Diritti / Approfondimento
Dalla Tunisia alle carceri italiane: un ponte di libri sul Mediterraneo
Sebbene quella arabofona sia una delle comunità più numerose nei penitenziari italiani, nelle biblioteche mancano volumi in arabo. Il progetto “Kutub hurra” promosso dall’Ong Un Ponte Per vuole dare una risposta a questo bisogno
Ad attraversare il Mediterraneo non sono persone ma libri, rigorosamente in arabo, raccolti dall’associazione Lina Ben Mhenni e distribuiti in alcune carceri italiane dalla Ong Un Ponte Per. L’iniziativa “Kutub hurra” (“Libri liberi”) è una vera e propria cooperazione al contrario, dalla Tunisia all’Italia. “È nata sul finire del 2021, quando abbiamo riavviato le attività in Tunisia, dopo la pandemia -racconta Lodovico Mariani, program desk di Un Ponte Per e responsabile del progetto insieme a Bianca Farsetti-. L’associazione con cui collaboriamo è uno dei nostri partner più solidi: è stata fondata dai genitori e da alcuni amici di Lina Ben Mhenni, blogger e attivista tunisina, che è stata voce della Rivoluzione dei gelsomini del 2011 e che purtroppo è venuta a mancare nel 2020”.
Una delle numerose attività lanciate dall’attivista per i diritti umani era stata proprio la raccolta di libri -si dice almeno 45mila- destinati ai detenuti delle carceri tunisine. “Confrontandoci con altre associazioni che operano nei nostri istituti penitenziari -spiega Mariani- avevamo riscontrato che uno dei problemi principali è la scarsità di libri in arabo, a eccezione del Corano. Questo sebbene la comunità linguistica arabofona sia quella più numerosa tra gli stranieri attualmente detenuti in Italia”.
Una popolazione che, al 31 marzo 2022, contava 17.104 persone su un totale di 54.609 ristretti, come riporta l’ultima edizione del rapporto sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane l’associazione Antigone. Una “quota” che dal 2011, quando era del 36,1% si è progressivamente ridotta attestandosi al 31,3% ed è composta soprattutto da uomini: le donne infatti erano 727 (il 4,3% dei detenuti stranieri) in linea con il dato italiano (1.549 detenute, il 4,1% del totale). “Le nostre carceri non avevano libri in arabo, mentre l’associazione Lina Ben Mhenni ne aveva in abbondanza. Dall’incontro di questi due fattori, con grande naturalezza, è nato ‘Kutub hurra’ e la risposta da parte di tutte le carceri italiane, con cui siamo entrati in contatto, è stata incredibile. Anche quelle con una situazione più tesa hanno reagito in maniera entusiastica”.
La prima esperienza è stata fatta a Livorno: “Abbiamo distribuito i primi cinquanta libri e ce ne sono stati chiesti altri -continua Mariani- ma soprattutto abbiamo siglato la prima convenzione con la casa circondariale Le Sughere grazie al Garante comunale dei detenuti, Marco Solimano, e all’Arci di Livorno”. Per relazionarsi al meglio con gli istituti di pena e far sì che il progetto sopravviva a eventuali cambi di direzione del carcere, Un Ponte Per si avvale della collaborazione dei Garanti e delle associazioni locali. “Non basta portare un libro -sottolinea Mariani-. Certo, è un primo passo per rompere l’aspetto totalitario del carcere, che al di là delle responsabilità, per sua natura esiste. Ma per far vivere i libri dentro gli istituti, per trasformarli in esperienze, servono persone che ci operino attivamente, come le associazioni con cui collaboriamo”.
Anche la casa circondariale don Bosco di Pisa, dove il progetto si svolge in collaborazione con l’associazione Controluce, ha chiesto altri cinquanta volumi. Mentre da Sollicciano, il carcere di Firenze, dove la convenzione si sta finalizzando, in collaborazione con l’associazione Pantagruel, la richiesta è già di cento. “Qui, a metà 2022, circa 200 detenuti su un totale di 560 erano arabofoni”, sottolinea Mariani.
“La cosa che ha stupito anche noi è che i volumi più apprezzati siano quelli di poesia. Ci hanno spiegato che spesso i detenuti estrapolano dei versi, per trascriverli nelle lettere ai familiari”. L’ultimo, recentissimo, accordo siglata è quello con il carcere di Padova, che ha già chiesto una cinquantina di libri. “Qui è stato possibile grazie alla cooperativa Altracittà che gestisce la biblioteca interna”, spiega Mariani, soddisfatto.
Per il futuro, in progetto, ci sono il carcere dell’isola di Gorgona (LI) e il Regina Coeli di Roma, anche se in quest’ultimo Mariani segnala un problema. “Abbiamo iniziato a interloquire con l’istituto, facilitati dall’ex Garante dei detenuti, Gabriella Stramaccioni, a cui però non è stato rinnovato il mandato. Si tratta di un problema politico ed è una vergogna, perché è una donna con un’attenzione straordinaria ai diritti umani e alla dignità delle persone. Non si capisce con quale tipo di logica non sia stata confermata”. Nel penitenziario romano, secondo il rapporto Antigone, il 51,3% dei 379 detenuti sono stranieri.
“È il Mediterraneo uno dei motivi principali per cui ci siamo messi a ragionare su questa iniziativa -conclude Mariani-. Questo è il nostro modo di occuparcene, ognuno lo deve fare secondo le proprie caratteristiche: la cultura è nel Dna di Un Ponte Per. Dopo la seconda guerra del Golfo abbiamo contribuito a restaurare i volumi antichi e aiutato la biblioteca di Baghdad. I libri ti definiscono e se non sai chi sei non puoi integrarti. I migranti arrivano nudi, donare loro un libro nella loro lingua significa restituire un pezzo di identità, che è rimasta indietro. La nostra Ong costruisce soprattutto relazioni: ‘Ponti, non muri’ è il nostro slogan”.
Relazioni che si concretizzano anche nei corrieri che trasportano i libri, in un’ottica a basso impatto ambientale. “Solitamente a portarli è un nostro collega italiano che vive in Tunisia -dice Mariani- o chi di noi si reca nel Paese”. A dare un contributo è stata anche l’operatrice umanitaria Vincenza Lofino che ad aprile 2022 è partita da Sidi Bouzid, dove nel dicembre 2010 scoppiò la Rivoluzione dei gelsomini, per ripercorre in bicicletta il viaggio dei migranti diretti in Italia: ha sostenuto il progetto in maniera simbolica, ma di fatto concreta, portando due libri con sé. Un Ponte Per accetta donazioni anche dall’Italia, i testi devono essere in arabo o nella lingua di altre comunità straniere.
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