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Vaccino anti AIDS: nuova tappa della vicenda (in Sudafrica)

A vent’anni dai primi annunci, il progetto di ricerca sostenuto dall’Istituto superiore di sanità stenta a raggiungere i risultati promessi. Gli ultimi sviluppi portano nel Paese africano e riguardano le attività di sperimentazione di un potenziale farmaco i cui i brevetti sono in mani private italiane

“Vaccino anti-Aids: l’Italia è prima”. Era il 1998. A oltre vent’anni dai proclami sulla “scoperta” della scienza “made in Italy”, sorge spontanea qualche domanda: che fine ha fatto il “vaccino italiano” contro l’Aids portato avanti dalla ricercatrice dell’Istituto superiore di sanità (ISS), Barbara Ensoli, e finanziato in maniera ingente dal pubblico? A che punto sono quelle due “applicazioni” di tipo preventivo e di tipo terapeutico della “proteina virale Tat”, enfatizzate da Ensoli nel maggio del 1998?
Tirando una linea e osservando i risultati, l’esito parrebbe infausto. La parte “preventiva”, e cioè il vaccino vero e proprio, è praticamente uscita di scena. La parte “terapeutica”, e cioè un nuovo farmaco, pur rimasta in piedi, è invece uscita notevolmente ridimensionata durante il percorso. Un flop? Non tutti sono d’accordo: secondo la società privata Vaxxit detentrice di parte dei brevetti legati al farmaco, e fondata proprio da Ensoli nel 2012, eravamo a un passo dal successo. Tanto che pochi mesi fa era stata fondata una “partnership” pubblica-privata tra Italia e Sudafrica -un Paese e un mercato potenzialmente redditizio- per cercare in tutti i modi di raccogliere fondi per lo sviluppo commerciale. Ma le notizie sui finanziamenti non sono buone per il team di Barbara Ensoli, che ancora oggi è saldamente al vertice del Centro nazionale Aids (CNAIDS) in seno all’Istituto superiore di Sanità.

Un passo indietro
Per comprendere lo “scandalo” del vaccino contro l’Aids e i suoi nuovi sviluppi è necessario riavvolgere il nastro. Torniamo alla primavera 2014, quando tramite la pubblicazione della nostra inchiesta “Aids, dov’è il vaccino” emerse che l’allora consiglio di amministrazione dell’ISS aveva riconosciuto una “opzione esclusiva della durata di 18 mesi per l’utilizzo dei brevetti” del cosiddetto “vaccino” a favore di una società chiamata “Vaxxit”. A fondarla, come detto, era stata proprio Barbara Ensoli, in principio socio di maggioranza con il 70% delle quote. Ad amministrarla, invece, Giovan Battista Cozzone, esperto di brevetti che dal maggio del 2009 era stato consulente quadriennale per conto (e nell’interesse) dell’ISS in materia di “trasferimento tecnologico”. Ritrovatosi nell’angolo da polemiche e interrogazioni parlamentari, l’Istituto superiore di Sanità fece un passo indietro. Troppo pesante la circostanza del finanziamento pubblico per oltre 28 milioni di euro attribuito al progetto di ricerca della dottoressa Ensoli. La concessione prima garantita venne quindi revocata all’inizio del novembre di quattro anni fa dall’allora commissario straordinario dell’ISS poi nominato presidente, Gualtiero Ricciardi. Motivo: “note di criticità emerse” e “significative riserve in ordine al riconoscimento della società Vaxxit Srl quale spin-off”.

Ma la retromarcia sul “vaccino italiano” -clinicamente ancora fermo- è apparente. Nel novembre 2017, infatti, l’ISS conferma ad Altreconomia che Vaxxit ha acquisito due “diritti di privativa industriale” su altrettanti brevetti in parte riconducibili alla ricerca pubblica dell’Istituto. Tradotto, in estrema sintesi, dopo aver co-fondato ed esserne stata socio di maggioranza fino al gennaio 2016 (oggi il 95,05% fa capo alla 3 I Consulting Srl di Cozzone e il restante è diviso tra sei soci), Ensoli ha ceduto i brevetti alla sua creatura Vaxxit Srl. Poi è uscita dalla compagine sociale, probabilmente per marcare la distanza tra le attività di una Srl privata e il Centro nazionale Aids, che ancora dirige. Nel frattempo il brevetto del “TatImmune” viene registrato per conto di Vaxxit Srl in Europa, Stati Uniti e Sudafrica, con data di scadenza fissata al 2031-2032.

Nuovi annunci: la partnership Italia-Sudafrica e la fase III
È in questo contesto che vanno letti i nuovi sviluppi. Rimossa ormai la parte “preventiva” del vaccino, che era stata la vera natura del progetto di ricerca ventennale, le forze in campo si concentrano sul farmaco. Con alcune “sovrapposizioni”.
Lo scorso anno, infatti, il Centro nazionale Aids diretto dalla dottoressa Ensoli promuove insieme ad altri “partner pubblici e privati nazionali ed internazionali” la “Tat Vaccine Partnership (TVP)”, coordinata dal Medical Research Council del Sudafrica (SAMRC) con il supporto del National Department of Health (NDOH), al fine di “assicurare la sostenibilità dei risultati ottenuti con il precedente Programma bilaterale Italia-Sudafrica finanziato dal ministero degli Esteri”, come spiega l’ISS.

