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L’Università e i cambiamenti climatici: crescono le proposte formative in Italia
La richiesta di alta formazione sui temi del climate change è sempre più forte. Conoscenza, adattamento, mitigazione e innovazione sono le parole chiave dei nuovi progetti di formazione universitaria che si occuperanno di modellistica climatica, tecnologie per ridurre le emissioni, risorse rinnovabili, materiali sostenibili e progetti ingegneristici per l’adattamento e la resilienza. Nel nome dell’interazione tra i saperi
Molti giovani che si sono uniti a Greta Thunberg nella lotta al riscaldamento globale dovranno decidere se continuare gli studi all’università. I corsi di laurea del settore ambientale si aspettano una forte crescita degli iscritti. Di fronte all’implicita richiesta dei ragazzi, il mondo accademico sta mutando l’offerta formativa e già per l’anno a venire saranno attivati nuovi master, corsi e insegnamenti dedicati ai cambiamenti climatici. “La didattica inerente quest’ambito si sta sviluppando adesso, ma il Politecnico da circa trent’anni è all’avanguardia della ricerca su queste tematiche”, afferma Daniele Bocchiola, ingegnere ambientale del Politecnico di Milano, secondo il quale, “questo ritardo può essere dovuto in parte al dibattito pubblico sul tema dell’effetto dell’attività antropica sui cambiamenti climatici, che tuttavia è oramai assodato”.
Eppure, l’anno accademico 2019-2020 è ricco di novità al riguardo.
Torino, Venezia e Bologna sono le città più all’avanguardia nell’offrire dei corsi di studio e master del tutto inediti in Italia e in Europa. Quest’anno il Politecnico di Torino inaugura due nuovi progetti formativi interamente dedicati ai cambiamenti climatici, che nascono grazie a un finanziamento del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca per i dipartimenti di eccellenza. Spinto dall’entusiasmo dimostrato dagli studenti per il tema, il DIATI (Dipartimento di Ingegneria dell’ambiente, del territorio e delle infrastrutture) farà partire in autunno una specializzazione in climate change della laurea magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, la prima in Europa. A inizio 2020, comincerà invece la prima edizione del master di II livello intitolato “Climate change: adaptation and mitigation solutions”, il cui bando sarà a breve pubblicato.
Conoscenza, adattamento, mitigazione e innovazione sono le parole chiave di questi progetti, che si occuperanno di modellistica climatica, tecnologie per ridurre le emissioni, risorse rinnovabili, materiali sostenibili, progetti ingegneristici per l’adattamento, studio di casi reali e molto altro.
“Dico spesso ai miei studenti che Greta Thunberg dice cose giuste. Ma non è vero che ci sono già le soluzioni tecniche e che si deve solo agire”, osserva Valentina Socco, coordinatrice del corso di laurea magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. “Abbiamo bisogno di giovani che studino il complesso processo di transizione energetica da intraprendere. L’abbassamento delle emissioni implica innumerevoli problemi tecnologici che devono essere analizzati”.
Forse anche per la fragilità ecosistemica del suo territorio, Venezia ha sempre avuto una tradizione scientifica avanzata in campo ambientale. Da numerosi anni Ca’ Foscari offre insegnamenti dedicati ai cambiamenti climatici, tenuti da professori del calibro di Carlo Carraro, presidente della European Association of Environmental and Resource Economists e vicepresidente del Working Group III dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). Inoltre, da più di un decennio propone il dottorato “Science and Management of Climate Change”, unico in Italia fino a quest’anno.
L’università di Bologna se ne è ispirata per avviare proprio a novembre 2019 il dottorato interdisciplinare “Il futuro della Terra, cambiamenti climatici e sfide sociali”. Una formazione di ricerca è garantita anche dal master of research di Ca’ Foscari nato nel 2018, che con il dottorato veneziano condivide il nome e gli insegnamenti del primo anno.
Le università italiane vantano quindi filoni di ricerca all’avanguardia. Ma secondo Valentina Socco, professoressa di ingegneria ambientale al Politecnico di Torino, “non si può più pensare che il riscaldamento globale sia solo un oggetto di studio riservato a chi vuole fare carriera accademica o ricerca per le organizzazioni internazionali”. Se è così che è stata vista finora la formazione in questo settore, “ora bisogna invece puntare alla creazione di figure altamente competenti, in grado di occuparsi degli impatti ecologici dei processi produttivi”. La formazione torinese è quindi più improntata alla professionalizzazione che alla ricerca, nella convinzione che le aziende cerchino figure capaci di trasformare i vincoli ambientali in opportunità per essere innovativi e sostenibili.
L’Unione europea, a partire dalla nascita nel 2010 della direzione generale sul Clima, ha sovvenzionato numerosi progetti formativi di questo tipo. Ne sa qualcosa la specializzazione climate-kic della laurea magistrale in “Analisi e gestione dell’ambiente” dell’Università di Bologna (presso il campus di Ravenna), finanziata dall’omonimo progetto europeo per la transizione verso un’economia priva di carbone. Nato nel 2017, questo percorso formativo a vocazione internazionale mira a costruire professionalità specializzate nell’adattamento e la mitigazione climatica.
“Il disinteresse che dimostra lo Stato italiano verso i problemi climatici è in netta contrapposizione con l’impegno europeo”, afferma Renata Lizzi, politologa dell’Università di Bologna che ha dato vita con altri due docenti al primo insegnamento interdipartimentale dedicato al tema: “Sfide del cambiamento climatico”. Studiare la dimensione socio-economica di un qualsiasi fenomeno prescindendo da quella ambientale si è dimostrata una scelta cieca. Ecco perché il riscaldamento climatico è ormai diventato un oggetto di studio fondamentale anche nelle scienze umane.
Lo spirito che anima l’economista Giorgio Negroni, la politologa Renata Lizzi e lo storico Arrigo Pallotti, che tengono i tre moduli del nuovo insegnamento, è “superare la settorialità dei saperi per adottare una visione d’insieme, unico approccio possibile alla comprensione del complesso fenomeno climatico”. L’integrazione delle discipline è inoltre la stella polare del nuovo progetto su cui Unibo starebbe lavorando: un centro interdipartimentale sui cambiamenti climatici.
Dal canto suo, il Politecnico di Milano ha inaugurato nel 2017 il Climate-Lab, laboratorio interdipartimentale per il monitoraggio delle dinamiche climatiche ed ambientali, di cui è coordinatore il professor Bocchiola. Il progetto si inserisce nel più vasto piano d’azione per la mitigazione dei cambiamenti climatici che il Politecnico ha approvato l’anno precedente, nell’ottica di mettere in atto la riduzione di emissioni CO2 stabilite nell’accordo di Parigi del 2015.
L’obiettivo dell’interazione tra i saperi è condiviso anche dal dipartimento di Architettura (Diarc) dell’Università Federico II di Napoli, che da anni conduce ricerche sulla sostenibilità, la resilienza e l’adattamento ai mutamenti ambientali. “La questione centrale è capire come la sfida dei cambiamenti climatici cambia le nostre discipline, per adattarci ai mutamenti globali”, afferma Michelangelo Russo, direttore del dipartimento di Architettura dell’Orientale. Per la presentazione della nuova laurea triennale “Sviluppo sostenibile e reti territoriali”, il Diarc ha organizzato a settembre 2019 una summer school di cinque giorni di lezioni, workshop e seminari interamente dedicati a queste tematiche.
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