Diritti / Attualità
I difensori dell’ambiente che hanno ricevuto il Goldman Environmental Prize 2020
Dalle Bahamas all’Ecuador, da chi resiste a Monsanto a chi si batte contro la costruzione di una centrale a carbone. La 31esima edizione del “Nobel per l’ambiente” ha premiato sei attivisti in tutti i continenti. “Sono una guida da seguire e mostrano che ogni persona ricopre un ruolo centrale nella protezione del Pianeta”, ha dichiarato il presidente della Goldman Foundation
Quattro donne e due uomini sono i vincitori del Goldman Environmental Prize 2020, il più importante riconoscimento mondiale dedicato agli attivisti ambientali. La 31esima edizione del premio -fondato nel 1989 dai filantropi Rhoda e Richard Goldman- si è svolta online il 30 novembre 2020. La Goldman Foundation ha selezionato “sei leader coraggiosi e generosi che stanno lottando per ottenere importanti cambiamenti nonostante gli ostacoli e le difficoltà che devono affrontare”, come ha dichiarato all’apertura della cerimonia il presidente, John Goldman. “Sono una guida da seguire e dimostrano che ogni persona ricopre un ruolo vitale nella protezione e nella cura del nostro Pianeta ferito”. I difensori dell’ambiente, provenienti da tutti i continenti, si aggiungono alla lista delle 200 persone finora premiate dalla fondazione.
Kristal Ambrose, 29 anni, è la fondatrice del Bahamas Plastic Movement che, grazie alle campagne di sensibilizzazione organizzate dal 2013 nelle isole dell’oceano Atlantico, è riuscito a spingere il governo a vietare i sacchetti di plastica monouso, le posate, le cannucce, le tazze e i contenitori di polistirolo. Annunciato nel 2018, il divieto è entrato in vigore nel gennaio 2020. Ambrose aveva iniziato ad occuparsi di ambiente dopo avere assistito al salvataggio di una tartaruga che rischiava di morire a causa della plastica bloccata nel suo stomaco. Dopo questa esperienza l’attivista, all’epoca 22enne, ha giurato che “non avrebbe più gettato a terra un pezzo di plastica”. Ha fondato il Bahamas Plastic Movement con l’obiettivo di educare i più giovani attraverso corsi e attività gratuite ad organizzare e ideare pratiche per difendere l’ambiente dai rifiuti. Un problema radicato nelle Bahamas dove la plastica e le micro-plastiche minacciano la fauna, la pesca e la barriera corallina oltre ad avere impatti sul turismo, risorsa vitale per l’economia locale, con perdite stimate di circa 8,5 milioni di dollari l’anno.
Nemonte Nenquimo, appartenente al popolo degli Waorani che vive nel parco nazionale di Yasuni in Ecuador, è la co-fondatrice dell’organizzazione Celibo Alliance e presidente dell’organizzazione Conconawep che rappresenta la comunità indigena nella provincia di Pastaza. Nel 2018 il governo, con l’obiettivo di attirare gli investimenti di multinazionali straniere, aveva annunciato che 202mila ettari della foresta amazzonica pluviale sarebbero stati messi all’asta per consentire le attività estrattive. Nel 2019 Nenquimo, insieme agli altri capi del popolo Waorani, ha avviato una causa contro il governo accusato di avere mentito nel dichiarare che le comunità indigene avevano dato il consenso alla vendita delle loro terre. Nel 2019 ha vinto la causa e la sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello. Nel 2020 l’attivista è stata inserita dalla rivista Time tra le 100 personalità più influenti al mondo.
