Finanza / Approfondimento
Terzo settore e leva della finanza. Per uscire dalla residualità
La domanda di finanza delle organizzazioni dell’economia sociale è stata fino a oggi “mansueta” nei confronti di un’offerta più attenta ad accompagnare -e a condizionare- che dar linfa a strategie di investimento. Che cosa ci aspetta
Come sta reagendo l’ecosistema di finanza sociale e a impatto di fronte alla crisi innescata dalla crescita del costo del denaro? Lo stress test a cui è sottoposto non è di poco conto. I maggiori tassi di interesse colpiscono le organizzazioni dell’economia sociale e del Terzo settore sia a livello di gestione ordinaria sia di propensione all’investimento, costringendole a dirottare una quota crescente di risorse dalla produzione di servizi di interesse collettivo al pagamento di oneri finanziari. Ma c’è un’altra ragione che merita di essere approfondita, ovvero che negli ultimi anni sono state messe in atto strategie, soprattutto dal versante dell’offerta di risorse, per avvicinare imprese sociali e altri enti del Terzo settore alla finanza, sia ordinaria sia d’investimento.
Ecco quindi che fondazioni, banche, fondi di investimento e, da non sottovalutare, attori pubblici spesso con il supporto di società di consulenza e think tank di settore hanno intrapreso programmi di capacity building volti a incrementare la capacità strategica e operativa degli attori sociali affinché trovassero nella finanza non solo un supporto temporaneo -ad esempio per anticipare i trasferimenti della Pubblica amministrazione- ma una vera e propria leva di sviluppo trasformativa. Certo, se si guarda all’andamento di affidamenti e investimenti i risultati in termini di incontro tra domanda e offerta non sono fin qui così consistenti, mettendo in discussione quei dati di sentiment che invece informano di un rapporto soddisfacente con banche e fondi.
Si alimenta così la contro-narrazione di un settore che di risorse finanziarie tutto sommato non ha troppo bisogno preservando così la sua autonomia ma, al contempo, anche la sua residualità. Che cosa succederà ora con tassi alti e, contemporaneamente, con l’esaurirsi degli “ombrelli” di sostegno pubblico figli della crisi pandemica? La risposta, che in realtà è più un auspicio, è un ritorno di protagonismo del versante della domanda di finanza.
Una domanda che finora è stata piuttosto “mansueta” nei confronti di un’offerta che si è dimostrata più proattiva in termini di accompagnamento e, in senso lato, di condizionamento rispetto alla definizione di linee guida strategiche e ambiti di investimento.
Ora invece sarà il fabbisogno e non la provvista a fare da driver di sviluppo. Un fabbisogno incarnato in particolare dalle imprese sociali nel campo del welfare che ormai da anni sono alle prese con processi di ristrutturazione organizzativa al fine di meglio attrezzarsi a operare in contesti sempre più complessi rispetto ai quali sono chiamate a rivalutare i loro asset.
Due in particolare: il primo è quel capitale umano che può fare la differenza in termini di competenze ma anche di motivazioni. La seconda risorsa è invece rappresentata da quelle reti che non fanno solo rappresentanza ma amministrazione condivisa di beni e servizi di interesse generale a livello territoriale. Sarà intorno a priorità come queste, legate cioè all’equilibrio tra sostenibilità d’impresa e impatto socioambientale, che si dovrà trovare un nuovo punto d’incontro tra domanda e offerta di finanza e capitali. Una sfida che richiama la necessità di riequilibrare ecosistemi disassati recuperando così la loro capacità di supporto al cambiamento.
Francesco Abbà è presidente del sistema finanziario consortile Cgm Finance. Flaviano Zandonai, sociologo, è open innovation manager presso il Consorzio nazionale Cgm
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