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Il futuro delle città è pubblico. L’esempio di Barcellona

Una “superilla”, una zona pedonale, nel quartire di Sant Antoni a Barcellona © www.flickr.com/photos/barcelona_cat

La pandemia ha mostrato il ruolo decisivo degli enti locali. Il sostegno ai vulnerabili passa infatti attraverso i servizi primari dei Comuni, com’è accaduto in Catalogna. L’assessora alla Casa Lucía Martín racconta pratiche e prospettive

Tratto da Altreconomia 234 — Febbraio 2021

A Barcellona una madre single che ha perso il lavoro a causa della pandemia può rivolgersi al servizio di baby-sitting di quartiere. Il progetto è stato avviato dal Comune con l’obiettivo di aiutare le famiglie monoparentali o in situazioni di difficoltà economica: sostenuto grazie a un fondo da 248mila euro, ha luogo in sei quartieri a basso reddito e si rivolge a 1.500 bambini tra i quattro e 12 anni supportati da 20 educatori dell’infanzia ogni giorno della settimana. È solo una delle misure che il Comune sta mettendo in atto nell’emergenza sanitaria e che secondo l’assessora alla Casa Lucía Martín -eletta nella lista Barcelona en comù, il movimento politico cui appartiene la sindaca Ada Colau, al governo del municipio dal 2015- rappresenta il risultato delle politiche sociali che si possono attuare quando una città gestisce direttamente i suoi servizi pubblici. Sempre la proprietà e la gestione comunale dei centri anti-violenza, per esempio, ha consentito di rafforzare gli interventi per le donne che subiscono abusi, sovvenzionati dal Plan de Choque Social per cui sono stati utilizzati 35 milioni di euro. “I Comuni hanno la capacità di dare una risposta immediata alle richieste della popolazione di cui conoscono bisogni ed esigenze. La loro dimensione locale consente di realizzare pratiche di prossimità in grado di affrontare le crisi in modo rapido”, spiega l’assessora. “È quello che Barcellona ha fatto sin dal primo lockdown, anche coordinandosi con le altre città della regione mentre lo Stato era lento e assente”, prosegue.

L’assessora alla Casa Lucía Martín L’assessora alla Casa Lucía Martín © flickr.com/photos/kiolasa flickr.com/photos/kiolasa@

L’amministrazione comunale ha tutelato anche il diritto alla casa. Per evitare che le persone perdessero la propria abitazione, il Comune ha agito bloccando gli sfratti di chi non riesce a sostenere l’affitto e ha approvato una norma per congelare il pagamento del canone per chi risiede nelle case popolari. Ha poi aperto ulteriori strutture di accoglienza per i senza fissa dimora, per un totale di 750 posti letto, e ha spinto i proprietari di 200 appartamenti vuoti, perché rimasti senza studenti e senza turisti, a utilizzarli per la quarantena di chi non ha la possibilità di rimanere isolato o per chi subisce forme di violenza domestica. “Adesso stiamo contrattando con i grandi proprietari affinché i loro appartamenti siano utilizzati per forme di affitto sociale. Non è ammissibile che ci siano persone che rimangono senza un luogo sicuro mentre esistono case inutilizzate. Se non si troverà un accordo, potremmo procedere con l’espropriazione”, aggiunge Martín. “L’esempio di Barcellona mostra che le città stanno ricoprendo un ruolo centrale nella pandemia, anche grazie alla loro capacità di generare alleanze sui territori e di lavorare con i gruppi, le associazioni e i movimenti”, prosegue.

21 le strade che saranno rese pedonali nel 2021 nel quartiere di Eixample secondo quanto previsto dal piano “Superilla Barcelona

Il riferimento è alla Unidad antidesahucios, l’unità anti-sfratti fondata nel 2015 che contratta con i privati per evitare che le famiglie siano allontanate dalle loro abitazioni, i cui interventi sono stati intensificati da marzo 2020. Sono stati rafforzati anche i sostegni per il settore della cultura, duramente colpito dalla crisi economica: nel 2020 il Comune ha stanziato un milione di euro diretto ad aiutare i piccoli teatri, i laboratori, le cooperative culturali e le librerie. A questo lo scorso luglio si è aggiunto un altro finanziamento da un milione di euro per sostenere progetti legati agli impatti psicologici del Covid-19 sui cittadini. “Sono piccole azioni chirurgiche -afferma Eric Bárcena, portavoce di Barcelona en comù- che mostrano quale è il potenziale dei Comuni, presidi territoriali in grado di intervenire direttamente dove c’è bisogno”. Come ha fatto la società municipalizzata Barcelona Energia che acquista e distribuisce energia solo da fonti rinnovabili: nell’emergenza sanitaria ha abbassato dell’8% le tariffe delle famiglie in difficoltà economiche e non ha interrotto il servizio per chi non poteva più sostenerlo.

