Diritti / Attualità
Migliaia di afghani in fuga nei Paesi confinanti. Ma l’ingresso in Italia resta un miraggio
Da luglio a settembre 2021 gli arrivi di rifugiati registrati dall’Unhcr in Iran, Pakistan e Tagikistan sono aumentati del 90%. Il governo italiano, però, temporeggia nel fornire chiare indicazioni su come ottenere visti d’ingresso per raggiungere il territorio. “Difficoltà insormontabili, serve una procedura chiara”, denuncia Asgi
Il numero di cittadini afghani che raggiungono i Paesi confinanti -Iran, Pakistan e Tagikistan- è in crescita ma il governo italiano non ha ancora fornito indicazioni precise per le modalità di rilascio dei visti di ingresso, sia per chi è in attesa di ricongiungersi con un famigliare già presente sul territorio italiano, sia per coloro che richiedono visti per motivi umanitari. Mentre l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) sottolinea “un incremento di cittadini afghani sprovvisti di documenti che ricorrono a punti di passaggio irregolari della frontiera”, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) sollecita il ministero degli Esteri a fornire “indicazioni pubbliche certe ed utili ad affrontare l’emergenza relativa alle persone afghane, a partire dalle modalità di ottenimento di appuntamento con le rappresentanze consolare per il rilascio dei visti”. Il primo passo concreto per garantire protezione a chi è fuggito dopo la presa di potere dei talebani. Intanto, esponenti dell’esecutivo chiedono di riattivare le “riammissioni” al confine italo-sloveno.
Secondo i dati pubblicati a fine settembre dall’Unhcr, a seguito della “caduta” di Kabul di metà agosto il numero di cittadini afghani fuggiti nei Paesi confinanti è salito del 90% per un totale di 35.400 persone (erano 4mila al 19 luglio 2021). La maggior parte dei rifugiati è fuggita in Iran (19.300) e Pakistan (10mila), con una quota residuale che ha cercato protezione in Tagikistan (5mila). Di questi la maggior parte è senza documenti e dichiara di lasciare l’Afghanistan “per motivi di sicurezza”. L’Agenzia sottolinea come questi dati rappresentino “movimenti registrati su piccola scala” che non possono essere rappresentativi della totalità delle persone che stanno fuggendo dal Paese. Con riferimento all’Iran, ad esempio, i numeri reali dei nuovi arrivi “sono probabilmente molto più alti” ma l’Unhcr “non ha accesso alle zone di confine ed è solo in grado di riferire sulle persone che richiedono aiuto e quindi non è in grado di confermare le tendenze e le cifre”. Quel che è certo è che dei 4.282 nuovi ingressi registrati sul territorio iraniano dall’inizio del 2021, il 70% è arrivato nei mesi di agosto e settembre. Una tendenza simile registrata anche in Pakistan. Da gennaio al luglio 2021, su un totale di circa 10mila arrivi ben 8.331 sono arrivati tra agosto e settembre: di questi, il 43% dichiara di arrivare da Kabul e il 36% appartiene alla minoranza degli Hazara. Anche il dato rispetto al genere e all’età è indicativo: il 47% sono donne e il 46% minori.
I dati, seppur parziali, sottolineano ancor di più la necessità di dare un riscontro ad alcune delle richieste specifiche contenute nel documento presentato dal Tavolo asilo e immigrazione (Tai) presentato l’8 settembre. Tra queste, la possibilità per coloro che sono fuggiti dall’Afghanistan di poter ottenere visti d’ingresso nelle rappresentanze consolari dei Paesi limitrofi. Asgi a metà settembre ha inviato una lettera al ministero degli Esteri per chiedere indicazioni precise sulle procedure da seguire per ottenerli, sia per chi è in attesa di ricongiungimento famigliare, sia per chi ha bisogno di protezione e necessità di un “lasciapassare” per raggiungere l’Italia. Sono numerose, infatti, le segnalazioni di “difficoltà insormontabili”. All’ambasciata italiana di Teheran, ad esempio, si chiede un appuntamento attraverso gli ordinari canali telematici di prenotazione possibile solo con una connessione internet iraniana mentre risulta di fatto “inaccessibile ai più” l’ambasciata di Islamabad, in Pakistan. È in corso un’interlocuzione con il ministero ma Asgi, in una nota di aggiornamento pubblicata il 28 settembre, segnala che “la mancanza di indicazioni operative idonee -quanto meno a superare le difficoltà riscontrate- rende impossibile fornire risposte soddisfacenti e sicure in merito alle procedure da seguire alle persone che ci contattano”. Asgi sottolinea inoltre come la notizia pervenuta tramite gli organi di stampa secondo cui alcune persone sono riuscite a lasciare il Paese -nel documento si fa riferimento al “caso” della pallavolista Safiya arrivata in Italia anche grazie all’intermediazione di Marco Berruto, ex commissario tecnico della Nazionale italiana di pallavolo- evidenzi le necessità di procedure standardizzate “per evitare che si creino ingiuste e discriminatorie pratiche di fuoriuscita dall’Afghanistan pur a fronte di identità di rischi”.
Intanto a metà settembre il sottosegretario del ministero dell’Interno Molteni, durante una visita a Trieste, ha dichiarato che “la politica deve decidere se tutelare le istanze dei territori oppure no” e che a suo avviso “le riammissioni informali devono riprendere perché utili e necessarie per fermare il fenomeno migratorio”. Secondo i dati forniti dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale nella relazione al Parlamento 2021, nel 2020 gli afghani riammessi in Slovenia dalla frontiera di Trieste sono stati 291, da quella di Gorizia 36 (di cui quattro donne). Riammissioni che, nella maggior parte dei casi, comportano respingimenti a catena in Bosnia ed Erzegovina, al di fuori dell’Unione europea in un Paese in cui il diritto d’asilo è fragile e le persone in transito corrono gravi rischi per la propria incolumità.
Secondo il Guardian tra il 16 e il 29 agosto 2021, almeno 60 cittadini afghani sono stati respinti dalla Croazia verso la Bosnia ed Erzegovina. Un dato confermato anche dall’ultimo report di Border violence monitoring network (Bvmn), una rete che monitora i diritti delle persone in transito sulla rotta balcanica: nel mese di agosto dei 30 pushback “registrati”, ben 16 hanno interessato cittadini afghani. Non è una novità. Nello stesso documento, la rete segnala che dal gennaio 2017 all’agosto 2021 almeno 481 respingimento (il 41% del totale) hanno visto coinvolte persone provenienti dall’Afghanistan vittime di una violenza “spesso assimilabile a tortura”. Il 77% di loro ha riportato di aver subito violenze fisiche, il 55% furto di oggetti personali, il 26% l’obbligo di spogliarsi e alcuni (2%) hanno dichiarato di aver subito violenza sessuale dalla polizia di frontiera. Che siano i visti di ingresso o le riammissioni informali, l’Italia è chiamata a concretizzare i buoni auspici di accoglienza e protezione per i rifugiati afghani.
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