Diritti / Intervista
Respingimenti dei migranti nel Mediterraneo: li stiamo delegando alla Libia
Tripoli si appresta ad assumere formalmente il coordinamento delle operazioni in mare nella sua zona SAR, puntando così ad allontanare soccorsi (e occhi) delle Ong. “A rischio gli obblighi di rispetto dei diritti dell’uomo e la sicurezza delle persone”: intervista a Francesca De Vittor, ricercatrice in diritto internazionale
“Se le autorità libiche dovessero dichiarare formalmente una zona SAR di loro competenza, l’Italia non sarà esentata dall’obbligo di rispettare i diritti dell’uomo”. Francesca De Vittor è ricercatrice in diritto internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano. La raggiungiamo a poche ore dalla notizia dell’invio dei primi riferimenti di un centro di coordinamento dei soccorsi (Rescue coordination centre, RCC) di stanza a Tripoli all’Organizzazione marittima internazionale (IMO). Un’altra tessera della delega alle guardie costa libiche delle “operazioni” in mare.
Dottoressa De Vittor, come leggere questi ultimi sviluppi?
FDV Le zone SAR dovrebbero essere definite in accordo con gli altri Stati, ma nel Mediterraneo si è sviluppata una prassi per cui le zone SAR vengono definite in maniera unilaterale, da ciò derivano spesso sovrapposizioni come per esempio tra la zona SAR italiana e quella maltese. Tuttavia fino a quando non c’è nemmeno la dichiarazione dell’IMO che conferma la ricezione delle coordinate e l’indicazione materiale sulle “cartine”, questa presunta zona SAR libica mi sembra un po’ fantomatica. Però intanto è chiaro che i passaggi li stanno facendo, uno dopo l’altro.
Che cosa potrebbe cambiare a SAR dichiarata formalmente?
FDV La Libia ha ratificato la Convenzione SAR, ora sta approntando il proprio MRCC e definendo la propria area di ricerca e soccorso. Dovrebbe in teoria quindi avere tutti i diritti e tutti i doveri che hanno gli Stati membri della Convenzione ai fini del coordinamento dei soccorsi in mare. Va detto che l’MRCC italiano già da circa un anno contatta i libici per farli intervenire nei soccorso, ciò indipendentemente dall’esistenza di un centro di coordinamento libico. Ma è fondamentale ricordare che la Convenzione SAR non è una convenzione che dà dei diritti, è una convenzione semmai che impone degli obblighi. Impone cioè allo Stato che si assume la responsabilità del coordinamento dei soccorsi in una certa zona una serie di obblighi di garanzia dell’efficacia e della velocità di quei soccorsi.
Ed è per questo che la Convenzione SAR prevede la definizione di ambiti territoriali in cui i singoli Stati costieri sono responsabili dei soccorsi ed assumono -con il riconoscimento degli altri- il coordinamento delle operazioni.
In questo caso però lo Stato è la Libia.
FDV Se dobbiamo immaginare questo scenario in relazione a uno Stato particolare come la Libia e in relazione a particolari tipi di soccorsi come sono quelli dei migranti in mare, questo va letto non solo alla luce del diritto del mare ma anche degli obblighi in materia di diritti dell’uomo che gli Stati hanno. Il coordinamento di un soccorso con la Francia o con la Spagna, ad esempio, si può presumere venga fatto nel rispetto dei diritti dell’uomo anche da parte di questi altri Stati. Se il soccorso lo si coordina invece con la Libia, la cosa è completamente diversa. Perché se il luogo di sbarco è la Libia, significa che i migranti saranno riportati dove subiscono torture, trattamenti inumani e degradanti, riduzione in schiavitù.
Quindi?
FDV L’ipotesi che uno Stato dotato di autonomo MRCC sia contemporaneamente uno Stato verso il quale far andare (o tornare) le persone costituisce violazione del principio di non refoulement è un’ipotesi che la Convenzione SAR non prende in considerazione. Nella Convenzione non trova una disposizione di quella natura.
E in presenza di un MRCC libico?
