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Ambiente / Attualità

La Sardegna punta sul metano nonostante gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima

Nella primavera del 2020 dovrebbero iniziare i lavori per la metanizzazione dell’isola. Previsti una dorsale, rigassificatori, depositi costieri di stoccaggio del gas e due centrali a metano. Per le organizzazioni ambientaliste, il piano sostenuto dal governatore Solinas e larga parte del ceto politico è insufficiente perché non considera gli obiettivi di riduzione delle emissioni e gli impatti della combustione

sardegna metano

“Il metano ti dà una mano”, sosteneva una nota pubblicità alla fine degli anni Ottanta. E trent’anni dopo il governo regionale sardo ne è ancora fortemente convinto. Unica regione italiana a non avere ancora una rete per il gas naturale liquefatto (GNL), nella primavera del 2020 dovrebbero iniziare i lavori per la metanizzazione dell’isola. Il piano prevede una dorsale con le sue diramazioni in cui dovrebbe passare il gas che arriva dalle coste. Per gli oltre 300 comuni che non verranno serviti dalla dorsale, 820mila residenti in totale, il gas verrà servito da autobotti. Oltre alla creazione delle reti cittadine, sono previste una serie di infrastrutture: rigassificatori, depositi costieri di stoccaggio del gas e due centrali a metano da 200 MW ciascuna.

Nelle dichiarazioni del governatore Christian Solinas, la metanizzazione della Sardegna sarà integrale tra cinque anni. Non è una data a caso: entro il 2025 chiuderanno a livello nazionale le sei centrali a carbone ancora operative, due delle quali proprio in Sardegna e attualmente responsabili di quasi metà dell’energia prodotta nell’isola. Ma la strategia energetica della giunta regionale sembra confusa: secondo l’assessora all’Industria Anita Pili il futuro della Regione sta nelle fonti rinnovabili al 100% entro il 2050 ma per ora è necessario creare una grande infrastruttura transitoria come quella che porterà il metano. Intanto la sua giunta di centrodestra ha fatto appello al TAR contro la chiusura delle due centrali a carbone.

Sulla necessità del metano si trovano d’accordo i sindacati e Confindustria Sardegna, oltre alla quasi totalità della classe politica isolana e una buona parte dei sardi: nell’immaginario locale il ritardo economico dell’isola va attribuito proprio all’assenza di una rete di GNL. Ma parte della società civile sarda, in dissenso con la strategia energetica regionale, sta provando a raccontare un’altra storia: secondo la referente del Comitato NO Metano Paola Pilisio, “con la giusta volontà politica si avvierebbe un nuovo corso energetico basato sull’efficientamento, la diffusione delle rinnovabili ecocompatibili nelle versione di piccoli impianti dedicati all’autoproduzione e autoconsumo, l’elettrificazione dei consumi, l’implementazione delle smart grid e l’utilizzo dell’idroelettrico dotato di sistemi di pompaggio come formula di accumulo naturale dell’energia”. Secondo Pilisio la Sardegna ha già a disposizione dighe turbinate per circa 450 MW di potenza, la metà delle quali dotate di sistemi di pompaggio e sottoutilizzate che potrebbero svolgere lo stesso compito. Per ciò che riguarda le utenze industriali, secondo il comitato esistono già soluzioni tecnologiche atte ad approvvigionare le piccole e medie imprese di energia da fonti rinnovabili a basso costo e in modo conveniente, per esempio con il progetto InSun finanziato dall’Ue. “Mentre le grandi industrie sarde, essenzialmente petrolchimica e filiera dell’alluminio primario, non sono sostenibili e anzi sono la causa accertata di una serie di gravi impatti ambientali, sanitari e sociali, per cui andrebbero chiuse o trasformate. Proponiamo la sostituzione della filiera dell’allumino primario con una filiera corta dell’alluminio da riciclo”, afferma Pilisio.

Il sindaco Maurizio Onnis di Villanovaforru, uno dei quattro comuni sardi che finora ha detto no al metano, si concentra su un altro aspetto della questione: tra il 35 e il 45% dell’energia prodotta in Sardegna viene attualmente esportata e con la metanizzazione dell’isola le cose non andrebbero diversamente: “Gli impianti costieri in cui verrà immagazzinato il gas sono fuori misura, nelle previsioni più riduttive sono tali da supportare una popolazione di cinque milioni di abitanti. Il vero obiettivo è trasformare la Sardegna in un hub del metano al centro del Mediterraneo ma ciò ha più a che vedere con la speculazione economica che con il reale fabbisogno energetico isolano”.

Nonostante il gas naturale potrebbe risultare più vantaggioso rispetto alle bombole di GPL attualmente utilizzate in Sardegna, l’entità del risparmio in bolletta col metano è ancora tutta da quantificare: mentre per il resto d’Italia a suo tempo la metanizzazione è stata fatta con l’aiuto statale, ora nelle mutate condizioni il costo dell’infrastrutturazione in progetto ricadrebbe sugli utenti. Arera, l’autorità regolatrice che stabilisce le tariffe, ha già detto di no a tariffe differenziate per l’isola, obiettivo questo del governo regionale, affermando che “gli utenti italiani o del Sud non possono pagare per la rete della Sardegna”. Nel frattempo, grazie alla recente riforma della bolletta varata dalla stessa Arera, il metano perde ormai il confronto con l’energia termica prodotta attraverso l’elettrificazione dei consumi.

Al di là della questione energetica, Fridays for Future Sardegna e l’organizzazione scientifica ISDE-Medici per l’ambiente hanno denunciato un piano energetico che non tiene a mente gli obiettivi della Conferenza sul clima di Parigi: “Bruciare gas naturale riduce di circa il 50% le emissioni di CO2 rispetto al carbone ma non è abbastanza, il metano è un gas serra che più della CO2 favorisce l’innalzamento delle temperature. Dovremmo puntare a una riduzione delle emissioni almeno dell’80% entro il 2050 e all’azzeramento entro fine secolo”, spiega Domenico Scanu, coordinatore regionale di ISDE. Che aggiunge: “Il metano inquina meno del carbone, tuttavia questo non significa che la combustione del metano non sia inquinante e che non possa avere conseguenze sanitarie rilevanti a causa della dispersione di numerose sostanze tossiche, alcune bioaccumulabili, altre cancerogene”.

La sensazione è che con una visione strategica basata sulla resilienza e l’autoproduzione la Sardegna sarebbe in grado d’immaginare per sé stessa un futuro energetico diverso, senza bisogno di un’infrastruttura che la rende dipendente da risorse straniere e che accentuerà la crisi climatica in corso. Che ciò accada, tutto dipenderà da Roma. Lo stesso Comitato NO Metano ammette: “Con gli iter autorizzativi delle diverse opere e infrastrutture già a uno stadio avanzato, tutte le speranze di chi si oppone al progetto sono rivolte verso il ministro dell’ambiente Sergio Costa che potrebbe richiedere un supplemento d’indagine sul metanodotto, e sull’analisi costi-benefici. Se il governo fosse ‘green’, non solo a parole, questo progetto andrebbe bloccato subito”, conclude Pilisio.

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