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Nuovo stadio a San Siro: quali armi ha il pubblico contro riciclaggio e infiltrazioni?
A fine ottobre il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha incontrato Inter e Milan annunciando un accordo in merito al discusso intervento immobiliare. La stabilità economica e finanziaria delle due società e la loro titolarità effettiva rimangono però opache e riguardano paradisi fiscali. L’analisi di David Gentili
“Questa mattina ho incontrato a Palazzo Marino i rappresentanti delle società F.C. Internazionale e A.C. Milan. Alle squadre ho rappresentato la posizione del Comune di Milano […]. Le due società si sono dichiarate d’accordo”. Inizia e finisce così il comunicato stampa del 29 ottobre scorso a firma del sindaco di Milano Giuseppe Sala in merito al nuovo stadio a San Siro.
“I prerequisiti fondamentali per poter passare alla fase esecutiva del progetto stadio -ha scritto Sala- sono tre. Il primo è che il nuovo stadio dovrà sostanzialmente rispettare le linee e i volumi contenuti nello studio di fattibilità che è già stato presentato all’amministrazione. Il secondo punto chiede una riconversione dell’area dell’attuale San Siro al fine di sviluppare il progetto del distretto dello sport e entertainment, in un contesto verde. Infine, terzo e ultimo punto, che le concessioni di diritti volumetrici per sviluppi urbanistici accessori allo stadio non deroghino a quanto consentito dal PGT vigente”.
Una svolta non tanto inaspettata, proprio il giorno dopo l’assemblea dei soci della società nerazzurra durante la quale, presentando il bilancio con il debito peggiore della storia della seria A, Stephen Zhang, 29 anni, presidente della squadra milanese, intervenendo da Nanchino in videoconferenza, ha dichiarato: “All’Inter ancora a lungo”.
I lettori ricorderanno la polemica tra Zhang e Sala del marzo scorso. Il sindaco disse infatti che “Finché in particolare l’Inter non chiarirà il suo destino per noi le cose devono essere necessariamente ferme”. Un concetto chiaro, condivisibile, apparentemente superato. Jindong Zhang e Steven Kangyang Zhang fecero gli offesi, ma dalla stampa giungevano notizie di flirt con BC Partner, con gli olandesi di PEQ, con il fondo svedese EQT, con il fondo sovrano saudita e quello statunitense Ares. Ad un certo punto si è parlato di Ali Baba per facilitare l’intervento di Fortress. A fine maggio scorso giunse notizia del prestito del fondo Oaktree per 275 milioni.
Le voci non si fermarono. Ora sono tornati in auge i sauditi che, con il fondo sovrano Public Investment Fund (Pif) in capo al sedicente principe Mohammed bin Salman Al Saud, pare stiano per fare una proposta a cui non si può dire di no. Pif nel calcio sta investendo. Recentemente, dopo mesi di trattativa, ha acquisito l’80% del Newcastle, nonostante Amnesty International abbia cercato di convincere la Premier League a respingere l’accordo, considerando le accuse fatte a Bin Salman per l’omicidio di Jamal Khashoggi e all’Arabia Saudita per la mancata tutela dei diritti umani. La Premier League ha comunque firmato. Per Milano potrebbe essere più imbarazzante. Staremo a vedere.
Notizie di possibili acquirenti dell’Inter si sono rincorse per mesi nonostante la struttura societaria fosse più definita e stabile di quella che propongono i “cugini” rossoneri. Pare chiaro a tutti che non si può iniziare un iter amministrativo con una controparte e a un certo punto averne un’altra. Zhang lo ha capito e ha fugato ogni dubbio in merito: nessuna vendita prima della firma dell’accordo di concessione. La certezza opposta, in casa Milan, l’ha data nei giorni scorsi, lo stesso presidente Paolo Scaroni: “Elliott rivenderà il Milan, è il loro lavoro”.
La frase toglie ogni dubbio anche ai più fiduciosi. Una volta sottoscritto l’accordo, Elliot scomparirà, confermando lo spirito speculativo dell’impresa finanziaria, dal momento nel quale intervenne per aiutare il fantomatico Li Yonghong ad acquistare da Fininvest, nell’agosto 2016, per poi rilevare la squadra dallo stesso, nel luglio 2018.