FDV Possiamo immaginare che quando l’imbarcazione con i migranti a bordo arrivasse in alto mare, in acque internazionali, e fosse in situazione di difficoltà, questa chiamerà un numero di telefono che sicuramente non sarà quello libico ma quello del centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma. Gli italiani a quel punto faranno ciò che normalmente si dovrebbe fare, e cioè contattare gli altri MRCC coinvolti (come di solito accade con Malta). Compresi i libici, dunque, decidendo poi con loro chi prende il controllo di quel soccorso. È una prassi già confermata, indipendentemente dall’esistenza o meno dell’MRCC libico l’Italia già chiama la Guardia costiera libica per intervenire. C’è da chiedersi se sia legittimo da parte del MRCC di Roma contattare la guardia costiera libica o l’MRCC libico al fine di far intervenire i libici. Io credo di no, ed è già stato depositato un ricorso un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per questi eventi.
Perché?
FDV Perché l’intervento della Guardia Costiera Libica si conclude necessariamente con il rimpatrio dei migranti in Libia che è contrario al principio di non refoulement. Non si applica solo la Convenzione SAR, devono essere tenuti in considerazione gli obblighi di rispetto dei diritti dell’uomo e la sicurezza delle persone. Va detto che la Convenzione SAR su questi punti non è molto chiara. In particolare con riferimento alla determinazione del luogo di sbarco e alle sue caratteristiche o all’individuazione del responsabile dell’individuazione del porto di sbarco. La Convenzione si limita a dire che un’operazione di soccorso in mare si conclude nel momento in cui le persone soccorse sono portate in un luogo sicuro (place of safety, POS). Non ci dice altro. Tuttavia il concetto di “luogo sicuro” non può essere oggi limitato al mero portare le persone sulla terraferma. Il diritto del mare deve essere interpretato alla luce di tutti gli altri obblighi internazionali ad esso connessi: il “luogo sicuro” non è solo la terraferma ma è un luogo in cui la vita e la sicurezza delle persone sbarcate non sono messe in pericolo. Questa interpretazione è data dallo stesso Comitato di facilitazione dell’Organizzazione marittima internazionale in una risoluzione che però non è vincolante. Sulla stessa linea è una raccomandazione del Consiglio d’Europa.
Come risolvere questo “conflitto”?
FDV Se ho un modo per rispettare la Convenzione SAR e contemporaneamente rispettare gli altri obblighi internazionali, è chiaro che devo preferire quello. Ed è chiaro che se leggo il concetto di “luogo sicuro” alla luce di quello che in maniera del tutto vincolante ha detto la Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Hirsi, quando Italia fu condannata nel febbraio 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il respingimento di 24 persone, prima recuperate in mare, poi trasferite sulle navi militari italiane e infine ricondotte a Tripoli, ndr), il luogo sicuro è un luogo dove necessariamente sono rispettati i diritti dell’uomo e dove sarà fatta un’adeguata analisi delle eventuali domande d’asilo delle persone. Nell’ordinamento italiano, poi, si aggiungono le ultime posizioni assunte dal Gip e dal tribunale di Ragusa nel caso “Open Arms” in cui hanno affermato che non c’era nessun reato da parte della Ong che non aveva rispettato l’ordine di “lasciar fare” ai libici visto che andare in Libia non può essere considerato recarsi in un luogo sicuro.
La “partita” quindi non è persa.
