Economia / Attualità
Sotto l’egida della speculazione finanziaria
È fonte di reddito per la parte più ricca del Pianeta e oggi punta sui titoli energetici. Ma la battaglia per superarla non è un obiettivo comune. La rubrica di Alessandro Volpi
Ancora in fase di pandemia stiamo vivendo una fiammata inflazionistica che non dipende dall’aumento della domanda reale, o almeno dipende solo in parte molto limitata dal mercato “fisico”, ma è generata invece dalla speculazione, in primis sui titoli energetici. È importante, allora, ricordare che cosa c’è dietro questa speculazione. Si tratta di un processo iniziato circa venti anni fa.
Nel 1999 l’amministrazione Clinton cancellava il Glass-Steall Act, introdotto nel 1931, liberalizzando il mercato del credito con la rimozione di ogni distinzione fra banche commerciali e banche di investimento. Più o meno a partire dagli stessi anni hanno cominciato a proliferare i fondi hedge, destinati a divenire sempre più numerosi e sempre più grandi. Si è diffusa soprattutto la teoria della riduzione del rischio finanziario realizzata attraverso infinite cartolarizzazioni; in sintesi, i crediti concessi potevano essere “cartolarizzati”, trasformati cioè in tantissimi titoli e venduti sui mercati in modo da spostare il rischio dal soggetto erogatore del credito ai compratori, numerosissimi, di tali titoli. Ancora nello stesso ventennio i derivati hanno cessato di essere strumenti di copertura del rischio e sono diventati veri e propri titoli scommessa, costruiti sul prezzo di un’infinità di beni a cominciare da quelli agricoli.
L’inflazione in Italia nel 2022 è pari al 3,8% secondo le stime della Commissione europea
Si è poi sviluppata quella che l’economista Nouriel Rubini ha definito la “finanza ombra”, migliaia di operatori che, dopo l’avvento delle piattaforme informatiche, hanno influito in maniera determinante sull’andamento dei prezzi dei beni, magari adoperando crudi algoritmi. Un ruolo importante, in tutto ciò, hanno svolto le agenzie di rating, pronte a certificare prezzi e andamenti del tutto irreali. Così dopo le feroci crisi degli anni Novanta, la bolla tecnologica del 2001, quella pesantissima del 2007-2008 e quella del 2011 siamo arrivati a oggi senza aver imparato molto.
Tante crisi durissime, tante risorse pubbliche impiegate per evitare guai peggiori e nessuna reale capacità di smontare questo sistema finanziario che, in fondo, ha solo poco più di venti anni di vita: quelli in cui la polarizzazione dei redditi e della ricchezza è esplosa. Come accennato in apertura, infatti, è evidente ormai che i prezzi del gas sono determinati, in larga misura, dai trader -gli scommettitori- che comprano derivati al rialzo rispetto ai contratti conclusi dagli operatori. Basterebbe riportare i derivati alla loro natura di strumenti di copertura delle operazioni reali per smontare almeno una parte importante di questa gigantesca speculazione.
Il problema è che la finanza speculativa è diventata la principale fonte di reddito per la parte più ricca e più influente del Pianeta. Smontare questo colossale gioco provocherebbe subito attacchi contro le valute e i debiti pubblici che dovrebbero essere difesi da banche centrali fermamente decise in tal senso. Peraltro di fronte all’inflazione non siamo tutti uguali.
Negli Stati Uniti l’aumento dei prezzi al consumo ha superato il 7% e la Federal Reserve ha annunciato un rialzo dei tassi; questo ha scatenato una corsa agli acquisti dei titoli del debito pubblico americano che diventeranno, ancor più, un improprio bene rifugio e faranno dura concorrenza ai debiti degli altri Paesi, Italia in primis. La Germania ha un’inflazione superiore al 5% e ha titoli del debito pubblico che vengono venduti a tassi negativi; in altre parole, ottiene denaro a prestito gratis. È molto probabile che, in simili condizioni, chieda alla Bce un rialzo dei tassi che rafforza l’euro, frena l’inflazione e certo non viene pagato dal debito tedesco proprio per i tassi che rimarranno negativi. La battaglia contro la speculazione finanziaria è tutt’altro che un obiettivo “comune”.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.
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