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Il collasso dell’accoglienza e l’abbandono dei richiedenti asilo. Il caso Friuli-Venezia Giulia

© Xuan Luo - Unsplash

Da luglio di quest’anno si sono quasi del tutto interrotti i trasferimenti delle persone dalle strutture di prima accoglienza di Trieste, Udine e Gorizia verso il resto del territorio. Risultato: centinaia di persone stipate in caserme o costrette all’addiaccio. “Una chiara violazione della norma”, denuncia Gianfranco Schiavone

Tra il primo gennaio e il 19 settembre 2022 gli sbarchi sulle coste italiane sono passati dalle 43.274 persone dello stesso periodo del 2021 a 68.208, con un aumento del 58% circa (fonte ministero dell’Interno). Che cosa è avvenuto invece sulle rotte terrestri? Anche quest’anno, come sempre e inspiegabilmente, il ministero non rende invece noti i dati degli ingressi dalla rotta balcanica che sono comunque in aumento. Vanno presi con molta cautela i dati degli attraversamenti cosiddetti “illegali” registrati da Frontex lungo la rotta balcanica nel periodo gennaio-agosto 2022 con un aumento del 190% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si riferiscono infatti al numero degli attraversamenti (che possono avvenire più volte a causa dei respingimenti) e non invece alle domande di asilo. Dal mio osservatorio di Trieste posso comunque confermare l’aumento degli arrivi al confine italo-sloveno che tuttavia al momento stimerei finora attorno al 30 o forse 40% rispetto al 2021, quindi un aumento netto ma non eccezionale e che, comunque, si attesta su alcune migliaia di persone, non certo numeri da capogiro.

Se guardiamo il quadro europeo nel suo insieme vediamo che in tutta l’Unione europea a fine 2021 (fonte Eurostat) le nuove domande di asilo presentate nel corso dell’anno erano state 623.315, con un aumento del 25,3% rispetto al 2020 (anno che va considerato alquanto anomalo a causa della pandemia che ha frenato a livello globale ogni forma di migrazione). Con 53.610 domande, pari all’8,2%, l’Italia è il quarto Paese Ue, con netto stacco dopo Germania (27,7%), Francia (19,4%) e Spagna (11,6%).

Come si può vedere dalla seguente tabella, in Europa ci sono appena 1.196 richiedenti asilo per milione di abitanti, con forti variazioni di incidenza tra i Paesi membri. All’interno di questi numeri modesti l’Italia ancora una volta si colloca, nonostante la sua posizione geografica, al di sotto della meda dell’Ue.

Da una valutazione complessiva dei dati sopra indicati risulta difficile sostenere che l’Italia stia vivendo una situazione di particolare emergenza, sia via mare sia via terra, per ciò che riguarda il numero di arrivi dei migranti e dei richiedenti asilo in particolare. Eppure le dichiarazioni politiche, non solo a destra, presentano un quadro catastrofico che ha come scopo quello di alimentare la paura tra i cittadini. Le immagini della saturazione del centro di Lampedusa per inerzia nei trasferimenti hanno fatto fin troppo clamore e sono state usate per poter urlare a una inesistente invasione quando esse sono invece causa di un reale e grave problema di cui nessuno vuole parlare, ovvero il non funzionamento del sistema pubblico di accoglienza, del tutto sottostimato rispetto alle esigenze ordinarie dell’Italia.

Fonte: ministero dell’Interno, aggiornato al 31 agosto 2022

Un aumento contenuto degli arrivi che si è verificato nell’estate 2022, via mare e via terra, e che avrebbe dovuto essere gestito senza particolari problemi, ha invece fatto esplodere il sistema pubblico di accoglienza italiano, già largamente inaccessibile a chi arriva nel territorio nazionale al di fuori delle operazioni di soccorso, in aperta violazione delle disposizioni della Direttiva 2013/33/Ue. Per evitare che il sistema di accoglienza possa diventare oggetto di analisi e quindi di fastidioso dibattito, il ministero dell’Interno ha scelto come strategia quella di non pubblicare i dati sul reale bisogno di accoglienza, non rendere nota la programmazione annuale e persino ostacolare chi cerca di analizzare la realtà (si veda sul punto il report Openpolis del 23 luglio di quest’anno sulla reticenza del ministero dell’Interno).

Se il silenzio omissivo è il tratto generale che avvolge il sistema di accoglienza italiano, c’è un’area dove tale silenzio è ancor più fitto e dove tutto rimane pressoché invisibile e dimenticato dalla politica, dalla società e da larga parte degli organi di informazione. Mi riferisco alla situazione degli arrivi in Friuli-Venezia Giulia provenienti dalla rotta balcanica. A partire dal mese di luglio 2022, si sono quasi del tutto interrotti i trasferimenti dalle strutture di prima accoglienza di Trieste, Udine e Gorizia verso il resto del territorio nazionale. Ciò ha provocato una situazione grave di crescente pressione sul territorio friulano non in ragione di numeri eccessivi e neppure in ragione di una mancanza di posti di prima accoglienza, ma a causa del blocco del meccanismo dei trasferimenti che caratterizza necessariamente quest’area di confine. A Gorizia e Udine dove sono in uso grandi centri collettivi ricavati da vecchissime caserme piuttosto degradate, la soluzione tampone (anch’essa esauritasi) è stata quella di stipare all’inverosimile le persone nelle medesime strutture. Nella caserma Cavarzerani di Udine, la cui capienza è di circa 300 posti, sono state così pigiate 900 persone. “Un singolo e fatiscente bagno ogni cinquanta persone, fredde e umide brande ammassate una sopra l’altra, tendoni, posti letto ricavati da aree, anche all’aperto, in cui non erano previsti e in cui ora è difficile muoversi. Condizioni igieniche agghiaccianti” ha scritto il 17 settembre, senza essere smentita, la storica associazione Ospiti in arrivo di Udine.

