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Ambiente

La montagna sfratta i suoi abitanti

Oltre un miliardo e mezzo di tonnellate di minerali pregiati: rame, argento e molibdeno. A formare i 4600 metri del Monte Toromocho, a 140 km ad est di Lima, in Perù. Il più grande sito produttivo al mondo, prima peruviano e dal 2008 in mani cinesi.

La Chinalco, una delle principali industrie minerarie al mondo è controllata dal Governo di Pechino ed è uno degli esempi più lampanti di come il neoliberismo stia cambiando faccia, con le grandi multinazionali private che lasciano sempre più spazio alle corporation pubbliche. Stesse regole, attori diversi. Politiche, tutto sommato, simili.

Tre miliardi di dollari di investimento per una miniera che è stata valutata, nella sua intierezza, in 50 miliardi di dollari e che produrrà materie prime a costo estremamente competitivo (410 dollari per tonnellata di rame) a fronte di un prezzo sui mercati mondiali che si aggira attorno agli 8mila dollari a tonnellata, più di venti volte il costo iniziale. Minerali che verranno estratti ed esportati in Cina per alimentare una crescita comunque impetuosa (il 2012 si chiuderà con un +7,7% di PIL, secondo le previsione dell’Economist Intelligence Unit, il centro ricerche economiche del settimanale britannico) che ha bisogno di infrastrutture e di tecnologie avanzate.

Ma per radere al suolo un’intera montagna, in una delle miniere a cielo aperto più grandi dell’America latina, bisogna fare i conti con chi su quella montagna ci vive. A Morococha vivono circa 5mila persone, a meno di 10 km dalla Carretera Central che taglia in due l’altopiano, ma molto più prossimi allo scavo minerario. Niente acqua potabile, elettricità ad intermittenza, nessun servizio sociale. E’ su questo che la Chinalco ha giocato per far sloggiare gli abitanti. Ed è così che ha progettato una città da zero, poche righe su una mappa, un elenco di facilities ed è nato Carhuacoto: elettricità assicurata, luoghi di culto per diverse confessioni, un posto di polizia, scuole, un ambulatorio e spazi verdi. E soprattutto abitazioni nuove concesse a titolo gratuito a chi sceglierà di spostarsi.

Ma non è tutto oro, né rame, tutto quel che luccica: "non ci opponiamo all’investimento o alla compagnia" ha dichiarato più di un anno fa al Financial Times Marcial Salomé, sindaco di Morococha. "Ma non siamo convinti del processo di consultazione. Hanno scelto una zona ad alto rischio dove costruire la nuova cittadina".

Una denuncia sostenuta anche da Carlos José Cantorin Camayo, un ingegnere civile che, sempre al FT, sottolineava come il suolo fosse umido e come le nuove abitazioni fossero troppo nelle vicinanze di un grande lago, "abbiamo paura che la diga possa cedere in seguito ad un terremoto sommergendo la città". A conferma delle preoccupazioni l’Informe Técnico N° 280-2012 del Ministerio de Vivienda (Ministero degli alloggi) che sottolinea come la nuova città sia in una zona ad alto rischio sismico e di inondazioni.

Ma da ottobre le prime persone hanno cominciato a spostarsi nella città appena costruita. Già sessanta famiglie, si stima, hanno abbandonato la via vecchia per quella nuova. Ma non tutti sono d’accordo: la ventiduenne Zuly Espinoza, moglie di un minatore, ha denunciato di non aver trovato posto. "Non ci sono abbastanza case", ha dichiarato al quotidiano britannico Guardian "dove andremo quando distruggeranno il Paese?".

"Tutto questo movimento ha creato conflitti e divisioni", ha aggiunto Aina Calderón, che da 67 anni abita a Morococha. "La multinazionale non rispetta chi non desidera andarsene".

E i soldi, evidentemente, non bastano per radere al suolo un monte ed un intero Paese. Lo scorso 14 novembre centinaia di persone hanno bloccato la Carretera Central e l’ingresso alla miniera, confrontandosi con oltre 200 poliziotti.

Un mese dopo oltre trecento residenti di Morococha hanno manifestato per impedire che i beni di un collegio locale fossero spostati nella nuova città. E la tensione continua a salire, così come il prezzo del rame, in un mondo affamato di materie prime e di minerali. E che guarda alla Green Economy, bisognosa di terre rare e di metalli preziosi, come l’unica risposta ad un modello di sviluppo insostenibile che sloggia le persone per sventrare una montagna.

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