Chibeze “Chi” Ezekiel è il coordinatore nazionale di “350 Ghana Reducing Our carbon”, filiale locale della Ong 350.org. Il suo lavoro come attivista è iniziato nel 2013 con l’organizzazione di una campagna per aumentare la consapevolezza della popolazione sui rischi legati alla costruzione di una centrale a carbone nella città costiera di Aboano nel distretto di Ekumfi e di un porto riservato alla consegna della materia prima, una delle più inquinanti al mondo. L’impianto dalla potenza da 700 MW –proposto dal Shenzhen Energy Group e sostenuto dal governo- faceva parte della politica di espansione della Repubblica popolare cinese nel continente e prevedeva un prestito da 1,5 miliardi di dollari dal China African Development Fund. Ezekiel ha lanciato una campagna di sensibilizzazione sui rischi che la lavorazione del combustibile fossile avrebbe comportato per l’ambiente e la salute dei 52mila abitanti del distretto. Le emissioni di andidride solforosa avrebbero potuto creare piogge acide compromettendo le risorse idriche della comunità e limitando l’accesso all’acqua potabile. Nel 2016 il ministro dell’Ambiente del Ghana ha bloccato la costruzione della centrale a carbone e del porto. Nel 2019 il governo ha adottato il Renewable Energy Master Plan per incentivare il passaggio alle energie rinnovabili.
Leydy Pec, apicoltrice Maya, ha guidato una coalizione che ha impedito alla multinazionale Monsanto di piantare semi di soia geneticamente modificati nel Messico meridionale. L’attivista 55enne, originaria dello Stato di Campeche, è specializzata nell’allevamento dell’ape autoctona Melipona beecheii, una specie rara e priva di pungiglione allevata dai Maya sin dall’epoca precolombiana. L’apicoltura è una componente fondamentale della cultura indigena ed è una delle principali fonti di sostentamento per la comunità locale: solo a Campeche almeno 25mila famiglie si sostengono grazie al commercio del miele che autoproducono. Nel 2012 il governo centrale aveva concesso alla Monsanto l’autorizzazione di piantare semi di soia Ogm in sette Stati messicani, compreso Campeche e Yucatán, senza consultare le comunità locali violando la Costituzione messicana e la Convenzione Ilo 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali. Pech ha formato una coalizione di Ong, attivisti e apicoltori e ha avviato una causa –o come la definisce l’attivista “una lucha de la vida”- contro il governo messicano. Le ricerche condotte dalla coalizione, attraverso il sostegno dell’Università autonoma del Messico, hanno documentato che tracce del polline della soia modificata erano presenti nel miele. Resti di glifosato sono stati invece trovati nelle falde acquifere della città di Hopelchén e nelle urine degli abitanti. Nel 2015 la Corte suprema del Messico ha annullato i permessi rilasciati alla Monsanto stabilendo che le comunità indigene devono essere consultate prima di coltivare i semi di soia geneticamente modificati. Nel 2017 i permessi sono stati definitivamente revocati.
Sein Twa, membro della comunità indigena dei Karen in Myanmar e co-fondatore del Karen Environmental and Social Action Network (KESAN), ha fondato un parco da 546mila ettari con l’obiettivo di preservare la biodiversità del bacino del fiume Salween, tra il Myanmar e la Thailandia, messa a rischio dalla deforestazione, l’agricoltura e le attività estrattive. Attraverso un lavoro realizzato insieme a Ong e alle organizzazioni della società civile, con le quali sono state recuperate le pratiche indigene di conservazione del patrimonio forestale, nel 2018 è stato inaugurato il Salween Peace Park, noto anche come “parco della pace”.
Lucie Pinson, direttrice della Ong Reclaime Finance, tra il 2017 e il 2019 ha contribuito a spingere le principali banche e gruppi assicurativi francesi –tra cui BNP Paribas, Société Générale e AXA- a sospendere gli investimenti nel settore del carbone. In Francia la finanza ha a lungo ricoperto un ruolo chiave nel sostegno dell’industria dei combustibili fossili. Tra i 20 istituti bancari internazionali responsabili del 75% dei presiti all’industria del carbone, tre erano francesi: solo tra il 2007 e il 2013 BNP Paribas, Crédit agricole e Société Générale avevano elargito prestiti per un valore di 32 miliardi di dollari. Come parte della rete di attivisti Sunrise Movement, Pinson ha organizzato campagne di sensibilizzazione e ha lavorato con la stampa per ricostruire il legame tra gli attori finanziari e il mercato del carbone. Ha anche agito dall’interno delle banche acquistando le loro azioni per potere partecipare alle assemblee degli azionisti. Grazie alle campagne di Pinson a giugno 2019 Crédit Agricole ha annunciato l’eliminazione graduale del carbone dal proprio portafoglio e investimenti per allinearsi con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.
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