Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Approfondimento

Se la guerra ai giornalisti diventa contagiosa. Da Israele all’Anp. Fino alla Svizzera

Il corpo del giornalista Mohammed Al-Tanan, ucciso dall'esercito israeliano il 9 ottobre 2024 mentre stava raccontando l'assalto del campo profughi di Jabalia, nella Striscia di Gaza © Abdul Rahman Abu Salama/SIPA / ipa-agency.net / Fotogramma

Il 19 gennaio, quando il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas è finalmente entrato in vigore, le vittime palestinesi tra giornalisti, cameraman, fotografi e redattori erano salite a 198. Intanto si infiammano anche gli animi nei Territori occupati, con l’Autorità nazionale palestinese che attacca Al Jazeera e ne decreta lo stop delle trasmissioni. Ma anche lontano dalla Striscia chi si occupa di Palestina non se la passa bene

Sembra espandersi come un virus, la “guerra” contro i giornalisti che vogliono raccontare quello che succede in Palestina e in Israele. Un attacco non nuovo, diventato sfrontato dal 7 ottobre 2023 e portato avanti soprattutto dal governo e dall’esercito israeliano, ma a quanto pare contagioso e con riflessi imprevedibili anche fuori dalla Striscia di Gaza.

Il 7 ottobre 2024, a un anno dall’incursione di Hamas nel Sud di Israele che ha provocato la morte di 1.200 israeliani, secondo il sindacato dei giornalisti palestinesi (Pjs), gli operatori dell’informazione uccisi o morti a Gaza erano almeno 165. Lo abbiamo raccontato nella prima puntata del podcast “La guerra dei giornalisti”, pubblicata proprio nel primo anniversario del 7 ottobre. Il 19 gennaio 2025, invece, quando il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas è finalmente entrato in vigore, le vittime palestinesi tra giornalisti, cameraman, fotografi e redattori erano salite a 200, per la precisione 198 sempre secondo il Pjs, che si basa sui professionisti registrati al sindacato.

Una carneficina nella carneficina, considerando che le vittime palestinesi della Striscia quello stesso giorno ammontavano a oltre 47mila, senza contare gli oltre diecimila dispersi sotto le macerie. Cifre che la rivista scientifica The Lancet, in realtà, ha definito sottostimate del 45%, almeno fino al giugno 2024.

Quel che è certo è che, come gli attacchi contro Gaza non si sono fermati per oltre quindici mesi, così anche quelli verso i giornalisti, dentro e fuori la Striscia.

In un solo giorno, il Natale scorso, per esempio, cinque giornalisti della tv palestinese Al Quds, mentre si trovavano in un furgone, sul quale appariva chiaramente la scritta Press (stampa), sono stati uccisi da un attacco aereo. Le forze armate israeliane hanno sostenuto di aver preso di mira dei militanti della Jihad islamica, nonostante l’Associated Press abbia mostrato immagini del furgone incenerito, con la scritta “Stampa” ancora ben visibile.

Ma ad essere attaccate dal Governo Netanyahu -per fortuna non fisicamente- sono anche testate israeliane, come il quotidiano Haaretz, da sempre critico verso il premier e il suo esecutivo, che per risposta ha imposto sanzioni e lanciato un boicottaggio contro il giornale, accusato di fatto di essere nemico dello Stato.

A parlare di “notizie incitanti, che ingannano e fomentano la guerra” è anche l’Autorità nazionale palestinese, l’organo che governa la Cisgiordania e che punta il dito contro lo stesso nemico giurato del governo israeliano: Al Jazeera. E così l’emittente del Qatar, che nel 2024 si era già vista chiudere, da Israele, le redazioni di Gerusalemme, Nazareth e Ramallah (ne abbiamo parlato nel quinto episodio de “La guerra dei giornalisti”) è stata messa al bando anche in tutta la Cisgiordania. Al Jazeera dal canto suo ha accusato l’Anp di cercare di “nascondere la verità sugli eventi nei Territori occupati, in particolare su ciò che sta accadendo a Jenin e nei suoi campi”.

