Diritti
Salviamo il clima o le spese militari?
Uno studio internazionale ci fa capire come per certe scelte non manchino le risorse ma la volontà
Per il futuro della terra e di chi la abita è più importante il controllo del riscaldamento globale terrestre o il mantenimento degli eserciti e delle loro strutture armate? Una domanda che sembrerebbe scontata, ma forse non lo è così tanto se ancora in questi giorni i grandi paesi del mondo frenano sulla possibilità di un accordo internazionale per impostare politiche climatiche adeguate ai cambiamenti in corso. Mentre in altri ambiti, quello militare su tutti, si spende a piene mani.
Eppure l’impatto di scelte anche molto forti sulle emissioni di anidride carbonica non sarebbe così catastrofico per l’economia mondiale. A dircelo è un recente studio, pubblicato lo scorso ottobre, del network internazionale E3 (Economics for Equiti and Environment) ed elaborato da studiosi di prestigiosi istituti di ricerca statunitensi (tra cui University of California, Johns Hopkins University e Tutfs University). In esso non solo si affronta l’obiettivo di contrastare il riscaldamento terrestre indotto dall’uomo (e dal suo inquinamento) dal punto di vista delle politiche da mettere in atto, ma si cerca anche di misurarne economicamente il costo. Partendo sempre da una scelta che no può essere debole ma deve obbligatoriamente essere decisa e forte vista la sfida che si ha davanti. Tecnicamente l’obiettivo è quello di portare entro la fine di questo secolo, se non prima, la concentrazione in atmosfera di CO2 ad un livello di 350 parti per milione, contro l’attuale 385. Un risultato sulla importanza e bontà del quale ormai convergono gli studi più accreditati sul riscaldamento dell’ecosistema.
Come ci si arriva? Principalmente eliminando in assoluto l’utilizzo del carbone (a meno che non sia inseriti in cicli che non disperdano carbonio), aumentando vertiginosamente il prezzo di petrolio e gas in quanto risorse finite e bloccando la deforestazione per iniziare invece un processo di accrescimento del patrimonio boschivo. Il tutto per spingere verso un maggiore risparmio energetico ed un utilizzo di fonti di natura rinnovabile.
Secondo una stima di costi esplicitata in questo lavoro, il costo complessivo di un progetto articolato in questo modo (senza contare lo stimolo positivo per economia ed impiego dato dall’investimento in nuove tecnologie) potrebbe aggirarsi sul 2,5% del prodotto interno lordo globale mondiale. Una percentuale che almeno un terzo delle nazioni del mondo supera senza problemi per il proprio budget militare, che addirittura per la Cina e gli Stati Uniti (le vere potenze internazionali del nostro tempo) supera il 4%. Ed è qui uno dei noccioli della questione: difenderci da un nemico forse poco tangibile e un poco lontano, ma sicuramente presente e soprattutto catastrofico, viene considerato da Governi e opinioni pubbliche (ma quanto consapevoli?) meno importante che costruire una parvenza di difesa (ma quanto efficace ed efficiente?) contro nemici che ci paiono più vicini ma che spesso sono costruiti culturalmente.
Mentre invece, e qui sì che si passa dal campo delle evocazioni a quello concreto dei flussi di cassa miliardari, industrie a produzione militare e grossi papaveri della politica e degli eserciti costruiscono su questa paura la propria fortuna di remunerazione e di consenso. A svantaggio dell’ambiente e quindi di tutti.
Sul tema delle spese militari italiane e sui costi dell’apparato militare tricolore è appena uscito il volume di Altreconomia "Il caro armato" a cui vi rimandiamo per un opportuno approfondimento sul tema.