Diritti / Opinioni
Un’idea di legalità
Il “Piano casa” del governo Renzi nega -per legge- i servizi essenziali a chi occupa immobili vuoti. Così facendo, però, viene meno l’accesso a diritti garantiti dalla Costituzione
L’articolo 5 della legge Renzi-Lupi sulla casa contiene una norma insidiosa: “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. È una norma che ufficialmente punta a ripristinare una condizione di legalità nelle numerose occupazioni di immobili in corso in Italia. Il premier Matteo Renzi e il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi (nella foto) promettono quindi il ritorno a un ordine che sarebbe stato compromesso dall’eccessiva liberalità degli uffici pubblici, disposti finora a concedere certificati di residenza, nonché allacci alle reti di gas, luce e acqua agli occupanti “abusivi” di molti edifici, in prevalenza pubblici e abbandonati. Non si tratta però di un passaggio innocuo e a ben vedere non c’è niente di scontato e di neutro in simile richiamo alla legalità. Sono in ballo in realtà questioni delicate sotto il profilo dei diritti civili e sociali. In testa la residenza, cioè quella condizione amministrativa che è la premessa per l’accesso a gran parte dei diritti previsti dal nostro ordinamento. Disporre di un certificato di residenza è necessario per frequentare una scuola, trovare un impiego, iscrivere i figli all’asilo e così via. La nuova legge vuole escludere migliaia di famiglie che non hanno un alloggio “normale”, di proprietà o in affitto. Di fatto le taglia fuori dalla vita civile, con il rischio di relegarle in un limbo giuridico e sociale di dubbia compatibilità con ciò che intendiamo per democrazia. È giusto privare migliaia di cittadini della residenza, e dei diritti connessi, perché non hanno denaro sufficiente a pagare un affitto o comprare un alloggio? E che dire del divieto di fornire gli immobili occupati le infrastrutture di base come luce, gas e acqua? Non si rischia di spingerle sotto la soglia della dignità?
In breve, qual è l’idea di legalità che emerge da provvedimenti del genere? In apparenza si tratta di un principio ben radicato nel diritto: l’occupazione di un immobile altrui, anche di un edificio di pubblica proprietà, è una violazione della legge e come tale va trattata. Quindi è corretto negare residenza e servizi di base, altrimenti si finisce per legittimare con atti amministrativi ciò che la legge vieta. Ma c’è un’altra accezione possibile -e forse necessaria- di legalità, un’accezione che attribuisce priorità ai diritti di cittadinanza sanciti dalla Costituzione: la salute, l’istruzione, il lavoro. Vengono in mente le famose requisizioni di ville e appartamenti eseguite dal Comune di Firenze negli anni Cinquanta, all’epoca di Giorgio La Pira. Il sindaco-santo, che era un giurista e aveva fatto parte dell’assemblea costituente, optò per le requisizioni di abitazioni inutilizzate per dare un tetto a famiglie sfrattate o prossime allo sfratto, in attesa che fossero disponibili gli alloggi pubblici in via di costruzione. Fu duramente attaccato dai proprietari di case e dalle loro organizzazioni, oltre che dalla stampa del tempo, ma alla fine ebbe ragione anche di fronte ai giudici. La Pira -come racconta Ugo Di Tullio nel suo libro “Le requisizioni di Giorgio La Pira” (Il glifo editore)- concepiva l’ordinamento giuridico, e quindi la legalità, come un “vestito” da proporzionare “al corpo che è destinato a vestire. Quando questo diritto fa un vestito che non è proporzionato a questo scopo, succede la rivolta, si sfascia ogni cosa”. Dovremmo allora domandarci se le norme della Renzi-Lupi siano un vestito giuridico adatto a una società nella quale migliaia di famiglie non hanno abitazioni decenti e molte occupazioni sono in corso mentre milioni di stanze restano vuote in appartamenti che non si riesce né a vendere né ad affittare.
Non si tratta, chiaramente, di teorizzare un inesistente “diritto ad occupare”, ma di prendere atto della reale condizione sociale del Paese -disoccupazione di massa, emergenza casa, emarginazione di larghe fasce di cittadini- e di trovare una strada che consideri sì le prerogative del diritto di proprietà ma che tuteli innanzitutto i diritti fondamentali. La Pira fece la sua parte usando tutti gli strumenti disponibili: le requisizioni temporanee da un lato, l’edilizia popolare (le cosiddette “case minime” costruite dal Comune) dall’altro. Matteo Renzi, autore di una tesi di laurea su La Pira sindaco, sembra aver dimenticato quella lezione di pragmatismo abbinato ad alti ideali: il suo “Piano casa” al momento è un vestito tagliato su misura per le pretese del mercato e tradisce un’idea rigida e asfittica di legalità. La premessa, direbbe forse La Pira, per lo sfascio di ogni cosa. —