Crisi climatica / Approfondimento
L’Europa continua a bruciare legname per produrre energia
I dati del servizio scientifico della Commissione mostrano che nell’Ue è cresciuta la dipendenza dalle biomasse, un settore che nel 2020 ha ottenuto sussidi per 18 miliardi di euro. Una minaccia per le foreste del continente
Negli ultimi anni sono arrivate forti pressioni per limitare l’uso di biomassa per la produzione di energia da parte di organizzazioni ambientaliste, scienziati e dallo stesso Parlamento dell’Unione europea. Un’ampia coalizione di Ong e scienziati provenienti da Europa e Nord America si è battuta per porre vincoli stringenti all’utilizzo di legna da foreste. Eppure, lo scorso marzo, l’accordo raggiunto sulla Direttiva sulle rinnovabili (la cosiddetta Red III) ha indebolito le proposte sui limiti, lasciando molte eccezioni.
L’accordo tra Parlamento e Consiglio permette ancora l’utilizzo della biomassa forestale primaria ma pone fine al sostegno finanziario diretto per gli impianti che producono energia esclusivamente attraverso la sua combustione. “Ci sono diverse deroghe: le regioni dove è stato approvato un piano di giusta transizione, ovvero quelle a basso sviluppo economico e molto dipendenti dal carbone, come la Polonia, potranno ancora concedere sussidi a questa tipologia di impianti”, spiega Mary Booth, direttrice dell’Ong Partnership for policy integrity.
Il testo dell’intesa, inoltre, elimina il supporto finanziario per l’energia generata da alcune categorie di legno forestale (quello tondo di qualità industriale, adatto all’uso in prodotti come carta o legname; ceppi e radici) ed esclude quello da foreste vergini e intatte per la produzione di combustibili. “Ma la definizione di legno industriale e la qualifica di foreste secolari viene lasciata ai singoli Stati, cui compete anche il compito di farle rispettare”, riprende Booth.
Secondo l’Ong l’accordo non è riuscito a ridurre la quantità di energia da legno che può essere considerata rinnovabile. Una scelta che viene presa contemporaneamente alla decisione di aumentare l’obiettivo complessivo di produzione da rinnovabili dal 30% al 42,5% al 2030.
Un provvedimento in apparente contrasto con l’impegno di ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. La biomassa usata per produrre energia, infatti, emette gas climalteranti: le piante e il legno trattengono il carbonio assorbito attraverso la fotosintesi, ma quando vengono bruciate questo viene rilasciato durante la combustione e ritorna nell’atmosfera. L’idea alla base dell’uso di prodotti derivati dal legno è la loro neutralità dal punto di vista del carbonio: seppur emesso durante la combustione, può essere riassorbito con la crescita di altri alberi. La principale obiezione a questo principio, però, sta nel fatto che la foresta ha bisogno di molto tempo per ricrescere. Nel breve periodo dunque si emette di più, provocando quello che viene chiamato “debito di carbonio” che richiede decenni o secoli per essere recuperato.
“Se la domanda di energia fosse bassa e la prospettiva temporale lunga, la bioenergia potrebbe essere considerata rinnovabile -spiega Alessandro Agostini, ricercatore dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea)-. Il paradosso è che grazie all’uso dei combustibili fossili, le foreste sono tornate a crescere perché il legno è stato progressivamente sostituito. Oggi, per liberarci dei combustibili fossili, torniamo indietro nel tempo, bruciando legna”.
L’Europa non riesce a produrre internamente tutta l’energia di cui ha bisogno, ma solo il 44%, mentre dipende per il 56% da importazioni dall’estero. Secondo gli ultimi dati diffusi ad aprile 2023 da Eurostat e riferiti al 2021, il mix energetico dell’Unione è ancora estremamente dipendente dai fossili, in primis petrolio greggio e prodotti petroliferi che pesano per il 34% e gas “naturale” per il 23%; seguono energie rinnovabili (17%), nucleare (13%) e combustibili fossili solidi (12%).
Mentre, per quanto riguarda quella interna, nel 2021 le rinnovabili sono state le fonti che hanno contribuito maggiormente alla produzione di energia primaria nell’Unione europea, raggiungendo il 41%. Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Commissione Ue, nel 2019, tra le risorse rinnovabili per la produzione di energia la biomassa è stata la principale, con una quota di quasi il 60%. Viene considerata fondamentale per la transizione verde e per la produzione di bioenergia, per questo si prevede che diventerà una risorsa sempre più importante in Europa.
Dal punto di vista tecnico, con il termine biomassa si intende qualsiasi materiale organico che deriva da agricoltura, foreste, pesca e acquacoltura. Comprende dunque anche gli alimenti oltre ai prodotti a base di legno, come i mobili e i materiali per l’edilizia; ma anche i rifiuti che ne derivano.
Il peso di prodotti petroliferi e gas “naturale” nel mix energetico dell’Unione europea è del 57%. Mentre le rinnovabili pesano per il 17%, il nucleare per il 13% e i combustibili fossili solidi per il 12%
L’ultimo report del servizio scientifico della Commissione, Jrc ha calcolato che più di due terzi della biomassa disponibile in Ue viene dal settore agricolo, per l’80% utilizzata come lettiera e mangime per l’allevamento di animali. Del terzo rimanente, la quasi totalità proviene dalle foreste (26%) e il suo uso è destinato alla produzione di materiali (55%) ed energia (45%). L’offerta è in aumento e il Jrc evidenzia la crescente dipendenza dell’Europa dall’utilizzo di biomassa per produrre energia e materiali, a fronte di usi alimentari sostanzialmente costanti.
