Interni / Reportage
Vietato demilitarizzare La Spezia, una città soffocata dal passato
Il ministero della Difesa ha annunciato un investimento di oltre 350 milioni di euro per l’ammodernamento della base navale. Un progetto che non tiene conto degli impatti ambientali e sociali prodotti dalla “zona militare”
Per capire La Spezia bisogna osservarla dall’alto delle colline che cingono quello che è stato il golfo dei poeti. Mentre guida in salita, William Domenichini racconta la storia di una città incredibilmente rimasta senza mare: “È normale che un luogo del genere possa esser visto come una fortificazione naturale, com’è successo da inizio Ottocento, a partire da Napoleone. Era comprensibile anche in epoca fascista ragionando con il loro cervello, ma in una Repubblica, e dopo la fine della Guerra fredda, tutte le strutture che vedi sono diventate praticamente inutili”.
Dall’alto osserviamo le officine dell’Arsenale militare di La Spezia, 150 anni compiuti nel 2019, a cui Domenichini ha dedicato il libro dal titolo “Il golfo ai poeti. No Basi blu”, uscito nel 2023 per l’editore Glass Bell. L’Arsenale occupa 900mila metri quadrati, un quinto dei quali edificati. Dentro l’area interdetta alla popolazione, chiusa da mura perimetrali che ricordano che ci si trova di fronte a una “zona militare”, corrono 12 chilometri di strade. Le banchine, invece, si estendono per 6,5 chilometri e circondano 1,4 milioni di metri quadrati di acque interne.
Dalla finestra di casa, a Marola, una della frazioni spezzine, Domenichini guarda i relitti ancorati nel porto militare (sono le navi senza bandiera) e controlla alcuni tetti coperti d’amianto, oggi in corso di bonifica dopo che nell’autunno del 2018 erano volati fin nei pressi della scuola elementare del paese. Domenichini fa parte di Murati Vivi, un collettivo cittadino che dal 2010 opera per risvegliare una coscienza critica sui problemi del territorio e avviare un processo di trasformazione sostenibile: “Fino a vent’anni fa l’Arsenale era un luogo produttivo, di lavoro, adesso non lo è più: nell’arco di ottant’anni è passato da 12mila lavoratori a meno di 500, e salvo interventi strutturali -ma ci sono solo annunci- il numero è destinato a dimezzarsi in un paio d’anni, per i pensionamenti. La logica vorrebbe che questi spazi venissero riacquisiti alla socialità o con riconversioni produttive. Fino a una decina di anni fa, chi amministrava La Spezia ha cercato almeno di sollecitare in tal senso: l’ultimo tentativo che ricordo è quello di un ex sindaco, in carica in occasione del 14mo anniversario dell’Arsenale, poi più niente”.
Una volta a La Spezia le navi venivano equipaggiate, oggi ci si fa solo manutenzione. Esistono ancora le officine dai nomi che rimandano a un passato bellico, come Artiglieria, ma ormai ci lavorano poche decine di operai, “impegnati nel collaudo delle armi d’ordinanza degli ufficiali”, spiega Domenichini. Questa decadenza non esiste sul sito del ministero della Difesa (difesa.it). “Fortemente voluta da Camillo Benso conte di Cavour, e plasmata dal generale Domenico Chiodo, quest’opera ingegneristica trasformò quello che un tempo era un borgo marinaro in una grande città industriale”, si spiega in occasione dell’anniversario del 2019. E ancora: l’Arsenale “risulta l’azienda più grande della provincia”, senza apparentemente tener conto della drastica riduzione del personale: se nei primi anni Cinquanta le officine dell’Arsenale occupavano l’8,5% della forza lavoro provinciale, oggi è impiegato appena lo 0,4% dei residenti in età lavorativa (15-64 anni).
“L’Arsenale nell’arco di ottant’anni è passato da 12mila lavoratori a meno di 500. Sarebbe logico che questi spazi venissero riacquisiti dalla socialità” – William Domenichini
Ma invece di restituire l’area alla città, racconta William mentre entriamo nella piccola enclave della zona militare che ospita le barche della gente di Marola, il ministero della Difesa oggi immagina un rilancio con “Basi blu”, progetto finalizzato “all’adeguamento e ammodernamento delle capacità di supporto logistico delle basi navali della Marina in termini di infrastrutture per l’ormeggio delle Unità navali e dei servizi di base correlati”, come spiega il Documento programmatico pluriennale della Difesa per il triennio 2022-2024. A La Spezia prevede oltre 350 milioni di euro di investimento. Nel gennaio 2023 è stata affidata la progettazione dei lavori di “Adeguamento e ammodernamento delle capacità di supporto logistico delle basi della M.M.I. -Base Navale di La Spezia- Programma Basi blu”, come descritto in Gazzetta Ufficiale. Tra gli interventi previsti ci sono una tombatura a mare di oltre 40mila metri quadrati per una nuova banchina e la riattivazione di serbatoi di carburante che stanno sotto l’abitato di Marola.
