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Economia / Opinioni

Sulla dura e improvvisa stretta all’incontrollabile sistema di cessione dei crediti fiscali

© Umit Yildirim - Unsplash

L’insostenibilità del sistema dei bonus deriva dai provvedimenti fiscali inseriti in Legge di Bilancio che, con la flat tax per gli autonomi, le cedolari secche e alcuni escamotage in relazione all’imposizione sui redditi da capitale, ha ulteriormente ridotto la base imponibile. L’analisi di Alessandro Volpi

È evidente ormai che il governo di Giorgia Meloni ha abbandonato le promesse elettorali e si trova a dover fare i conti in maniera stringente con il costo dei bonus fiscali, di cui il “superbonus” edilizia è solo uno dei tanti. La dura e improvvisa stretta all’ormai incontrollabile sistema di cessione dei crediti fiscali partorito dai bonus è, infatti, senza dubbio una misura presa prima di tutto per arginare il ricorso a un simile strumento che costa moltissimo in termini di spesa pubblica, non più in grado di reggere un esborso di circa 70 miliardi di euro. In questo senso Meloni si dimostra ancora più dura di Draghi nell’affermare l’insostenibilità di tale misura, che non garantisce, almeno in tempi brevi, i promessi maggiori introiti fiscali, determinati da un’ipotetica crescita del Pil trainata proprio dai bonus, e che non è più praticabile dopo il rialzo dei tassi di interesse della Banca centrale europea, destinati a rendere l’indebitamento pubblico decisamente più oneroso rispetto agli ultimi anni e la stessa cessione dei crediti assai più gravosa.

Per essere ancora più chiari, senza cessione del credito il meccanismo dei bonus non funziona e, dunque, bloccare un simile sistema significa porre fine al costo dei bonus in termini di spesa pubblica. Alla determinazione della brusca interruzione delle cessioni del credito contribuiscono poi due altri fattori. Il primo è rappresentato dall’inevitabile spinta all’inflazione che i bonus, soprattutto quelli edilizi, producono.
La concentrazione in pochissimo tempo di tanti lavori di ristrutturazione sta facendo impennare il prezzo dei prodotti necessari, a cui si lega peraltro una proliferazione di ditte più o meno credibili, che spinge in alto l’inflazione complessiva. Il secondo fattore è costituito dalla vera e propria sequenza di truffe che i meccanismi di cessione dei crediti hanno generato, rendendo possibile, con l’attuale normativa, una vasta serie di intermediazioni capaci di lucrare sulle cessioni in quanto tali in maniera del tutto svincolata rispetto all’agevolazione delle reali ristrutturazioni. Con la cessione dei crediti si è riattivato l’insidioso “mercato” delle cartolarizzazioni, stimato dallo stesso ministro Giorgetti in 110 miliardi di euro, che tanti disastri ha scatenato nel nostro Paese, e non solo.

In pratica la cessione del credito origina una sorta di moneta parallela a cui viene attribuito un valore diverso a seconda dei momenti in base a operazioni di chiara natura speculativa. Questo rischio sarebbe stato ulteriormente aggravato dall’annunciata decisione, molto azzardata, di alcune Regioni e persino di alcuni Comuni di acquistare crediti “incagliati” per facilitare le attività di imprese edilizie dei loro territori; una simile scelta accrescerebbe l’indebitamento pubblico e alimenterebbe un circuito già gonfio all’inverosimile, risultando di conseguenza impraticabile per le casse dello Stato.

Nel caso specifico del Governo Meloni, infine, l’insostenibilità del sistema dei bonus deriva dai provvedimenti fiscali inseriti in Legge di Bilancio che, con la flat tax per gli autonomi, le cedolari secche e alcuni escamotage in relazione all’imposizione sui redditi da capitale, ha ulteriormente ridotto la base imponibile. Come accennato in apertura, finanziare una spesa pubblica di 1.100 miliardi di euro, che è cresciuta in due anni di 180 miliardi, di cui i bonus sono parte rilevante, continuando a contrarre le entrate e senza poter più ricorrere al debito, al di là delle chiamate patriottiche alla sottoscrizione dei Btp, obbliga il nuovo esecutivo ad essere più vicino a Monti che non ai sovranisti. Certo un blocco così repentino e, a quanto pare, così totale rischia davvero di trasformare in carta straccia persino una parte non trascurabile dell’enorme quantità di crediti pregressi in circolazione provocando un’ondata di chiusure e fallimenti a cui, è probabile, lo stesso governo dovrà provare a porre almeno parziale rimedio.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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