Opinioni
Un Paese senza politica
"La legge elettorale prevista sacrifica la rappresentatività a favore di una governabilità fondata sull’accentramento del potere nelle mani di chi non ha il consenso reale della maggioranza dei cittadini". Il commento di Roberto Mancini sull’Italicum, un prodotto del governo delle “larghe intese” -prima di Letta, ora di Renzi- che "si fonda sulla noncuranza verso la volontà degli elettori, sulle convenienze dei leaders del momento e sulla sudditanza verso i mercati". Dal numero 158 di Altreconomia
Un Paese senza politica. È l’Italia dei nostri giorni. Infatti se politica vuol dire azione di buona amministrazione della “città” e comporta la cura del bene comune, noi ne siamo privi. Quella rappresentata dai media e insediata nei palazzi non è la politica, è un sistema chiuso di poteri narcisisti, nel senso che la loro principale attività è rispecchiare se stessi. Gli attori del sistema sono individui e gruppi fuori dalla realtà, dediti solo alla coltivazione della propria centralità. Lo dimostra la pretesa -prima di Letta, ora di Renzi- di governare senza un mandato da parte dei cittadini e senza un progetto. Il governo delle “larghe intese” si fonda sulla noncuranza verso la volontà degli elettori, sulle convenienze dei leaders del momento e sulla sudditanza verso i mercati. Per il resto, di fronte a ogni problema e urgenza, si improvvisa: secondo quale visione, quali criteri, quali valori si vuole governare? Nessuno. Per legittimare questa disattivazione della democrazia (addirittura fino al 2018!) si invoca lo stato di emergenza: la situazione -si dice- è troppo grave per aspettare nuove elezioni. Ma è vero il contrario: mentre i governi delle “larghe intese” sono deboli, contraddittori, esposti al ricatto di ogni loro componente in quanto sostenuti da partiti antagonisti, un governo espresso da forze omogenee ed eletto su un vero progetto per l’Italia sarebbe il solo a poter affrontare l’emergenza. L’intera vicenda che va dall’elezione del Presidente della Repubblica sino a oggi mette sotto ipoteca per molto tempo il futuro del Paese. In questa fase infatti sono sfumate le già scarse possibilità che il Partito democratico (Pd) potesse contribuire alla rinascita di una cultura e di un progetto di cambiamento strutturale sulla base di un consenso popolare sufficientemente ampio. Nel mondo istituzionale la sinistra è sparita, con l’esigua eccezione di Sinistra ecologia e libertà (Sel); resta il Pd, cioè un ambiguo partito di centro, a fronte di una destra antidemocratica.
In uno scenario così soffocante emerge Matteo Renzi, un leader vuoto innamorato del potere. Questo genio della strategia in un colpo solo è riuscito a rianimare Berlusconi e a ridare coesione allo schieramento di destra. Il primo artefice del disastro di questo ventennio -la cui condanna definitiva per evasione fiscale appare secondaria in confronto al complesso delle sue responsabilità- non solo è stato rilegittimato addirittura quale interlocutore decisivo per cambiare la Costituzione, ma è stato riconfermato nel suo ruolo di capo della destra proprio mentre essa era disarticolata e alla ricerca di nuovi equilibri. Il messaggio è che la legalità è irrilevante e non c’entra con la democrazia. I danni sono incalcolabili. Anzitutto c’è la caduta della coscienza morale e politica. Poi, a un elettorato disgustato, è stato confermato che “tanto sono tutti uguali”. Inoltre la legge elettorale prevista sacrifica la rappresentatività a favore di una governabilità fondata sull’accentramento del potere nelle mani di chi non ha il consenso reale della maggioranza dei cittadini. Come se la rappresentatività fosse secondaria, come se fosse troppa e non troppo poca. In realtà essa è la fonte concreta, oltre che di principio, della facoltà di governare: quando i più si riconoscono nel governo, le sue azioni godono di una condizione vitale per essere efficaci.
Il risultato è che ora c’è un governo irreale, privo di legittimità democratica, incapace di dare una risposta ai problemi del Paese. Anzi, con queste premesse non potrà che aggravarli. In prospettiva, quando ci concederanno nuove elezioni, si vedrà che il Pd si è costruito da sé l’ennesima sconfitta. Questo partito è semplicemente incapace di agire politicamente perché non ha radici etiche e culturali. Senza di esse non possono darsi né spina dorsale, né coesione, né progettualità e neanche leaders adeguati. Intanto la destra fa il suo mestiere: con molta probabilità si candida alla vittoria perché ha il retroterra unificante di una stessa mentalità e, nella sua logica primitiva, risulta più chiara. Oggi il governo Renzi è un pasticcio pericoloso. Domani un nuovo governo di destra sarà il colpo di grazia. Dunque per quanto verrà dall’oligarchia al potere bisogna prepararsi al peggio. Però prepararsi è il contrario di rassegnarsi. Le iniziative di sviluppo della democrazia sui territori e ove possibile anche nelle istituzioni -almeno in quelle locali- restano quanto mai indispensabili affinché il seme della buona politica, un giorno, possa rifiorire in Italia. E affinché tutti quei giovani che silenziosamente se ne stanno andando possano tornare. —