“Rappresenta un’alternativa alle multinazionali che controllano l’elettricità e al loro oligopolio. Il modo di operare di Barcelona Energia riflette in modo chiaro la differenza con il privato. Infatti nella pandemia la società che gestisce il servizio idrico ha aumentato le tariffe”, prosegue. “A Barcellona stiamo provando a ottenere la sua rimunicipalizzazione, sostenuta dal movimento cittadino Agua és Vida, ma la strada da fare è ancora lunga”. Quando parla di pubblico Bárcena pensa anche al servizio del dentista comunale: dal 2018 alla fine del 2020 ha aiutato più di 1.200 persone che pagano il 40% in meno rispetto ai servi odontoiatrici privati. “La pandemia ci mostra come le città che non affidano a privati la gestione dei loro servizi possono avviare più di altre politiche di welfare. Le esperienze maturate da Barcellona indicano che nella dimensione locale ci sono gli strumenti per affrontare i momenti di frattura. In un modo non solo politico ma anche affettivo”, aggiunge.

“Barcellona mostra che le città stanno ricoprendo un ruolo centrale nella pandemia, anche grazie alla loro capacità di generare alleanze sui territori” – Lucía Martín

Ora per il Comune rispondere agli effetti della pandemia significa anche recuperare la possibilità di utilizzare gli spazi pubblici della città. È l’obiettivo del progetto “Superilla Barcelona”: avviato nel 2016 per togliere spazio alle auto e aumentare le aree pedonali, secondo quanto dichiarato a novembre 2020 dalla sindaca Ada Colau, sarà rafforzato nel 2021, grazie a un finanziamento da 378 milioni di euro, con un duplice obiettivo: “democratizzare” le strade e le piazze e tutelare la salute pubblica. Il progetto prevede di estendere a tutto il distretto di Eixample -uno dei più grandi del municipio dove si concentra il maggiore livello di inquinamento e di traffico con una media di 35mila veicoli al giorno- le cosiddette superillas, termine catalano che indica i “superblocchi”, ovvero isolati all’interno dei quali lo spazio delle strade e dei quartieri è sottratto alle auto ed è restituito ai pedoni e ai ciclisti. Secondo il piano del Comune, si tratterà di rendere pedonali 21 strade orizzontali e di costruire 21 piazze, ognuna della grandezza di duemila metri quadrati, nei punti in cui le strade di incrociano.

“Lo chiamiamo urbanismo tactico”, prosegue Martín. “Vogliamo riorganizzare la mobilità cittadina in modo da costruire una città più sostenibile, attenta all’ambiente e che riduca le emissioni di gas climalteranti”. L’obiettivo di Barcellona di favorire la transizione ecologica era stato evidenziato anche da Colau in un articolo pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian a dicembre 2020, in cui la alcadesa ha ribadito l’impegno del Comune ad adottare nuove politiche ambientali e di sostegno della ricerca scientifica. Come il caso del supercomputer MareNostrum 5 che, costruito dal Barcelona Supercomputing Center, potrà essere usato per ricerche che vanno dal clima al genoma umano. “La nostra idea è continuare ad affrontare la pandemia con politiche pubbliche che rispettino l’ambiente e tutelino i diritti di tutti. Le città sono lo spazio per farlo. E funziona, come dimostra l’esperienza di Barcellona”.


 

In dettaglio
Un movimento internazionale

Sono oltre 1.400 le rimunicipalizzazioni compiute da più di 2.400 città in 58 Paesi del mondo dal 2000 al 2019. Ad averle studiate e messe in fila è il centro di ricerca Transnational Institute (Tni, tni.org) che nel rapporto “The future is public”, edito nel 2020, ha analizzato casi ed esperienze maturate dalle città che sono tornate a gestire direttamente i loro servizi pubblici fondamentali o che hanno avviato ex novo società pubbliche. Tra questi 374 hanno riguardato l’energia, in particolare in Germania con 305 casi, e l’acqua con 311 casi, concentrati in particolare in Francia dove le rimunicipalizzazioni sono state 109. Nell’elenco ci sono Parigi e Grenoble dove la gestione diretta del servizio pubblico -ha spiegato ad Altreconomia la consigliera municipale Anne-Sophie Olmos- ha portato a una riduzione dei prezzi delle tariffe per gli utenti e ad avviare politiche per le famiglie che non possono pagare le bollette dell’acqua. In loro sostegno nel 2020 è stato stanziato un fondo da 670mila euro. “Abbiamo osservato che quando una città gestisce direttamente i suoi servizi riesce ad adottare strategie per costruire economie attente ai diritti dei cittadini. Anche perché, a differenza di un privato, non risponde alle logiche del profitto”, spiega Lavinia Steinfort, ricercatrice del Tni e tra gli autori del rapporto. Nei casi osservati, il controllo democratico e partecipativo di un servizio ha portato a ridurne i costi, ad aumentare gli investimenti per migliorarlo e ad abbassare la spesa per gli utenti. Inoltre ha permesso di mantenere i posti di lavoro, avviare politiche per diminuire le disuguaglianze e tutelare i diritti e per promuovere la transizione ecologica.

 

 

 

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