FDV Tutt’altro. La zona SAR non è una zona in cui lo Stato responsabile di quella zona esercita una qualche forma di sovranità, non è un’area territoriale. Anche se la zona SAR libica si va a estendere in una parte del mare nelle acque internazionali antistanti la Libia, in quelle acque le navi battenti bandiera di qualsiasi Paese -le navi delle Ong, chiunque voglia starci- hanno tutti i diritti che hanno sempre le navi in alto mare. Quando c’è stata la prima determinazione della SAR libica, nell’agosto 2017, la prima cosa che le autorità di quel Paese hanno affermato è stata, in sintesi, “Le Ong devono starne fuori”. Era e rimane una pretesa totalmente illecita, perché la nave della Ong ha perfettamente il diritto di stare in mare dove vuole, non ha eventualmente il diritto di entrare nelle acque territoriali libiche per infrangere le regole in tema di immigrazione di quel Paese, ma anche in queste acque ha il diritto di passaggio inoffensivo e addirittura l’obbligo di prestare soccorsi se urgenti. Per il resto vale per la Libia esattamente ciò che vale per l’Italia. Non si può sindacare la presenza in acque internazionali di questa o quella nave. La nave c’è, il capitano di una nave che batte qualsiasi bandiera ha innanzitutto l’obbligo di prestare soccorso, in modo efficace. Insisterei su questo aspetto, non solo in applicazione della Convenzione SAR, ma anche della convenzione SOLAS, e dell’articolo 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare: il capitano di una nave ha l’obbligo di prestare soccorso quando viene informato di una situazione di pericolo in mare, l’obbligo di soccorso in mare è parte del diritto internazionale anche consuetudinario (che per l’Italia ha valore pari alla Costituzione).
Com’è possibile garantire questa efficacia?
FDV Prestare un soccorso che contrasta le richieste dell’MRCC che si presume voglia farlo svolgere nella maniera più efficace vuol dire ostacolare i soccorsi piuttosto che prestarli. Ma quando l’attività della Ong non ostacola i soccorsi, in alcun modo può essere considerata illegittima dal punto di vista internazionale.
Ipotizziamo che sia dichiarata la zona SAR libica. L’MRCC di Tripoli, assunto il coordinamento di un salvataggio operato da una Ong in acque SAR libiche, potrebbe imporre a questa di “consegnargli” i naufraghi?
FDV Se la Ong interviene ugualmente e non consegna non sta violando nessuna norma del diritto internazionale. Dopodiché se i libici arrivano e gli sparano contro, sono i libici che stanno violando il diritto internazionale.
In ogni caso, nel valutare la legittimità dell’operato del comandante della nave che non abbia rispettato le indicazioni date dall’MRCC libico deve prevalere comunque l’obbligo di prestare soccorso in mare e di portare le persone soccorse in un luogo sicuro, l’attività della Ong potrebbe essere considerata illegittima solo se di dimostrasse che ha ostacolato i soccorsi stessi mettendo in pericolo i migranti o gli altri soccorritori, ma i precedenti mostrano chiaramente che non è questo il caso.
Che cosa succederà dal momento della dichiarazione SAR libica, quando Roma dovesse limitarsi ad avvisare le autorità libiche e lasciare a loro l’intervento?
FDV Si aprirà un mondo che non conosciamo ancora. A quel punto, se l’MRCC di Roma si dovesse liberare completamente del coordinamento -ovvero non intervenisse in alcun modo, anche se dubito visto il supporto delle autorità italiane ai libici-, al di là della zona SAR italiana non ci sarebbe in effetti un obbligo di coordinamento dei soccorsi per il nostro Paese. C’è da chiedersi però se il fatto stesso di avvisare i libici facendoli intervenire non costituisca un esercizio di giurisdizione sufficiente a far sì che su quella operazione ci sia giurisdizione ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E quindi prefigurare una sua violazione.
Si capisce bene perché per costruire questo meccanismo che delega di fatto alla Libia i soccorsi fosse necessario denigrare le Ong e i loro occhi.
FDV Certamente. Nel periodo in cui l’Italia aveva istituito l’operazione Mare Nostrum e i soccorsi nelle acque internazionali venivano svolti dalla nostra marina militare, sono state salvate moltissime persone, ci sono stati pochissimi incidenti e non c’era bisogno delle Ong. Ma il progetto attuale è ben diverso, non è finalizzato a salvare il maggior numero di persone possibile, è un progetto il cui scopo è il contrasto all’immigrazione. Che lo scopo sia far svolgere ai libici quel respingimento che non può fare l’Italia, vista la citata sentenza di condanna della Corte europea, è stato esplicitamente dichiarato dal comandate della missione EunavFor Med già nel maggio 2017. Far svolgere i rimpatri alla Libia è un tentativo di raggirare la competenza della Corte europea. Quando si fanno queste cose, meno occhi guardano e meglio è.
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