A Trieste dove positivamente non vi sono mai stati grandi centri collettivi in quanto l’intero sistema di accoglienza, anche quello rappresentato dai centri straordinari, è orientato al modello dell’accoglienza diffusa assimilabile al Sai, l’effetto della mancanza dei trasferimenti dalle strutture di prima accoglienza ha paradossalmente prodotto conseguenze ancora peggiori in quanto i richiedenti asilo sono semplicemente stati abbandonati in strada, totalmente privi di alcuna assistenza: né letto, né cibo. Nulla. La città che fu di Franco Basaglia fin dal 2015 ha giustamente scelto di evitare la logica dei centri, avvertiti come una forma di istituzione totale, e ha allestito solo strutture di prima accoglienza a elevata rotazione (Casa Malala e l’Ostello Scout, per un totale a regime di 220 posti, oggi portati a oltre 350 con uso di tende nell’Ostello), puntando su una rete territoriale di quasi 200 appartamenti per realizzare un’accoglienza territoriale con standard elevati e orientata a consentire ai richiedenti asilo la massima autonomia e un inserimento sociale il più veloce possibile. I trasferimenti verso il resto del territorio nazionale, specie nei mesi estivi, della quota di coloro che, per mere ragioni numeriche, non possono essere assorbiti nella rete territoriale di accoglienza triestina, ha sempre dato ottimi risultati e ha permesso di gestire un numero di arrivi significativi negli ultimi sette anni, come si può vedere nei dettagliati rapporti statistici annuali sul sistema di accoglienza territoriale.

Dall’inizio della fase critica del blocco dei trasferimenti il Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste ha inviato ben otto segnalazioni formali alla prefettura (e per conoscenza alla sede per l’Italia dell’Unhcr). Nell’ultima segnalazione del 9 settembre si indicava un numero di almeno 273 richiedenti asilo privi di alcuna accoglienza costretti all’addiaccio, specie nella zona della stazione centrale, più della metà dei quali erano in quella condizione da 20 e 30 giorni e la loro stessa sopravvivenza materiale era affidata esclusivamente al soccorso portato dalle associazioni di volontariato. Il numero di persone indicato nelle segnalazioni è tuttavia da considerarsi sottostimato perché comprende solo coloro che sono stati intercettati in strada nelle attività di assistenza umanitaria mentre altri richiedenti, dopo avere manifestato la loro domanda di asilo possono non essere più visibili perché si sono nel frattempo spostati dal territorio in cerca di una soluzione di sopravvivenza, mentre altri ancora, consapevoli di non avere alcuna assistenza, si allontanano immediatamente sperando di trovare di meglio altrove.

A nessuna delle segnalazioni inoltrate da Ics è mai stato dato alcun riscontro, nonostante la drammaticità della situazione e la chiara violazione della norma da parte della prefettura competente e del ministero dell’Interno. La norma è infatti chiara nel disporre che, senza eccezioni, le misure di accoglienza si applicano “dal momento della manifestazione di volontà di chiedere protezione internazionale” (decreto legislativo 142/2015). La giurisprudenza italiana in materia di violazione delle disposizioni sull’accoglienza è ancora scarna ma la chiarezza della norma di diritto dell’Unione europea trasposta nel diritto interno non lascia spazio a diverse interpretazioni riguardo alla sussistenza dell’obbligo ad agire da parte della Pubblica amministrazione (Tar Veneto, 358/2019 e Tar Campania, 4738/2019). La giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani conferma che la violazione di tale obbligo configura una lesione di diritti inviolabili della persona cui spetta, oltre alla cessazione della condotta inadempiente, una tutela risarcitoria (si veda tra le altre la causa Mss. c. Belgio e Grecia, gennaio 2011).

Alla vigilia delle elezioni politiche è doveroso chiedersi se il collasso del sistema di accoglienza italiano sopra descritto che riguarda l’intero territorio nazionale, ma è più acuto proprio su quel confine triestino che vide nel 2020 l’illegale prassi delle “riammissioni informali”, avviene come non evitabile manifestazione di tale collasso, o è forse, almeno in parte, un meccanismo a orologeria collegato alle elezioni politiche, ovvero finalizzato ad alzare il senso di insicurezza, e quindi orientato a produrre un consenso a favore di quelle formazioni politiche estremiste che della logica della paura e della chiusura hanno fatto il proprio tratto caratterizzante. E che proprio nel centenario della marcia su Roma che portò l’Italia nell’oscuro ventennio fascista si candidano alla guida del nostro difficile Paese.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati Onlus di Trieste

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