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La Bosnia rimpatria i primi due migranti in Pakistan. Un “banco di prova” per l’ingresso nell’Ue

© Služba za poslove sa strancima

Il 31 luglio con un volo di linea il governo di Sarajevo ha soddisfatto le richieste delle istituzioni europee: l’obiettivo è esternalizzare anche le espulsioni. E promette accordi di riammissione con Afghanistan, Siria e Bangladesh: l’ennesimo colpo al diritto d’asilo

La Bosnia ed Erzegovina ha effettuato la prima operazione di rimpatrio di due migranti di origine pakistana residenti sul territorio senza un regolare permesso di soggiorno. Il volo di linea atterrato il 31 luglio 2022 a Islamabad ha aggiunto un nuovo importante tassello alla strategia di esternalizzazione nella gestione del fenomeno migratorio da parte dell’Unione europea, che affida al governo di Sarajevo il “lavoro sporco” delle espulsioni. Per migranti e richiedenti asilo arrivare in Bosnia ed Erzegovina significa quindi entrare in un “Paese trappola”, come scrive Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano di solidarietà (Ics), dove “i rifugiati non possono godere di alcuna protezione e al tempo stesso sono esposti a respingimento verso i Paesi d’origine”.

A oggi la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese dei Balcani occidentali ad avere un accordo di riammissione con il Pakistan -firmato all’inizio di novembre 2020 dopo oltre dieci anni di trattative- dopo che il governo di Islamabad aveva sospeso quello siglato con l’Unione europea nel 2015. L’intesa, entrata in vigore il 23 luglio 2021, nasce su mandato delle istituzioni europee: “Di fatto è stata posta come pre-requisito al Paese balcanico per entrare nell’Ue: la sottoscrizione di accordi con Paesi terzi per facilitare le espulsioni dei migranti è un tassello fondamentale -spiega la ricercatrice Gorana Mlinarevic-. Anche perché per diverse nazionalità, come quella pakistana, questo rappresenta l’unico modo per l’Ue di rimpatriare le persone. E Bruxelles lo sa bene”.

L’attenzione mediatica (con tanto di video pubblicato sui social) data alla partenza di questo primo volo -che dopo il decollo da Sarajevo il 31 luglio ha fatto scalo a Istanbul per poi dirigersi a Islamabad- dimostra la consapevolezza delle autorità bosniache nel dover dimostrare che l’impegno sul fronte della “gestione” del fenomeno migratorio non manca. “Sicuramente è stata data molta enfasi all’operazione, con tanto di pubblicazione video sui profili social del ministero dell’Interno -continua Mlinarevic-. Bisogna però considerare che le operazioni sono molto costose e il governo non ha abbastanza budget per coprirle. Penso che presto saranno le stesse istituzioni europee a finanziare i rimpatri”. Il problema economico è stato sottolineato anche dalle istituzioni bosniache che hanno però rivendicato la buona riuscita della operazione. “Ricordate quanti dicevano che questo accordo non sarebbe mai andato a buon fine? -ha dichiarato, soddisfatto, il ministro della Sicurezza Saša Kecman a Radio Free Europe-. Sono solo due persone, certo, forse sembra solamente simbolico, ma ha portato a termine il lavoro di oltre un anno e mezzo. Quel che conta è mostrare che il sistema funziona e che lo possano vedere anche i cittadini bosniaci”.

Le autorità di Sarajevo continuano ad approcciare il tema migratorio all’insegna dell’emergenza. Ma non è così. Al 24 luglio 2022 sono 9.766 i nuovi arrivi in Bosnia ed Erzegovina dall’inizio dell’anno, in linea con l’anno precedente quando erano stati 15.740. Si registrano presenze contenute al di fuori dei centri di accoglienza istituzionali: nel rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) di luglio, si segnalano circa 743 persone concentrate soprattutto a Nord, nella zona al confine con la Croazia. Nel Paese a fine di luglio c’erano in totale 1.735 migranti in quattro centri di accoglienza: 394 a Borici e Lipa, nuovamente nella Bosnia Nord-Occidentale, e 1.341 nei centri di Blažuj e Ušivak vicino a Sarajevo.