All’interno della filiera del legno, la fonte più importante è quella del “legno tondo” (essenzialmente tronchi) prelevato direttamente dalle foreste e definito perciò legno primario. Di questo, almeno l’87% è di provenienza interna all’Ue ed equivale a 248 milioni di tonnellate di sostanza secca (Mtdm). Solo il 13% è importato o di origine non dichiarata. Altri prodotti della filiera sono gli scarti di lavorazione industriale, prodotti a base di legno e materiale arrivato a fine consumo che può derivare proprio dai prodotti commercializzati.
Per la produzione di energia si usa sia il legno primario (prevalentemente) sia quello secondario che deriva da altre lavorazioni. L’idea originaria di utilizzare la biomassa forestale prevedeva di produrre energia dai residui industriali, incoraggiando così un uso virtuoso degli scarti. Ma una volta che l’idea della neutralità del carbonio è entrata nei regolamenti europei, ha permesso a tutta la biomassa di essere considerata rinnovabile e il principio è stato esteso a qualsiasi legno utilizzato nella combustione, in qualsiasi quantità. Questo ha incentivato i Paesi a fare ricorso a questo combustibile per soddisfare gli obiettivi di energia pulita e, al tempo stesso, ottenere sussidi: circa 18 miliardi di euro nel 2020 secondo le stime di uno studio commissionato dalla Commissione all’istituto indipendente Enerdata. Nello stesso anno il solare ha ricevuto 30 miliardi e l’eolico 21.
Oggi l’idea della neutralità del carbonio rimane preminente nei discorsi degli attori dell’industria della biomassa ma anche dei decisori politici. Viene spesso bruciata su scala locale per riscaldare le case e per cucinare (soprattutto nei Paesi del Sud globale). Tuttavia, la raccolta e la combustione intensiva su larga scala di alberi riguarda la produzione di bioenergia negli Stati Uniti, in Canada e soprattutto in Europa. L’aumento della domanda di biomassa solleva preoccupazioni sull’aumento delle emissioni e incertezza sulla disponibilità di legna per soddisfarne la richiesta, perché è una risorsa rinnovabile limitata.
Le foreste, i mari, le acque dolci e i sistemi agricoli sono al centro del Green Deal europeo, il piano strategico per rispettare gli impegni sul clima e attuare la transizione ecologica. Questi settori dovrebbero in contemporanea mitigare i cambiamenti climatici assorbendo carbonio, tutelare la biodiversità e produrre beni e energia. Un recente regolamento dell’Ue ha stabilito un aumento del totale di CO2 da rimuovere dall’atmosfera attraverso le foreste, i suoli e altri pozzi di assorbimento del terreno che hanno la capacità di sottrarre anidride carbonica e mitigare l’aumento delle temperature. Oggi circa il 10% delle emissioni annuali di gas serra nei 27 Paesi dell’Unione è assorbito e immagazzinato nei suoli e nelle foreste.
A dicembre 2022 650 scienziati da tutto il mondo hanno firmato un documento per chiedere ai leader globali di smettere di bruciare legna per produrre energia
Questi, però, sono minacciati da conversioni d’uso e massiccio sfruttamento, come denuncia l’Agenzia europea per l’ambiente. Il Jrc conferma che il livello di prelievo di legno dalle foreste nell’Ue è stato relativamente stabile tra il 1960 e il 1985, per poi presentare una chiara tendenza all’aumento, tra il 1990 e il 2015. Valori probabilmente sottostimati, a causa della mancanza di dati riportati per il settore della legna da ardere.
Nonostante gli abbattimenti in aumento nell’ultimo decennio, la quota di foresta in crescita rimane ancora superiore a quella persa, ma la tendenza è in rallentamento. E questo margine di crescita potrebbe ulteriormente ridursi in futuro a causa degli impatti dei cambiamenti climatici: tempeste di vento, siccità, incendi, epidemie di insetti o una combinazione di questi agenti minacciano i boschi europei. Tra il 2014 e il 2018 questi fenomeni sono aumentati del 138% in 17 Paesi.
A dicembre 2022, più di 650 scienziati hanno quindi rivolto un appello ai leader mondiali riuniti in Canada in occasione della Conferenza sulla biodiversità dell’Onu per chiedere di smettere di bruciare alberi per produrre energia. Nel documento vengono anche citate diverse pratiche dannose e illegali portate avanti per procacciare il legno, documentate negli anni anche da inchieste giornalistiche e occultate dalle difficoltà a tracciare la materia prima da parte delle istituzioni.
Per gli scienziati preservare le foreste è parte essenziale della strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici e di tutela degli ecosistemi. Le foreste interagiscono strettamente con il suolo prevenendone l’erosione, migliorando l’immagazzinamento dell’acqua e moderando le temperature dell’aria e del suolo stesso; sono inoltre l’habitat naturale di innumerevoli specie. “È tempo di aggiornare la classificazione delle fonti rinnovabili -conclude Agostini-. La produzione di energia da legno non sarebbe vietata ma dovrebbe limitarsi ai flussi residui e di scarto, seguendo il principio dell’approccio a cascata per cui il legno viene prima trasformato in prodotti ad alto valore aggiunto, che devono poi essere riutilizzati o riciclati e utilizzati solo alla fine del loro ciclo di vita naturale per la produzione di energia”.
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