Terra e cibo / Opinioni
Sul nuovo Piano d’azione nazionale per il biologico
Il documento ha durata triennale e contiene strumenti essenziali. Come l’attenzione alle reti sociali e il potenziamento della ricerca. La rubrica di Riccardo Bocci della Rete Semi Rurali
Lo scorso dicembre la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il Piano d’azione nazionale per la produzione biologica e i prodotti biologici, che sostituisce quello precedente chiuso nel 2020. Si tratta di una delle azioni previste dalla nuova legge 23 per promuovere il comparto approvata nel 2023 (“Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”). Ha una durata triennale, è articolato in quattro assi principali e otto azioni e ha come obiettivo raggiungere il 25% di superficie a coltivazioni biologiche, come previsto nelle strategie europee.
Il Piano vede la luce in un momento non facile per questa modalità di produzione. Le varie crisi in atto, infatti, hanno ridotto il potere d’acquisto dei cittadini con una contrazione dei consumi bio nel 2021 e 2022, con la sola eccezione del mondo del discount. Insomma, la strategia che la domanda da sola potesse trainare in modo virtuoso il mondo produttivo è, da una parte, naufragata sul piano dei consumi, mentre dall’altra è messa sotto attacco dai tentativi di smontare le strategie europee del Green Deal perché giudicate troppo “ambientaliste” e contrarie alle necessità del mondo agricolo. Diventa perciò importante avere uno strumento politico nazionale, in grado non solo di lavorare nella solita aggregazione della domanda, ma anche di potenziare il sistema di innovazione e ricerca del biologico, con un’attenzione alle sue reti sociali. Non andrebbe mai dimenticato, infatti, che la forza propulsiva del bio è quella di proporre non solo un altro modello produttivo, ma anche un diverso sistema economico e sociale. Questa tensione tra mera sostituzione di input e transizione ecologica della società si ritrova in alcune parti del Piano quando, ad esempio, si parla di promuovere i contratti di rete e dei distretti biologici, esperienze nate in questi anni per costruire forme ibride di aggregati economici e sociali, non rispondenti alle classiche cooperative agricole o ai sindacati.
Va, inoltre, sottolineato che il Piano è strettamente legato ad altri due strumenti a esso complementari: il Piano nazionale sementi biologiche (asse 2) e il Piano nazionale per la ricerca e l’innovazione a favore dell’agricoltura biologica (asse 3). Sementi e ricerca sono, infatti, due elementi essenziali per far compiere il salto di qualità al settore. Finalmente, il Piano d’azione riconosce che “un aspetto che è rimasto problematico per l’agricoltura biologica è la disponibilità di materiale vegetale e razze animali ad hoc con cui si perseguono obiettivi di maggiore adattabilità ai singoli contesti ambientali e robustezza/resistenza alle diverse patologie piuttosto che la mera elevata produttività” e che questi materiali si possono ottenere “promuovendo la tecnica innovativa del miglioramento genetico partecipativo ed evolutivo”.
Leggendo il Piano d’azione ci si rende conto che sono stati fatti molti passi in avanti rispetto ai tempi in cui la ricerca agricola affermava che le migliori varietà in convenzionale sono anche le migliori in biologico. Il testo, infatti, cita tra i materiali da sviluppare anche i “miscugli (popolazioni evolutive) per la selezione naturale delle varietà”.
Il Piano sementiero è stato già approvato dal ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e dalla Conferenza Stato-Regioni, ma deve esserne definita l’attuazione, mentre quello sulla ricerca è ancora in corso di redazione. L’auspicio è che tutti questi documenti possano trovare un’applicazione coerente in grado di traghettare il biologico nel futuro senza fargli perdere le sue radici.
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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