I membri del “TV PPP-004 Consortium” – da una corporate presentation di Vaxxit Srl

Degli oltre 10 membri, il CNAIDS -quindi l’Istituto superiore di sanità- è il coordinatore del progetto. Nella partnership c’è ovviamente anche Vaxxit Srl, in qualità di “biopharmaceuticals company”, proprietaria dei brevetti e sostenuta dalla consulenza legale di “Marks & Clerk”, con base a Londra. Nel ruolo di “manufacturing partner” (con una stima di Vaxxit di 2 milioni di dosi annue del farmaco da produrre a regime) c’è Diatheva, biotech italiana quasi interamente di proprietà della multinazionale SOL Spa, quotata in Borsa. SOL, “leader in Italia nel settore della produzione e commercializzazione dei gas tecnici, industriali, puri e speciali e medicinali”, ha rilevato quasi il 100% delle quote di Diatheva dopo aver liquidato nel novembre 2017 alcuni soci. Uno su tutti, la 3I Consulting Srl di Giovan Battista Cozzone -che ha la quota di maggioranza di Vaxxit Srl- per circa 150mila euro (partendo da un valore nominale di 2.724 euro).

Ma torniamo alla “partnership” Italia-Sudafrica nata nel 2017 e coordinata dall’ISS con lo scopo di “portare a registrazione in Sudafrica il vaccino terapeutico Tat”, brevettato dalla Vaxxit Srl. Sempre secondo l’Istituto superiore di sanità, questa “TVP” sarebbe “supportata da Agenzie Internazionali quali United Nations Industrial Development Organization (UNIDO), che, nel suo rapporto di valutazione finale del progetto bilaterale Italia-Sudafrica, ha giudicato assai positivamente i risultati raggiunti raccomandando agli stakeholder il completamento della sperimentazione del vaccino terapeutico Tat fino a registrazione”.
Nella partnership internazionale risulta anche una società farmaceutica basata a Johannesburg, KIARA. I vertici sono sudafricani ma nel board ci sono anche due italiani: uno è Roberto Raggi, consulente in materia di sanità in Africa e tra 2009 e 2014 advisor del ministero degli Esteri italiano proprio in tema di sperimentazione del “vaccino” in SudAfrica. La Farnesina è tutto fuorché spettatrice: basti pensare al “Programma di sostegno al ministero della Sanità del Sudafrica per la realizzazione del programma nazionale di risposta globale all’HIV-AIDS nelle zone di confine tra Sudafrica e paesi circostanti e in regioni selezionate” finanziato proprio dal ministero degli Esteri italiano con 22 milioni di euro. Di quel “Programma” faceva parte lo studio clinico diretto da Barbara Ensoli. L’altro membro del board di KIARA è Giorgio Roscigno, fondatore della “next2people” nonché già consulente dell’Organizzazione mondiale della salute a Ginevra.

I protagonisti della partnership condividono una missione, come spiega l’ISS, ovvero “L’aggregazione di soggetti implementatori e finanziatori pubblici e privati per il completamento della sperimentazione del vaccino Tat e la sua registrazione per la distribuzione alla popolazione”. Si tratta quindi di passaggi decisivi per le sorti del farmaco. Ecco spiegato perché nel corso del 2017, il CNAIDS diretto da Ensoli “ha presentato questi studi clinici all’Agenzia Regolatoria Sudafricana (Medicines Control Council – MCC) che ha incoraggiato la sottomissione dei relativi dossier e protocolli clinici”.

L’Istituto superiore di sanità italiano, dunque, si muove e si spende per quel “principale obiettivo”: “la registrazione in Sudafrica” del “vaccino terapeutico Tat per aumentare la risposta alla terapia in pazienti alla prima diagnosi di infezione”. Tra i beneficiari c’è Vaxxit Srl, attiva nella ricerca di “investitori e partner” disposti a finanziarne il percorso di sviluppo. Tra le disponibilità che ha incassato c’è stata quella “condizionata” della statunitense “Mylan NV”, che si sarebbe dovuta occupare della collaborazione commerciale, come conferma una lettera inviata dalla società all’attenzione di Vaxxit. Come destinatari ha indica sia Ensoli sia Cozzone, nonostante la prima non sia formalmente referente della Vaxxit Srl.

La lettera della Mylan NV a Vaxxit Srl – da una corporate presentation della società

Creata la partnership è il momento di trovare le risorse. I round di finanziamento previsti da Vaxxit e riportati nelle sue presentazioni “corporate” sono due (peraltro l’autore del file pdf ‘Corporate Presentation (2Q18)’ risulta essere tale “barbara-ensoli”). Uno dal valore di 10 milioni di euro nel 2018, per giungere in quattro anni al via libera per la somministrazione del farmaco sugli adulti in Sudafrica, e uno da 15 milioni nel 2021 e arrivare così alla commercializzazione in Europa e Stati Uniti, con prospettive, sostiene Cozzone, “blockbuster”.

