano imbottito di psicofarmaci. Abbiamo fatto rapidamente la Tac in sedazione e abbiamo scoperto che aveva il colon ostruito, abbiamo quindi ipotizzato che ci fosse una difficoltà legata alla masticazione. Lo abbiamo portato subito in sala operatoria e abbiamo scoperto che aveva 21 radici dei denti scoperte: si schiaffeggiava per cercare di lenire il dolore ai denti”.
Anche il servizio Tobia sta gettando semi per diffondere il proprio modello: nel corso del 2023 sono stati organizzati momenti formativi rivolti ai medici di altre strutture e ha contribuito alla redazione delle linee guida regionali approvate a febbraio 2023. Con l’obiettivo di garantire alle persone con disabilità le cure adeguate a cui hanno diritto.
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