Nel comunicato stampa il sindaco nulla dice in merito alla stabilità economica e finanziaria delle due società e nulla in merito alla loro titolarità effettiva. Chi siano i reali proprietari del marchio di Milan e Inter. Chi detiene direttamente o indirettamente più del 25% delle quote delle due società o le controlla, al di là e al di sopra dei due frontmen Paolo Scaroni e Alessandro Antonello, amministratore delegato dell’Inter. Insomma: chi ci mette i soldi e decide? Domande che ancor prima dell’applicazione della legge stadi erano state avanzate nelle sedute di Consiglio comunale a Milano già dal 2016.
Domande che vennero riformulate nell’ordine del giorno votato dallo stesso Consiglio, tramite una richiesta precisa: una chiara e trasparente rappresentazione dei titolari effettivi delle società contraenti la concessione comunale prevedendo negli atti richiesti una dichiarazione nella quale il proponente indichi i rispettivi titolari effettivi così come definiti dal decreto legislativo 231/2007 e successive modificazioni e integrazioni. Era il nono punto dei sedici presenti nell’ordine del giorno che il Consiglio votò il 28 ottobre 2019.
La risposta fornita al Consiglio fu altrettanto chiara: le società che detengono Milan e Inter non volevano dichiarare chi fossero i loro titolari effettivi. La “cosa” invece emerse l’anno successivo dopo la puntata di Report del settembre 2020 dedicata allo stadio e dopo le richieste, avanzate, per la prima volta, dalla stessa amministrazione comunale all’interno dell’interlocuzione avviata per la legge stadi.
Fu l’ex dirigente Giancarlo Tancredi, ora assessore all’Urbanistica e allora Responsabile unico procedimento Nuovo stadio, a invitare le squadre a produrre, secondo le modalità previste dalla legge (ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 445/2000 tramite le autocertificazioni previste dall’articolo 80 del Codice dei Contratti Pubblici e dal D.P.R. n. 207/2010), la documentazione attestante il possesso dei requisiti di partecipazione in capo ai Soggetti Proponenti e l’effettiva titolarità delle società proponenti (ai sensi del DPR 231/2007).
Le risposte giunte lo scorso gennaio non posero alcuna pietra sopra la vicenda. Dagli 80 documenti depositati per rispondere alla seconda questione si evince immediatamente che le dichiarazioni non vengono sottoscritte ai sensi e per gli effetti del DPR 445/2000, ma soprattutto che stiamo interloquendo, per la concessione di un bene pubblico, con chi ha posto la propria sede nei paradisi fiscali o meglio nei paradisi di opacità. Paesi in cima alle classifiche delle blacklist mondiali che oltre a offrire una tassazione nulla, garantiscono poca (o meglio nessuna) trasparenza e poca (o meglio praticamente nessuna) collaborazione con le autorità giudiziarie estere.
Chi ha in mano il 31,05% dell’Inter è controllato da una società che ha sede nelle Cayman, che, a sua volta, è controllata da una società con sede alle Cayman, anch’essa controllata da una società con sede alle Cayman, la cui general partner ha sede alle Cayman, asseritamente controllata da tale LionRock Capital con sede alle Cayman.
Simile la storia di chi detiene in questo momento il marchio dei cugini rossoneri. Il capitale sociale di A.C. Milan è detenuto per circa il 99,93% dalla società Rossoneri Sport Investment Luxembourg S.à r.l., di proprietà al 100% di Project Redblack. Il 67% del capitale sociale di Project Redblack è in mano alla King George. Il 100% del capitale sociale di King George è detenuto da Elliott International L.P. asseritamente “un organismo di investimento collettivo del risparmio” in forma societaria istituito ai sensi del diritto delle Cayman. Più del 90% del capitale sociale di Elliott International L.P. è detenuto da Elliott International Limited a sua volta asseritamente “un organismo di investimento collettivo del risparmio in forma di società” istituito, chissà perché, ai sensi del diritto delle Cayman.