A infiammare gli animi sarebbe stata, infatti, la copertura di quanto stava avvenendo nel campo profughi di Jenin, sottoposto all’operazione israeliana “Muro di ferro”, scattata subito dopo il cessate il fuoco a Gaza di metà gennaio.

Ancora prima degli israeliani, l’Autorità nazionale palestinese, nel dicembre 2024, aveva lanciato una propria operazione contro la resistenza armata del campo e negli scontri era stata uccisa anche Shatha al-Sabbagh, una giornalista di Jenin, secondo il padre della giovane, colpita da un proiettile sparato da un poliziotto palestinese.

L’Anp ha dapprima decretato lo stop delle trasmissioni di Al Jazeera a Jenin, per poi estenderle a tutta la Cisgiordania, fino ad arrestare due suoi giornalisti: Guevara Budeiri, volto notissimo della tv, che stava coprendo lo scambio di ostaggi nell’ambito del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, e Mohammed Al Atrash, che stava invece realizzando un servizio sull’invasione israeliana di Jenin, da casa sua.

“È un peccato che queste misure arbitrarie adottate dagli organi dell’Autorità palestinese siano in linea con l’obiettivo dell’occupazione israeliana contro Al Jazeera e i suoi giornalisti”, ha commentato l’emittente del Qatar. Al Atrash è stato rilasciato dopo una forte pressione del governo di Doha.

A ragione, dunque, il Committee to protect journalists (Cpj) parla di “ambiente ostile” ed “eccezionalmente impegnativo” per i giornalisti che lavorano a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. “Israele –scrive il Cpj– è stato catapultato al secondo posto nel censimento 2024 dei giornalisti detenuti, più che raddoppiando il suo record del 2023, mentre cercava di mettere a tacere la copertura dei Territori palestinesi occupati”.

Israele si piazza così prima della Russia e dell’Egitto, ma anche dell’Iran e dell’Arabia Saudita.

Dal 7 ottobre 2023 al 28 gennaio 2025, il Cpj ha documentato 75 arresti di giornalisti nei Territori palestinesi occupati. Israele ne avrebbe detenuti 71, 43 dei quali, al primo dicembre 2024, erano ancora in carcere. Di questi, almeno dieci erano in detenzione amministrativa, senza accuse e senza essere sottoposti a un regolare processo. Quattro, invece, i giornalisti arrestati nello stesso periodo dall’Autorità nazionale palestinese.

Il tentativo di controllare la stampa, non certo inedito, si manifesta anche dentro la Striscia di Gaza, tra quel che resta di Hamas. “Ci hanno provato all’inizio della guerra e anche ora proveranno a controllarci, ma penso che non avranno successo – dice I.J., photoeditor per un’agenzia stampa internazionale, che preferisce l’anonimato-. Qui a Gaza i giornalisti hanno compreso come Hamas la pensa e non contribuiranno più a quel pensiero. Anche quelli che lavoravano nei media di Hamas: hanno perso troppo, senza che nessuno chiedesse mai loro se avevano bisogno di qualcosa”.

A rimanere fuori da Gaza per il momento sono i giornalisti internazionali, ma anche lontano dalla Striscia chi si occupa di Palestina non se la passa benissimo. Il direttore della testata online Electronic Intifada, Ali Abunimah, palestinese-americano, il 25 gennaio scorso è stato arrestato e poi espulso dalla Svizzera, che è finita così nella bufera. Secondo la testata Tio 20 minuti, il capo del Dipartimento cantonale della sicurezza avrebbe definito il giornalista “un islamista che odia gli ebrei e che incita alla violenza”, dicendo che gli sarebbe vietato l’ingresso, ma in realtà Abunimah era stato lasciato entrare nel Paese, per partecipare a un convegno sulla Palestina.

Irene Khan, la Relatrice Onu sulla promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione e di espressione, ha definito l’arresto “una notizia scioccante”, mentre Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, ha sottolineato che “il clima che circonda la libertà di parola in Europa sta diventando sempre più tossico e dovremmo essere tutti preoccupati”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati