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Ambiente / Approfondimento

Serbia a tutto carbone nel cuore dei Balcani. L’Unione europea è responsabile

A Belgrado 181 tra centrali e miniere violano le normative sulle emissioni in vigore nel 2004. Il governo, a colpi di proroghe, non agisce in difesa dell’ambiente, denunciano le associazioni. Intanto gli effetti dell’inquinamento giungono anche in Europa, provocando 2.400 vittime nel 2020

In Serbia 181 infrastrutture, tra cui miniere e centrali a carbone, stanno operando in modo irregolare e in aperta violazione delle normative sulle emissioni entrate in vigore nel 2004. È quanto emerge dal rapporto presentato da Cee Bankwatch, rete di associazioni non governative dell’Europa centro-orientale per la sostenibilità ambientale. I Paesi balcanici e la Serbia, in particolare, fanno ancora affidamento sui combustibili fossili e sul carbone per la produzione di energia. “Il sistema energetico serbo è dipendente dagli impianti costruiti negli anni Sessanta -racconta ad Altreconomia Iona Ciuta, coordinatrice della campagna Beyond Coal nei Balcani-, quando il carbone era usato per numerosi processi industriali. Da allora non c’è stato quasi nessun miglioramento”.

Nonostante nel 2004 il governo serbo abbia approvato una serie di norme in linea con le raccomandazioni dell’Intergovernal panel on climate change (Ipcc) per regolare l’inquinamento prodotto dalle centrali elettriche, queste sono inapplicate già da diversi anni. Dopo la loro approvazione il governo ha prodotto emendamenti e proroghe che hanno di fatto permesso alla maggior parte delle infrastrutture di rimanere in funzione pur violando i limiti di emissioni. Su un totale di 227 strutture sotto la responsabilità del ministero per la Protezione ambientale solo 46, dall’entrata in vigore della legge, hanno ottenuto un regolare permesso a operare, mentre le restanti 181 sono in aperta violazione del regolamento. Tuttavia il governo ha deciso, durante una seduta tenutasi il 21 ottobre di quest’anno, di emanare una proroga con cui posticipare al 31 dicembre 2024 il termine ultimo per adeguarsi alle leggi sulle emissioni. La proposta è attualmente depositata al Parlamento in attesa dell’approvazione. Si tratta della seconda volta, in pochi anni, in cui l’applicazione delle regolamentazioni ambientali viene posticipata: in precedenza il termine era stato rimandato al 31 dicembre 2020.

La Ong serba Renewables and environmental regulatory institute (Reri) ha sporto denuncia il 5 novembre 2021 presso il pubblico ministero di Belgrado. “Se il governo non ha intenzione di agire per tutelare l’ambiente -sostiene Hristina Vojvodić, responsabile legale di Reri-, allora ci rivolgeremo ai giudici perché facciano rispettare le leggi”. Reri ha già presentato cinque richieste per ispezioni speciali e tre denunce contro le aziende responsabili delle emissioni nocive, ma non si sono ancora ottenuti risultati importanti. “Anche se il governo ha intenzione di concedere una proroga -sostiene Vojvodić-, il termine è scaduto già da un anno e tutte le centrali a carbone stanno operando al di fuori della legge. Se l’ispezione dovesse stabilire che gli impianti non dispongono di sistemi adeguati a ridurre le emissioni e non ne hanno pianificato l’istallazione, allora è possibile rivolgersi al pubblico ministero per richiedere l’incriminazione per reati commerciali”.

Il carbone ha ricoperto il 68,5% della produzione energetica della Serbia nel 2020 e questo, a causa della scarsa regolamentazione delle emissioni inquinanti, ha provocato gravi danni all’ambiente e alla popolazione. Secondo il rapporto “Comply or close”, pubblicato a settembre 2021 da Cee Bankwatch, le sette centrali a carbone serbe sono tra le più inquinanti in Europa producendo più emissioni delle 221 centrali a carbone in Ue. In particolare le emissioni di biossido di zolfo (SO2), gas considerato pericoloso per la salute, sono risultate sei volte superiori ai limiti consentiti per un totale di 333mila tonnellate prodotte contro il limite previsto a 50mila tonnellate. I limiti relativi agli ossidi di azoto (NOx) e alle polveri sarebbero stati invece rispettati.

La causa dietro l’elevata produzione di gas inquinanti sta nel mancato uso di dispositivi in grado di ridurre le emissioni in particolare per quanto riguarda il biossido di zolfo (SO2), altamente irritante per le vie respiratorie. “Al momento le centrali serbe, tranne l’impianto di Kostolac B (nella città di Kostolac, città a 50 chilometri a Est di Belgrado, ndr), non hanno alcuna attrezzatura di riduzione dell’inquinamento -spiega Ciuta-. Nonostante sia stata installata nel 2017 non è ancora totalmente operativo. Anche se la centrale Nikola Tesla B (30 chilometri a Sud-Ovest di Belgrado, ndr) si sta dotando di un sistema simile, rimangono altre cinque centrali a carbone senza alcun piano per dotarsi di un filtro per le emissioni”. Reri ha deciso di rivolgersi a vie legali per obbligare gli impianti a rientrare in regola. “Purtroppo le sanzioni previste dalla legge per questo genere di violazioni -afferma Vojvodi- sono puramente simboliche. Inoltre il governo ha già mandato segnali in loro favore con l’intenzione di permettergli di inquinare liberamente per altri tre anni”.

Secondo il rapporto “Comply or close”, la mancata applicazione delle norme sull’inquinamento ha provocato più di 2.300 morti, la perdita di quasi 667mila giornate lavorative e danni quantificati a 5,16 miliardi di euro in tutta Europa. Questi non hanno riguardato solo la Serbia dove, secondo Cee Bankwatch, quasi la metà della popolazione è sottoposta a livelli di inquinamento dannosi per la salute, ma anche i Paesi confinanti. Italia compresa. Stando al report le emissioni inquinanti provenienti dai Paesi balcanici, tra cui la Serbia, hanno causato nei Paesi dell’Unione europea quasi il doppio delle vittime che nei Balcani (2.400 contro 1.300 nel 2020) di cui 605 solo in Italia con un conseguente danno di quasi tre miliardi di euro. Di queste vittime, quasi 200 sarebbero riconducibili alle emissioni derivanti dalla produzione di elettricità poi esportata verso l’Unione europea. “L’Europa importa l’elettricità prodotta dalla Serbia e da altri Paesi dei Balcani occidentali -racconta Ciuta- beneficando così di una fonte di energia più economica in quanto non soggetta a tasse sul carbonio. Ma così facendo si mette a rischio la salute dei propri cittadini”.

Per Ciuta l’Ue deve usare gli strumenti a sua disposizione per spingere la Serbia a rispettare le regolamentazioni in termini di combustibili fossili, anche ricorrendo a sanzioni e a una nuova politica sulle importazioni di energia. “L’Unione europea -denuncia- è in parte responsabile delle emissioni dai Balcani, in quanto importa la loro elettricità e questo deve cambiare”.

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