Diritti / Varie
Tessile, non c’è pace per le vittime del Rana Plaza
In Bangladesh, nell’aprile del 2013 un crollo nel complesso di fabbriche tessili che lavorano come conto-terziste per l’Occidente provocò oltre mille morti e duemila feriti. Familiari e sopravvissuti aspettano dall’aprile del 2013 un risarcimento, che per il momento è stato solo parziale: molte delle imprese coinvolte, infatti, non hanno versato il proprio contributo al fondo gestito dalle Nazioni Unite. La denuncia di Clean Clothes Campaign
Diciotto mesi dopo il crollo del Rana Plaza, fabbrica tessile del Bangladesh che lavorava come conto-terzista per importanti marchi europei, la Clean Clothes Campaign ha incontrato i sopravvissuti e i familiari delle vittime, e -spiega un comunicato stampa diffuso oggi- “è rimasta sconcertata e profondamente addolorata dal numero di persone che non sono tuttora in grado di ritornare al lavoro e riscostruire la loro vita”.
“Gli imprenditori stanno voltando le spalle a quelle persone che lavoravano al Rana Plaza perché le considerano troppo ‘danneggiate’ e ‘fattore di rischio’ –ha dichiarato Samantha Maher della CCC, che è stata in Bangladesh questo mese–. È impressionante vedere come molti di questi lavoratori si sentano sconfitti, soprattutto se paragonati ad altri operai che abbiamo incontrato”.
Oggi, in seguito al terribile crollo del mese di aprile 2013, molto è stato fatto per evitare un altro disastro: per molti lavoratori e lavoratrici tessili che non lavoravano in una delle cinque fabbriche del Rana Plaza le misure di sicurezza in fase di introduzione attraverso l’Accordo sulla prevenzione degli incendi e sulla sicurezza offrono la speranza di un futuro migliore nel settore.
In ogni caso, per parte delle 2mila persone sopravvissute al crollo, il pagamento dei risarcimenti è stato solo parziale. Diciotto mesi dopo quel giorno terribile, il fondo istituito per raccogliere i risarcimenti, necessita ancora di circa 20 milioni di dollari e marchi importanti come Benetton e Robe di Kappa, che secondo le ricostruzione di Clean Clothes Campaign si sarebbero rifornite da una fabbrica dell’edificio, non hanno ancora versato un centesimo.
La gravità di questa situazione si evince chiaramente parlando con quelle giovani donne che attraverso il loro lavoro al Rana Plaza mantenevano le loro famiglie. Ora oltre ai danni fisici e morali causati da quel disastro, queste persone sono gravate anche del fardello dell’insicurezza finanziaria.
Donne come la diciottenne Mahinu Akter, che era l’unica a sostenere la sua famiglia a causa della morte del padre in un incidente di un autobus. Mahinu lavorava al Rana Plaza da quando aveva 14 anni per aiutare la madre e i suoi due fratelli.
Mahinu ha riportato ferite alla testa e ha perso un dito del piede nella tragedia. Ha trascorso 20 giorni in ospedale. Quando è stata dimessa, ha passato un mese a letto senza poter mangiare: tuttora si sforza e ha perso completamente l’appetito. Inoltre soffre ancora di dolore ai piedi, gambe gonfie, perdita di memoria e costante emicrania.
“Il fatto che il Rana Plaza Donor Trust Fund è riuscito a raccogliere solo il 40% dei soldi necessari a risarcire le vittime -dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti- è da ricondurre esclusivamente alla responsabilità dei grandi marchi che non hanno ancora pagato ciò che dovrebbero. Per Mahinu e le altre persone come lei, questo significa non poter pianificare la propria vita oltre l’emergenza quotidiana”.
Mahinu ha ricevuto una formazione aziendale, mentre era ricoverata al Centre of Rehabilitation of the Paralysed, e 7000 taka (circa 90 dollari) per comprare il necessario per avviare un’attività, ma avrebbe avuto bisogno di un prestito per comprare un frigorifero e realizzare il suo negozio. La famiglia non poteva supportarla economicamente in alcun modo: è evidente che la beneficenza non può sostituirsi al pieno e giusto risarcimento che le spetta.
Benetton ha dichiarato di essersi impegnata a “lavorare direttamente con le persone colpite dal disastro del Rana Plaza” ma, rifiutandosi di partecipare al Rana Plaza Donor Trust Fund gestito dall’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite, ha di fatto fallito nel supportare le vittime di quella tragedia, i lavoratori che hanno contribuito a generare i suoi profitti.
Invece di ricevere i risarcimenti cui hanno diritto, le persone come Mahinu restano appese alla beneficenza, imprevedibile e insufficiente che le condanna ad una spirale di povertà permanente.
Mahinu, come molti altri, ha poche speranze che i grandi marchi coinvolti alla fine pagheranno quanto devono: “Non importa cosa pensiamo dei risarcimenti, sappiamo che non ce li daranno mai” ci ha detto. “Noi faremo di tutto perché questo non accada” conclude Clean Clothes Campaign.