Anche per questi numeri contenuti, la costruzione del campo di Lipa, finanziato dall’Unione europea e inaugurato nel novembre 2021, fin da subito ha destato “sospetti” tra gli addetti ai lavori. “Credo che sarà utilizzato come base per sistematizzare le espulsioni: geograficamente è vicino al confine con la Croazia e un campo simile facilita anche la registrazione delle persone”, commenta Mlinarevic. Come raccontato nel report curato da RiVolti ai Balcani, il Temporary reception centre da 1.500 posti -uomini soli, donne e minori- si trova a 800 metri di altitudine, a quasi 25 chilometri dal primo ospedale e senza possibilità di poter essere un luogo in cui le persone costruiscono il proprio futuro. “I migranti verranno così prima deportati a Lipa, in quanto lì sono state registrate e, a catena, deportate in Pakistan attraverso vie formali”, conclude la ricercatrice.

Quelle delle espulsioni resta però una procedura lenta anche per la Bosnia ed Erzegovina così come per i Paesi europei soprattutto a causa della difficoltà a organizzare i voli di rimpatrio, dei costi e a ricevere il via libera dalle ambasciate dei Paesi d’origine. Come ricostruito da Radio Slobodna Evropa, un’agenzia di comunicazione fondata dal Congresso degli Stati Uniti, le autorità devono passare tramite l’ambasciata pakistana a Sarajevo, che invia a Islamabad una richiesta di verifica dell’identità della persona da espellere. Questa procedura può richiedere fino a 90 giorni. Finora, sono state inviate centinaia di richieste del genere e sembra che il governo del Pakistan abbia impiegato molto tempo per processarle. Ma il ministro della Sicurezza Kecman ha affermato che l’ambasciatore pakistano a Sarajevo è “pronto a collaborare”. L’obiettivo delle autorità è quello di accelerare questo processo. Sempre secondo quanto ricostruisce il giornale, di recente, i rappresentanti della National database and registration authority (Nadra), un’agenzia pakistana che gestisce database ed emette documenti personali, nonché l’Agenzia per i documenti di identificazione, i registri e lo scambio di dati della Bosnia ed Erzegovina hanno visitato il Paese balcanico.

In questo quadro gioca un ruolo fondamentale l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim), di fatto il braccio operativo delle istituzioni europee nel Paese. Nel caso del campo di Lipa, per esempio, la gestione è affidata al Service for foreigner’s affairs (Sfa) del ministero per la Sicurezza. Nei fatti però le assunzioni del personale e i contratti sono siglati da Oim, mentre i salari coperti dalle istituzioni europee. “L’Oim è diventato uno dei più importanti donatori del Paese, operando in vari settori della società civile -si legge nel rapporto People on the Move in BiH 2019-2021-.  Le organizzazioni che ricevono i fondi sono tenute a seguire le istruzioni e i requisiti dei donatori”. Anche per questo motivo, secondo Mlinarevic, anche sul lato “deportazioni” il ruolo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni sarà di primaria importanza. “Non penso che vedremo voli direttamente gestiti dall’Ue e da Frontex, credo che saranno gli stessi funzionari di Oim a essere coinvolti in queste operazioni come già lo sono nella registrazione dei dati di chi transita nel Paese. Non c’è nessuna Ong indipendente che monitora il rispetto dei diritti umani, né nei campi, né durante l’iter per la presentazione delle domande d’asilo; viene chiesto a Oim di farlo quando invece è la stessa Organizzazione a essere complice di violazioni”.

Il futuro non è roseo. In un documento pubblicato nell’ottobre 2021 l’Unione europea sottolinea come la Bosnia ed Erzegovina avesse concluso “accordi di riammissione con i Paesi dell’Unione europea, tutti i Paesi dei Balcani, Turchia, Russia, Moldova e Pakistan” e che il governo di Sarajevo aveva “proposto di iniziare le negoziazioni anche con Bangladesh, Afghanistan, Marocco ed Egitto”. Il Pakistan è solo il primo passo. Con “buona pace” del diritto d’asilo.

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