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Crisi climatica / Approfondimento

StopCambo: la “storica” vittoria dal basso contro Shell

La multinazionale anglo-olandese è stata “costretta” a fermare il progetto di estrazione nel giacimento scozzese di Cambo, nel Mare del Nord. Una conquista per gli oltre 100mila attivisti contrari al progetto killer del clima

Tratto da Altreconomia 246 — Marzo 2022
L'opposizione nei confronti del Cambo ha portato alla mobilitazione di oltre 100mila persone © Luca Manes

La StopCambo Campaign è stata una delle anime delle proteste e del contro-vertice dello scorso novembre a Glasgow, in occasione della deludente Cop26 a presidenza congiunta britannica e italiana. Cambo è un mega-giacimento di petrolio situato a 125 chilometri dalle isole Shetlands, in Scozia, e nascosto a mille metri di profondità sotto il Mare del Nord. Si stima che possa contenere 800 milioni di barili di idrocarburi, la cui produzione potrebbe andare avanti per almeno 25 anni: è uno di quei progetti “killer del clima” che non dovrebbe mai e poi mai vedere la luce se davvero si volesse affrontare seriamente la crisi climatica, ma “caldeggiato” dalla più grande multinazionale europea, la Shell. Il gigante petrolifero anglo-olandese che lo scorso autunno ha trasferito la sua sede da L’Aja proprio a Londra, più per ragioni fiscali che per l’intenzione di accelerare la transizione verso l’energia pulita sbandierata dai vertici societari.

Non a caso da quando se n’è cominciato a discutere seriamente, l’opposizione nei confronti del Cambo è stata enorme, fino alla creazione della piattaforma che ha mobilitato oltre 100mila persone e 80 tra gruppi di base e organizzazioni anche internazionali per incalzare il governo inglese e le società coinvolte nelle nuove trivellazioni affinché rivedessero i loro piani. “Nei mesi scorsi in Scozia la consapevolezza degli impatti dei combustibili fossili è cresciuta tantissimo e la forza di questa campagna lo dimostra”, ci ha raccontato Kate Whitaker, un’attivista di StopCambo, a margine del contro-vertice di Glasgow. “Appena saputo del progetto, abbiamo organizzato una serie di incontri tra organizzazioni della società civile e attivisti e ci siamo immediatamente messi in moto”.

Sul fronte istituzionale il Segretario scozzese del governo britannico Alister Jack si è rivelato il più strenuo sostenitore di Cambo, tra promesse di “estrazione sostenibile”, sicurezza energetica e posti di lavoro in abbondanza.

Tutte belle parole rispedite subito al mittente dagli attivisti, per i quali Cambo potrebbe “causare emissioni di gas serra equivalenti a quelle di 18 centrali a carbone e per questo del tutto contrario agli impegni sul clima del Regno Unito”. Eppure ancora a marzo 2021, a soli sei mesi dall’inizio dei lavori della Cop di Glasgow, l’esecutivo britannico confermava la sua volontà di andare avanti con le esplorazioni nel mare del Nord in attesa che le attività superassero un “test di compatibilità climatica”. Un ossimoro che stona ancor di più a sentire quanto la non proprio progressista Agenzia internazionale dell’energia (Iea) affermava più o meno nello stesso periodo, ovvero che se si intende davvero porre un freno agli effetti dello stravolgimento del clima bisogna evitare di sfruttare nuovi giacimenti di combustibili fossili. Tra l’altro il test non si sarebbe applicato per Cambo, per il quale le prime autorizzazioni risalgono addirittura al 2001, facendo del giacimento al largo delle Shetland una bomba climatica dagli impatti devastanti.

Il movimento climatico scozzese ha stretto alleanze con i sindacati e i lavoratori dell’industria fossile. Insieme chiedono che la transizione non lasci indietro nessuno

Ma non è stato così complicato smontare anche la favola dei posti di lavoro, dal momento che tutti i contratti assegnati prima dei giorni della Cop26 sono andati a società estere. La questione occupazionale è un elemento centrale per il movimento climatico scozzese tanto che due delle organizzazioni che animano la rete StopCambo (Platform e Friends of the Earth Scotland) sono riuscite a tessere alleanze con i sindacati e i lavoratori dell’industria fossile e insieme a loro chiedono che la transizione non lasci indietro nessuno.

Un manifesto della campagna “StopCambo”. Si stima che il giacimento -situato nel Mare del Nord- possa contenere 800 milioni di barili di idrocarburi © Luca Manes

Tutti questi sforzi hanno pagato. Non si era ancora spenta la eco delle polemiche sugli scarsissimi risultati della Cop26, che le agenzie di stampa inglesi hanno battuto una breaking news: la Shell faceva un passo indietro. “Dopo un’analisi completa del progetto di Cambo, abbiamo concluso che in questo momento le basi economiche per l’investimento non sono abbastanza forti, oltre a esserci un rischio che si possano manifestare dei ritardi”, la dichiarazione ufficiale della multinazionale, a cui ha fatto seguito quella del suo partner per il progetto Siccar Point Energy. La Siccar, il cui principale azionista è il fondo di investimento BlackRock, ha infatti spiegato di vedersi costretta a rinunciare a Cambo, non riuscendo a gestire un’impresa così importante senza avere le spalle coperte da Shell. Ne consegue che Cambo è in una fase di pausa, di stallo sine die. La rete StopCambo ha sì festeggiato per questo primo importantissimo risultato, ma continua le sue attività per cancellare per sempre il progetto e le devastanti conseguenze per il clima e l’ambiente che porta con sé.

Dal numero di marzo 2022 di Altreconomia inauguriamo lo spazio “Fossil free” a cura della Ong ReCommon. Un appuntamento ulteriore per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco

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