Per un’altra quota del 28,73% il capitale sociale di Project Redblack è detenuto invece dalla società Genio Investment LLC e il 100% del capitale sociale di Genio Investment è detenuto da Elliott Associates LP, anch’esso asseritamente “un organismo di investimento collettivo”, costituito, questa volta, nello stato del Delaware. Gli unici veramente trasparenti a questo punto sono Salvatore Cerchione residente negli Emirati Arabi Uniti, nato a Napoli nel 1971 e Gianluca D’Avanzo residente nel Regno Unito, nato a Napoli nel 1975, che detengono il 2,13% del Milan. Fino a settembre 2020. Prima della puntata di Report, infatti controllavano insieme la maggioranza del Milan: il 50,004%.
Come si può cedere parte del proprio territorio a chi, scientificamente, rende opaco il proprio assetto societario con molteplici livelli societari di anonimato in giurisdizioni che hanno questo come scopo? Come potrà la Prefettura verificare la documentazione antimafia? Come potrà verificare che quanto dichiarato dalle società sia vero? Chiederà alle Cayman? Al Delaware?
A fronte dell’opacità delle due strutture societarie, stante la normativa antiriciclaggio vigente, la 231 del 2007, il Comune di Milano pare proprio che sia obbligato a segnalare le due società all’Unità di informazione finanziaria (Uif), che raccoglie tutte le segnalazioni a rischio riciclaggio d’Italia.
Nella stessa legge all’articolo 18 vengono descritti gli obblighi di adeguata verifica che consentono di ricostruire, con ragionevole attendibilità, l’assetto proprietario e di controllo del cliente. L’articolo 42, comma 1, come modificato dal d.lgs. 90/2017, prevede che, in caso d’impossibilità oggettiva di effettuare l’adeguata verifica della clientela, i soggetti obbligati si astengano dall’instaurare, eseguire ovvero proseguire il rapporto, la prestazione professionale e le operazioni con il cliente. Purtroppo questo articolo non si applica alle pubbliche amministrazioni che sono sì obbligate a inviare comunicazioni di dati e informazioni inerenti attività sospette a rischio riciclaggio, ma non devono verificare la veridicità dei documenti e soprattutto non possono astenersi dal proseguire l’interlocuzione con le due società. Le banche, quindi, possono negare l’apertura di un conto corrente mentre le pubbliche amministrazioni non possono negare un appalto, un finanziamento o una concessione alle società opache.
Risulta palese a tutti che ciò non può essere. Se si vuole contrastare efficacemente il riciclaggio non può esistere una norma che non protegge il bene pubblico e stimola, oltremodo, le società ad opacizzarsi per dribblare tasse, eventuali conflitti di interesse, controllo su accordi sottobanco.
La certezza sulla titolarità effettiva e soprattutto la possibilità di verificare i documenti prodotti risultano fondamentali, come già accennato, per ottenere la documentazione antimafia (comunicazione e informativa antimafia) dalla Prefettura competente, come dettano gli articoli 83 e 84 del Codice antimafia.
L’informazione antimafia, in particolare, attesta, oltre a quanto già previsto per la comunicazione antimafia (sussistenza o meno delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 del D. Lgs. 159/2011) anche l’esistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate. Una valutazione complessiva compiuta analizzando i collegamenti familiari, le frequentazioni dei vertici societari. Analizzando banche dati della polizia, casellari giudiziari e atti processuali. Se non abbiamo la possibilità di verificare le dichiarazioni depositate come sarà possibile verificare l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa? Domande che bisogna porsi e che devono avere delle risposte.
David Gentili, counsellor psico-sociale, ha lavorato per anni in ambito educativo, in particolare come mediatore sociale nel carcere di San Vittore, ha insegnato educazione etica all’istituto professionale Rizzoli e oggi lavora per la Fondazione ENAC occupandosi di inserimento lavorativo delle categorie protette. È stato Consigliere comunale del Comune di Milano dal 2008 al 2021 e presidente della Commissione antimafia. Con Ilaria Ramoni e Mario Turla è autore del libro “Il giro dei soldi”.
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