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Tortura, tutti gli emendamenti alla legge

Presentati oltre 80 interventi di modifica del testo approvato dalla Camera lo scorso 9 aprile, a due giorni dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Diaz. Sono poche però le proposte di modifica in linea con la Convenzione Onu, che attende pieno recepimento dal 1989. E il vicepresidente di Palazzo Madama Maurizio Gasparri propone l’impunità "in occasione di eventi legati all’ordine pubblico"

Venerdì 26 giugno è la giornata internazionale delle Nazioni Unite “a sostegno delle vittime della tortura”. Quella tortura che l’ordinamento del nostro Paese ancora non riesce (non vuol riuscire) a identificare e perseguire.
Il Parlamento italiano, infatti, al di là delle rassicurazioni giunte dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo a proposito dei fatti della Diaz del 7 aprile scorso, non è ancora riuscito ad approvare (dal 1989) un testo coerente alla (pur sottoscritta) Convenzione Onu contro la tortura. Anzi, leggendo gli oltre 80 emendamenti presentati a metà giugno al testo in discussione alla commissione Giustizia del Senato, sembra proprio che la “lezione” di Strasburgo -la sentenza è stata pubblicata in italiano soltanto il 23 giugno sul portale del ministero della Giustizia- non abbia lasciato che pochi e deboli ricordi.
 
Approvato dalla Camera due giorni dopo la storica sentenza della Cedu, il disegno di legge si è arenato. “Per fortuna”, direbbe chi ha letto la norma e preso nota delle evidenti carenze: dalla genericità del reato (“chiunque” cagiona) a un uso problematico degli avverbi (il torturatore dovrebbe agire infatti “intenzionalmente”), dalla mancata imprescrittibilità al rischio che dal nuovo reato di tortura possa rimanere escluso un altro “caso Diaz”.
 
Non a caso Lorenzo Guadagnucci, giornalista autore per Ae del pamphlet “sTortura” e vittima della Diaz, ed Enrico Zucca, pm del processo Diaz, hanno lanciato a maggio una sorta di appello per chiedere ai senatori di non approvare il testo, ritenuto compromissorio e lontano dalla Convenzione Onu, auspicando emendamenti migliorativi frutto di una resistenza alle pressioni pubbliche dei vertici delle forze dell’ordine.
 
E nonostante il gruppo di Area Popolare (Ncd e Udc, al governo) -cui appartiene anche l’ex ministro Carlo Giovanardinon abbia presentato alcun emendamento (che era stato invece promesso in aprile), sono poche le proposte che puntano peraltro ad un lieve cambio di passo, mentre continua a mancarne una in linea con la definizione Onu. Nessuna, in ogni caso, tratta dell’imprescrittibilità del reato (sancita invece dalla ratifica della Convenzione Onu, come peraltro chiarito ad Ae dal membro italiano del Comitato Onu contro la tortura, Alessio Bruni) o del fondo a tutela delle vittime della tortura. 
 
Un solo emendamento (su oltre 80) tenta di ristabilire la “specificità” del reato -prevista invece dalla Convenzione Onu-, indicando nel pubblico ufficiale o nell’incaricato di pubblico servizio l’unico “responsabile” della tortura. Si tratta dell’emendamento presentato dai senatori della Lega Nord Stefani e Centinaio, che però continua a mantenere l’avverbio “intenzionalmente” legato all’inflizione della tortura, una causa decisamente ristretta e una pena inferiore a quella prevista dal ddl della Camera (da tre a dieci anni invece che “da cinque a quindici”).
 
Tra le tiepide proposte migliorative quella di sopprimere l’avverbio “intenzionalmente” (avanzata da esponenti M5s, Pd e Misto) e, per risolvere il nodo che al momento potrebbe -secondo alcuni- escludere casi analoghi a quelli della Diaz, quella di aggiungere alle condizioni del potenziale torturato quella di trovarsi “in una condizione di minorata difesa”. 
 
A rappresentare la linea dura del “partito della Polizia” -difesa dopo la sentenza Cedu da Raffaele Cantone sebbene la Corte di Strasburgo avesse riconosciuto essersi rifiutata “impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria all’identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di tortura”ci ha pensato il vice presidente di Palazzo Madama, Maurizio Gasparri. Secondo lui, il torturatore dovrebbe agire “con crudeltà” (altrove nel codice penale questa è considerata un’aggravante) e le sofferenze arrecate non potrebbero essere che “fisiche”, avendo infatti proposto la soppressione della dizione “o psichiche”. In ogni caso, secondo un altro emendamento che reca la sua firma, “la punibilità è esclusa in occasione di eventi legati all’ordine pubblico" e “se fatti di violenza che causano sofferenze fisiche ovvero con accanimento vengono commessi avverso i pubblici ufficiali in servizio di ordine pubblico ovvero in occasioni di manifestazioni sportive si applica la pena della reclusione da cinque a nove anni”.
 
Eppure tra le “misure generali” della sentenza di aprile, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva ritenuto “necessario" che “l’ordinamento giuridico italiano” si dotasse “degli strumenti giuridici atti a sanzionare in maniera adeguata i responsabili degli atti di tortura”, impedendo che “questi ultimi” potessero così “beneficiare di misure che contrastano con la giurisprudenza della Corte”.
Ma l’Italia -il Parlamento italiano- si candida ancora una volta alla recidiva, sulla pelle delle “vittime della tortura” ricordate il 26 giugno.

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