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C’è una comunità nascosta nel web, fatta di uomini che odiano le donne

Si chiamano incel, acronimo di involuntary celibate (celibi involontari), e credono che la loro infelicità sia colpa delle donne. Nel podcast Rai “Oltre – Un’inchiesta sull’universo incel italiano” Beatrice Petrella getta luce su una comunità pericolosa e in crescita, e su una narrazione maschile che, priva di alternative positive, rischia di radicarsi sempre di più nella società
Parlano tra loro nei forum e nei gruppi Telegram, lontani da sguardi esterni. Esaltano figure come Elliot Rodger e George Sodini, autori di stragi negli Stati Uniti. Usano come immagine di profilo volti inquietanti, da Angelo Izzo, il carnefice del Circeo, a Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin. Si chiamano incel, acronimo di involuntary celibate -celibi involontari- e credono che la loro infelicità sia colpa delle donne.
Ma chi sono davvero? Come si muovono? E soprattutto: quanto è pericoloso il loro odio? Per scoprirlo Beatrice Petrella ha deciso di infiltrarsi nel loro mondo. Per otto mesi, sotto falsa identità, ha vissuto nei gruppi chiusi degli incel e nelle chat vietate alle donne. Ha letto le loro conversazioni, ha ascoltato le loro frustrazioni e ha imparato il loro linguaggio in codice. Ha visto con i propri occhi come questa comunità si stia radicalizzando sempre di più, alimentando teorie che sconfinano nel suprematismo bianco e nell’estremismo di destra.
“Oltre – Un’inchiesta sull’universo incel italiano” di Beatrice Petrella è un podcast in tre episodi prodotto dalla Rai, vincitore del “Premio Roberto Morrione” 2024 per il giornalismo investigativo under 30. Il coordinamento editoriale è di Michela Mancini, mentre il tutor audio è Francesco Cavalli, montaggio, mix e sound design sono a cura di Jonathan Zenti.
“Da donna, per me, tutto questo è estremamente interessante -racconta Petrella-. Soprattutto per il discorso sulla solitudine maschile. Quando ho approcciato gli incel ero molto incuriosita perché ho avuto un’adolescenza impegnativa e sentire parlare di bullismo e solitudine ha mosso qualcosa in me. Ho cercato di affrontare il fenomeno con la massima empatia”.
Petrella ha avuto l’idea di fare questa inchiesta leggendo della strage di Isla Vista del 2014. Il 23 maggio, il 22enne Elliot Rodger uccise sei persone e ne ferì quattordici vicino al campus dell’Università della California a Santa Barbara, alternando sparatorie, accoltellamenti e investimenti con l’auto, prima di togliersi la vita. Nel suo ultimo video su YouTube, “Elliot Rodger’s Retribution”, espresse rancore per i rifiuti ricevuti dalle donne e invidia verso gli uomini sessualmente attivi, descrivendo il piano e le motivazioni dell’attacco.
Petrella sottolinea come la manosphere (siti web, blog e forum online che promuovono una mascolinità violenta, la misoginia e l’opposizione al femminismo) abbia sviluppato un proprio gergo che rafforza il senso di appartenenza e, al tempo stesso, costruisce la divisione tra “noi e loro”. “Esistono termini come ‘non persone’ riferiti alle donne, oppure verbi come ‘ipergamare’, che sembrano presi da un videogioco. Trovo affascinante come internet esca dal virtuale e diventi parte della vita reale. Oggi i ragazzi della Gen Z e della generazione Alpha parlano come la comunità incel, perché è un gergo di internet che si è diffuso”.
Si parla di “pillole rosse” come nel film “Matrix”, di “Chad” (il ragazzo con mascella volitiva che ha successo con le donne) e di “Stacey” (la versione stereotipata della ragazza avvenente e selettiva), di corpi da modificare con interventi chirurgici estremi per diventare accettabili agli occhi delle donne. Si diffonde l’idea che il mondo sia diviso in vincitori e perdenti, e che la colpa di tutto ricada sempre sull’altro sesso.
Secondo Petrella, il linguaggio non è un elemento secondario: “Aiuta a costruire una comunità, ma anche a creare un nemico. Chi sta dentro al gruppo usa questo gergo per rafforzare la propria identità contro un mondo esterno percepito come ostile. La cosa interessante è che gli incel non sono odiati dagli altri, quanto da loro stessi: si condannano all’infelicità in un processo di autosabotaggio”. Inoltre molti membri della community soffrono di problemi psicologici o psichiatrici, ma spesso non credono nella terapia o non possono permettersela.
Un altro elemento chiave dell’analisi di Petrella riguarda la mancanza di strumenti adeguati per affrontare il fenomeno. “Nelle scuole non è presente un’educazione sentimentale, manca anche un sostegno psicologico adeguato. Non fatico a credere che in una famiglia sia difficile intercettare questi problemi, ma servirebbe una zona franca per gestirli nel migliore dei modi”.
Petrella ha approfondito anche il ruolo di internet nella radicalizzazione di questi movimenti. “Molti entrano in questi ambienti attraverso i meme. Pensiamo a ‘Pepe the Frog’, diventato un simbolo dell’alt-right americana. L’estrema destra e il mondo antifemminista hanno reclutato molte persone fragili attraverso l’ironia e l’abbassamento di tono del discorso”.
“Un’altra cosa interessante è che non esiste un contraltare a questo tipo di mascolinità. La sinistra non ha un modello comunicativo equivalente. I meme sono diventati un modo rapido ed efficace per veicolare messaggi, e in questo senso la destra ha trovato un linguaggio diretto che arriva alla pancia delle persone. Il problema è l’assenza di una narrazione alternativa altrettanto efficace”.
Il lavoro di Petrella mostra come il fenomeno degli incel sia complesso e in continua evoluzione, con profonde implicazioni sociali e politiche. “Radicalizzarsi è facile. De-radicalizzarsi, invece, è estremamente difficile. Per questo mi sono chiesta se il mio podcast abbia almeno contribuito a creare consapevolezza. Ho ricevuto contatti da gruppi che si occupano di psicologia e reinserimento. Ho partecipato a incontri nelle scuole con psicologi e ho riscontrato un forte interesse da parte di professori e dirigenti scolastici, desiderosi di imparare a riconoscere i segnali d’allarme”.
Petrella sottolinea il rischio di un vuoto educativo: “Ogni spazio lasciato scoperto viene inevitabilmente riempito da qualcuno. Se quel vuoto lo occupa un influencer della manosphere come Andrew Tate (ex kickboxer noto per i suoi video maschilisti), che insegna ai ragazzi che un vero uomo deve dominare le donne, mangiare solo la carne che caccia e accumulare conquiste sessuali, allora abbiamo un problema, amplificato dagli algoritmi dei social network, che espongono i più giovani a contenuti che rafforzano una visione tossica della mascolinità”.
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