Il programma -che riguarda anche l’Arsenale di Taranto e quello di Augusta, in Sicilia- ha un fabbisogno previsionale di 950 milioni di euro, “di cui al momento risulta finanziata una quota parte pari a 755,9 milioni, incluse risorse del Fondo nazionale per lo Sviluppo e la Coesione, distribuiti in 13 anni”, prosegue la nota del ministero della Difesa.
Quasi un miliardo di euro per non accettare l’esigenza di mettere un punto e a capo. Nel caso di La Spezia, per liberare la città da una presenza ingombrante che ingessa una città che negli ultimi tredici anni ha perso oltre tremila residenti, arrivando a contarne oggi circa 92mila. “C’è una retorica secondo cui le aree del demanio militare non vengono cementificate, né deturpate, ma anche l’abbandono totale è un problema”, sottolinea William Domenichini. Aggiunge però che “tutto il perimetro del golfo di La Spezia, compreso il mare, fa parte di un Sito d’interesse regionale, cioè un’area da bonificare che in passato era classificata come Sito di interesse nazionale, legato alla discarica di Pitelli. Oggi che sono previsti interventi che prevedono il dragaggio del porto, torniamo ad affrontare il problema dei fondali che sono inquinati per le attività ordinarie dell’Arsenale”, evidenziate anche in una caratterizzazione effettuata già nel 2002 da Regione Liguria sui fondali della darsena.
Domenichini mostra il Campo in ferro, un’area al limite dell’Arsenale dove per anni la Marina militare ha accatastato rifiuti anche pericolosi, una discarica abusiva vista mare resa nota nel 2004 da un’inchiesta della Procura di La Spezia. È un vecchio bacino di stagionatura del legname in disuso. Accanto c’è una spiaggia, quella di Cadimare. Al Campo in ferro sono stati conferiti amianto, accumulatori al piombo, parti di elettrosegnalatori, pale di elicottero, parafulmini, quadranti, manometri, strumentazioni varie, fusti metallici con vernici e diluenti, batterie, pneumatici. Una superficie di circa 20mila metri quadrati è finita sotto sequestro.
“Abbiamo scritto ‘Demilitarizzare La Spezia’ perché siamo consapevoli del legame tra la città, la cultura e l’economia militare: serve spronare le istituzioni” – Alessandro Giannetti
Oggi dovrebbe depurare il terreno un progetto di fitodepurazione sperimentale, ossia qualche fila di alberelli che non rassicurano affatto gli abitanti di Marola che per immaginare un’altra città invitano a riavvolgere il nastro e tornare agli anni Cinquanta dell’Ottocento, quando il muro non c’era: per farlo, è necessario agire anche a livello culturale e il modo c’è. L’Archivio di Stato, ad esempio, “conserva numerosi documenti che testimoniano i cambiamenti, le trasformazioni, i vari aspetti civili e sociali che l’edificazione dell’Arsenale comportò per la popolazione e per il territorio, prima apprezzato luogo di soggiorno turistico-balneare, come dimostra la scelta dei Reali di soggiornare a La Spezia nell’estate del 1853”.
Ma La Spezia fatica ancora a pensare la fine dell’Arsenale. Nell’estate del 2022 gli artivisti (una crasi di artisti e attivisti) dei collettivi SuperAzione e Dadaboom hanno scritto “Demilitarizzare La Spezia” su un muro del CAMeC, il Centro arte moderna e contemporanea di La Spezia, nell’ambito della mostra dedicata all’artista Giacomo Verde. La loro opera è stata però cancellata.
“Abbiamo scelto questa frase perché siamo consapevoli del legame tra la città e la cultura e l’economia militare, volevamo aprire contraddizioni dentro le istituzioni -racconta Alessandro Giannetti di Dadaboom-. Da un decennio non avevamo rapporti con il movimento di La Spezia, ci ha colpiti così che due settimane dopo la rimozione dell’opera, Murati Vivi e Mitilanti hanno sollevato la questione, rompendo il silenzio istituzionale con cui era stata gestita la nostra performance, che aveva portato anche all’esclusione di Dadaboom dalla mostra, di cui eravamo co-curatori”, sottolinea Giannetti. Domenica 21 agosto 2022, a Marola, si è tenuto un happening artistico, promosso da persone, associazioni e movimenti mobilitati contro la censura. Il primo marzo 2023, intanto, è nata anche la Rete spezzina per la pace e il disarmo, il cui orizzonte è anche locale e non è solo quello della guerra d’invasione russa in Ucraina.
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