Da dove arrivano i finanziamenti? Una parte importante dei fondi -oltre 8 milioni di euro- sarebbe dovuta arrivare, stando a Vaxxit Srl, “in kind” proprio dalla partnership TVP coordinata dall’ISS. È stato infatti il Centro nazionale Aids diretto dalla dottoressa Ensoli ad avanzare nel 2017 una proposta di finanziamento alla call “Strategic actions supporting large-scale clinical trials” promossa dall’European & Developing Countries Clinical Trials Partnership (EDCTP) (Si tratta nel dettaglio della “TVP-004: A phase IIB/III adaptive trial with the therapeutic Tat vaccine to intensify response to treatment in people living with HIV (PLWH) initiated on ART in South Africa: increasing the effectiveness of “Test & Treat” global intervention. Promoted by the Tat Vaccine Partnership”). Ma dopo aver superato il primo “step” della valutazione per il finanziamento (tramite una Letter of Intent, LOI), il percorso si è però interrotto ad agosto 2018, quando al team di Ensoli è stato comunicato l'”outcome”. Di fronte alle nostre richieste, il commento dell’ISS è stato laconico: “Il progetto presentato a EDCTP dalla dottoressa Ensoli non è stato finanziato”. Punto.

Una sintetica presentazione di Barbara Ensoli e i protagonisti del “supporto” in Sudafrica – da “corporate presentation” di Vaxxit Srl

Ricapitolando: l’Istituto superiore di sanità, a 20 anni dagli annunci e a quattro anni dalla nostra inchiesta sui brevetti della Vaxxit, ha contribuito a creare una partnership pubblico-privata tra Italia e Sudafrica che ha come scopo principale il completamento della sperimentazione e la registrazione-distribuzione di un farmaco i cui brevetti -frutto di “clinical trials” finanziati grazie a fondi pubblici che sfiorano i 30 milioni di euro- sono in mano alla Vaxxit Srl.

Ma se i finanziamenti, come sembra, dovessero stentare, che cosa succederebbe? L’Istituto non dà chiarimenti. Dal Sudafrica, una fonte vicina alla società KIARA confida “più di una perplessità” sull’evoluzione della partnership. “È un’alleanza potenziale, perché ci troviamo ad almeno 10 anni da una eventuale destinazione commerciale del risultato, se mai dovesse essere raggiunta”. KIARA sarebbe stato un interlocutore ideale per Vaxxit Srl. “È un’azienda che ai suoi vertici ha sudafricani e in quanto tale è ben vista dal governo (si pensi al meccanismo del Broad-Based Black Economic Empowerment, ndr). Tutte le società che hanno nel management e nella proprietà una maggioranza ‘nera’, infatti, hanno dei benefici di natura fiscale ed economica in Sudafrica. Per cui una partnership con KIARA in un Paese dove ci sono 7 milioni di persone sieropositive aveva anche un senso. Tra il governo e KIARA si sarebbe potuta instaurare una relazione reciprocamente vantaggiosa. Ma sono ormai cinque anni che la cosa non avanza. E per il Sudafrica cinque anni sono come cinquanta in Italia”. Le cose non sembrano andate come previsto, ormai dal 1998.

A sinistra, il presidente di KIARA, Skhumbuzo Ngozwana

“Analizzando i molteplici e complessi passaggi di tutta questa vicenda emergono con forza due aspetti che esigerebbero risposte precise da parte dei vertici dell’ISS -dichiara Vittorio Agnoletto, medico, da decenni impegnato nella lotta all’AIDS e autore con Carlo Gnetti del libro ‘AIDS lo scandalo del vaccino italiano’ (ed. Feltrinelli, 2012)-. Il primo riguarda l’aspetto economico: perché si è continuato a finanziare per molti anni un progetto di ricerca criticato da gran parte del mondo scientifico internazionale e che nel suo progredire aveva da tempo evidenziato moltissimi aspetti critici e l’estrema lontananza dagli obiettivi dichiarati per i quali aveva inizialmente ottenuto i finanziamenti?
Il secondo contiene ancora aspetti economici ma questi sono fortemente intrecciati con altri di natura etica e forse anche legale: come è possibile che brevetti risultanti da una ricerca pubblica siano diventati proprietà di un’azienda privata e che questa possa, dal loro impiego, trarre potenzialmente significativi profitti senza che l’istituzione pubblica che ha finanziato la ricerca ne abbia alcun guadagno ? Come è possibile che varie persone compaiano nelle diverse fasi di questa vicenda come dipendenti pubblici o come consulenti di istituzioni pubbliche e contemporaneamente o in fase successiva come fondatori/azionisti/promoter ecc. di aziende private che costruiscono business sul lavoro svolto dalla medesima istituzione pubblica? E tutto questo con il tacito ed evidente beneplacito dei vertici dell’ISS?”.

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